tag:blogger.com,1999:blog-16516142410208864582024-03-15T09:37:39.551+01:00Se sei vivo spara [filmwestern]Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.comBlogger223125tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-7632768155353910192024-03-14T17:36:00.004+01:002024-03-15T09:36:34.014+01:00UCCIDERO' WILLIE KID<div><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgX-rWXl3so52FTtAtGEZp54oSk6TZaUrLylkXPnABRmPv8w7R_wWl_LIlUqbMnoY9dhoOhRUGSGWwZeQhlzYXBFLZTWZhOFJzrpgHBWNEshkQtP-w7R20N3e4ZMAdzvOPqxML4_MVIgu2Y002B8Xwsj72amIPZFmvIUZ5tPR9VgPX__-nJcCyFgGN0rgie/s800/5c0014_9096c70759ed41d983f426b38433dd5a_mv2.jpg" style="clear: left; display: inline !important; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="637" data-original-width="800" height="510" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgX-rWXl3so52FTtAtGEZp54oSk6TZaUrLylkXPnABRmPv8w7R_wWl_LIlUqbMnoY9dhoOhRUGSGWwZeQhlzYXBFLZTWZhOFJzrpgHBWNEshkQtP-w7R20N3e4ZMAdzvOPqxML4_MVIgu2Y002B8Xwsj72amIPZFmvIUZ5tPR9VgPX__-nJcCyFgGN0rgie/w640-h510/5c0014_9096c70759ed41d983f426b38433dd5a_mv2.jpg" width="640" /></a></div><div><div><br /></div>1969 <span><b><span style="font-size: large;">UCCIDERO’ WILLIE KID (<i>Tell Them Willie Boy is Here</i>) </span><br /></b></span><i>di Abraham Polonsky con Robert Redford, Robert Blake, Susan Clark, Katharine Ross, Barry Sullivan, Charles Aidman, Charles McGraw, John Vernon, Lloyd Gough, Ned Romero, Robert Lipton, Shelly Novack</i></div><div><br /></div><div>Unico, notevolissimo western di Abraham Polonsky, e suo secondo film a più di vent’anni di distanza dal primo, l’altrettanto rilevante noir<b> Le forze del male</b> con John Garfield, del 1948. Purtroppo si tratta anche della sua penultima pellicola: la sua carriera come regista si concluderà due anni più tardi con l’interessante ma sfortunato <b>Romanzo di un ladro di cavalli</b>, con la miseria di appena tre film all’attivo.</div><div><div><br /></div><div>La carriera cinematografica di Polonsky fu di fatto stroncata nel
1951, quando venne inserito nella famigerata ‘black list’ per essersi rifiutato
di testimoniare davanti al Comitato sulle attività antiamericane, che metteva
alla sbarra e poi al bando registi e sceneggiatori hollywoodiani sospettati di
simpatie comuniste, un’autentica pagina nera della società statunitense ancora
oggi abbastanza sottaciuta (anche al cinema: ricordiamo solo
<b>Il prestanome</b> con Woody Allen e <b>Indiziato di reato</b> con Robert de
Niro, a cui – non accreditato – collaborò lo stesso Polonsky).
<div class="separator" style="clear: both;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhB9OCVpjJmOs3eWC3MNWtQK88SjPyowedf8_tR8iVWznHkh2RUlpz5Ci4Ee4jBA8UBu2YK8ORHeaeL5zQ-md8WpuINhSjLSnzX7_PxYq50QPUpGQ2xtQ_miNyKHO_6oGIQ0eUUfgshNQkVxxBdunCgxm7N7qhYP7mgfU18XX460PrWAsACYlr5YUavZrh1/s608/wb3.png" style="display: block; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img alt="" border="0" data-original-height="256" data-original-width="608" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhB9OCVpjJmOs3eWC3MNWtQK88SjPyowedf8_tR8iVWznHkh2RUlpz5Ci4Ee4jBA8UBu2YK8ORHeaeL5zQ-md8WpuINhSjLSnzX7_PxYq50QPUpGQ2xtQ_miNyKHO_6oGIQ0eUUfgshNQkVxxBdunCgxm7N7qhYP7mgfU18XX460PrWAsACYlr5YUavZrh1/s600/wb3.png" width="600" /></a>
</div>
Nell’approcciarsi al western Polonsky non è evidentemente interessato a
rispettarne le convenzioni, ma come con il noir ne utilizza piuttosto le
dinamiche interne per scagliare un vibrante atto di accusa verso l’establishment
a stelle e strisce, impiegando in primo luogo in chiave simbolica quelli che nel
cinema western sono sempre stati tradizionalmente considerati i paria e i
reietti: i nativi americani. </div><div><br /></div><div>Il film, uno dei primissimi di quel magmatico e
ribollente movimento che fu poi definito ‘New Hollywood’, precede la stagione
dei grandi western revisionisti e filo-indiani come <b>Piccolo Grande Uomo</b> e<i>
</i><b>Soldato blu</b>, distanziandosene, però, per un cinismo di fondo difficilmente
ravvisabile anche nelle disincantate produzioni coeve. </div><div><br /></div><div>Nel racconto della
persecuzione, dell’inseguimento e infine della messa a morte di un indiano
Paiute – un fatto realmente accaduto in California nel 1909 e narrato in un
libro del 1960 dal giornalista Harry Lawton – contro cui viene organizzata una
caccia all’uomo che coinvolge l’intero stato, con la partecipazione attiva e
sempre più compromessa di stampa e politica, più che una allegoria sulla guerra
del Vietnam (come in molte delle pellicole “dalla parte degli indiani”) non è
difficile intravedere un ritratto in filigrana dello stesso regista e, più in
generale, una metafora della caccia alle streghe del periodo maccartista. </div><div><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNCcBjlW_vNZrmoV0Oc4pVyTCeIeyPj8BhobVKQ1bjdsMAMZE3h1iLvXG0cPPys81_apFl6oGJYQK8gXUBKPu5VCSeIeEmfV7CmBrHLLGZvC_lF-cX7VjMveUMPM8AcpLO8R-8CgLpLNrgNR5Y7HXvMcu-bkEBN_KOqrl2QUoEEa1yQFqlFN8s4sjR1R5g/s1024/Tell-them-Willie-Boy-is-her-ant-1024x576.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="576" data-original-width="1024" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNCcBjlW_vNZrmoV0Oc4pVyTCeIeyPj8BhobVKQ1bjdsMAMZE3h1iLvXG0cPPys81_apFl6oGJYQK8gXUBKPu5VCSeIeEmfV7CmBrHLLGZvC_lF-cX7VjMveUMPM8AcpLO8R-8CgLpLNrgNR5Y7HXvMcu-bkEBN_KOqrl2QUoEEa1yQFqlFN8s4sjR1R5g/w640-h360/Tell-them-Willie-Boy-is-her-ant-1024x576.jpg" width="640" /></a></div><div><br /></div><div>In
<b>Tell Them Willie Boy</b> <b>is Here</b> (già il titolo originale sottende la denuncia, la
delazione, di cui il regista fu vittima) la messa a nudo dei meccanismi di
sopruso e violenza innati nella società americana e del modo in cui essi vengono
utilizzati per ottenere la riscossione del consenso da parte di stampa e
opinione pubblica è acuta, sferzante e senza il minimo sconto, anche a scapito
della spettacolo: Polonsky è visibilmente più interessato alla dimensione
psicologica, alle questioni sociali e alle connotazioni politiche più che
all’intrattenimento e il film segue un suo ritmo lento e inesorabile (Paul
Schrader lo ha definito un "<i>inseguimento esistenziale</i>"). </div><div><br /></div><div>E’ da non sottovalutare
il contributo, soprattutto per un regista così a lungo lontano dai set, del
grande direttore della fotografia Conrad Hall (lo stesso del successivo <b>Butch
Cassidy</b>, per cui venne premiato con il Premio Oscar) nel creare l’atmosfera
livida, cruda e realistica del film, spesso grazie all’utilizzo dell'illuminazione
naturale – una specialità di Hall – con cui sottolineare efficacemente sia
l'azione che la psicologia dei personaggi. </div><div><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8eOpOlxPeuD14PU9ISXahiaMm0freNZ02oPRjPBptIORenQNQK7dSMdCYWZAxpz1HFpC8Gb2H7ya-bb-M1pBsL_8T494lifFH9IMR4HI16wLSqbe0ZvNiWMIWqKltkxxWgEwxIkiB9fZPzFgQVkgPmQ3QtOSC0o7ZwAcHnJ0SI3n7Ns6ZCvxyPtTD4hE7/s1366/l9mrBfPXoavsebPFm1aTAP9sQHT.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="768" data-original-width="1366" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8eOpOlxPeuD14PU9ISXahiaMm0freNZ02oPRjPBptIORenQNQK7dSMdCYWZAxpz1HFpC8Gb2H7ya-bb-M1pBsL_8T494lifFH9IMR4HI16wLSqbe0ZvNiWMIWqKltkxxWgEwxIkiB9fZPzFgQVkgPmQ3QtOSC0o7ZwAcHnJ0SI3n7Ns6ZCvxyPtTD4hE7/w640-h360/l9mrBfPXoavsebPFm1aTAP9sQHT.jpg" width="640" /></a></div><div><b><br /></b></div><div><b>Tell Them Willie Boy is Here</b> ha due
protagonisti. Robert Blake è il personaggio che da il titolo al film (<i>Willie Kid
</i>nell’edizione italiana), il giovane indiano Paiute in fuga, mentre nella parte
del vice-sceriffo Cooper che guida la squadra al suo inseguimento c’è Robert
Redford. Katharine Ross e Susan Clark interpretano rispettivamente le donne di
Blake e di Redford. </div><div><br /></div><div>Fu proprio l’interessamento di Redford – desideroso di
cimentarsi con ruoli più complessi e sfaccettati – a mettere Polonsky alla direzione della pellicola. Grazie a questo film e soprattutto a <b>Butch Cassidy</b>, girato
immediatamente dopo ma che però venne distribuito prima, Redford divenne
definitivamente una star di prima grandezza nel firmamento di Hollywood.
</div></div>Maurohttp://www.blogger.com/profile/16951030253582016080noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-20216463615507298882019-09-27T13:37:00.000+02:002019-09-27T13:40:40.630+02:00RED HEADED STRANGER<img border="0" data-original-height="420" data-original-width="567" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHu6E82vQTyVBVivJl055FCs6GeblsBbLoWym06vheVtoYCMo-Wws2h0RGCX5Yy0oF2Eoa4zjpvs9uN4Zp4fx8e6tdwHCZF1XXcN-i52rfVmmB3zMbmEdYDBYvxLk03ikCumd6JsJMVog_/s1600/red-headed-stranger.jpg" />
<br />
<br />
1986 <span style="font-size: large;"><b>Red Headed Stranger</b></span><br />
<i>di William D. Wittliff con Willie Nelson, Morgan Fairchild, R.G. Armstrong, Royal Dano, Katharine Ross</i><br />
<br />
Ballata in pellicola spiazzante e cinica come sanno esserlo molte canzoni folk. E per questo esempio singolarmente ambizioso nel filone di western interpretati da star del country nato negli anni 80, pellicole solitamente innocue che si limitavano ad esporre le star e a mettere qualche loro canzone nella colonna sonora. <i>Red Headed Stranger</i> fa invece della sua anima country la propria ragione d'essere. A cominciare dal fatto che e' il caso probabilmente unico di un western ispirato ad un album musicale, il cui concept viene usato come canovaccio. Il disco e' l'omonimo "<span id="goog_1465075943"></span>Red Headed Stranger<span id="goog_1465075944"></span>" del 1975 di Willie Nelson, un classico del country e titolo iconico che diventera' un secondo nome per il suo autore.<br />
<br />
<img border="0" data-original-height="273" data-original-width="276" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtBPaxLWh6qQkXoaDhHHXCsaqgre90oF5_WnOh1T7pq1rcKmzO242Yor55bTYv5VJ5R4SqD1zjG3822S47RuY6Hu7LknFT56c8tNSyhX3aSSfhPapwjH11FnAeLRhc9TfJZ3jKW3L0jF4a/s1600/61uwVgCNKbL.jpg" />
<br />
<br />
Si racconta di un misterioso straniero che si aggira per
il West, cavalcando uno stallone nero e tirandosi dietro un baio come ricordo
della moglie morta. Nel film ci viene mostrato come l'uomo fosse un pastore protestante e avesse ucciso lui stesso la moglie, dopo che lei lo aveva abbandonato e tradito. Il tutto sullo sfondo di un West visto come terra spietata, dominata da faide e morti insensate, tanto che la moglie aveva abbandonato il marito proprio per la vita troppo dura e violenta. <br />
<br />
Se negli altri esempi di western con star del country i protagonisti sono quasi sempre portatori di un'americanita' vecchio stampo, se non sempre positiva ed eroica comunque romantica, qui abbiamo un protagonista che della cultura folk incarna il lato piu' oscuro e amorale. Il personaggio di Nelson va infatti oltre il concetto di anti-eroe, diventando in alcuni momenti un personaggio respingente. Basti pensare alla scena in cui lo si vede uccidere a sangue freddo una prostituta
perche' questa, scherzando, aveva fatto il gesto di rubare il cavallo della moglie defunta.<br />
<br />
<img border="0" data-original-height="269" data-original-width="390" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhScb42l4aqBiQU0l6tuFmhur5XMpcSKTCHMK-SVv3xqdiwiMmuSm5-4exazgqTyYPuCuFv2o6k_KNbk9RziHXIbunXeC19Z1TAw7buEeQurq7nC69ej-ebhjMbm0baNM66B03MTaWI1cX7/s1600/fg.jpg" /><br />
<br />
Film che vive soprattutto di un ottimo cast. A parte ovviamente un Willie Nelson totalmente calato nella parte, ci sono grandi caratteristi come <a href="https://www.imdb.com/name/nm0035866/" target="_blank">R.G. Armstrong</a> e <a href="https://www.imdb.com/name/nm0200455/?ref_=fn_al_nm_1" target="_blank">Royal Dano</a>, che rappresentano i due poli morali opposti del film: il primo un onesto e umano sceriffo, l'altro il degenerato patriarca di una famiglia di assassini. Oggi un po' dimenticata, almeno in Italia, <a href="https://www.imdb.com/name/nm0000392/?ref_=fn_al_nm_1" target="_blank">Morgan Fairchild</a> teneva alto il suo status di sex symbol degli anni 80, con una bellezza patinata in questo caso congeniale al suo personaggio, una delicata donna dell'est fuori luogo nel selvaggio West. <br />
<br />
Il limite del film e' che al carattere oscuro della vicenda e del protagonista non sempre corrisponde una messa in scena all'altezza. Alla sua unica regia, il per altro non banale sceneggiatore Wittliff (che per Nelson gia' aveva scritto <a href="http://filmwestern.blogspot.com/2014/12/el-gringo-barbarosa.html" target="_blank">El Gringo Barbarosa</a>), si limita ad una corretta, ma troppo illustrativa, esposizioni di fatti. Azzecca delle scene di violenza spoglie e casuali, ma le atmosfere e il ritmo sono un po' troppo da normale film western e il carattere gelido e crudele della storia non e' sempre assecondato. Ne consegue, ad esempio, che alcuni paradossi morali della vicenda, coerenti nella versione musicale, risultano incongrui sullo schermo, a cominciare da un lieto fine quanto meno politicamente scorrettissimo, considerato che in fin dei conti parliamo di un film su un femminicida.Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-40977925594595050232019-09-25T23:48:00.003+02:002019-09-27T13:45:26.779+02:00MADRON<img border="0" data-original-height="301" data-original-width="567" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhriUyDVUp3OOknIX4UdiqqU18Zj593o1T7dFgRSieNpC2EMQq6WnDDrFTcWzvOJEpUVQDMbXTeqOAI8mS4XpRnAUn38KtnzTl6m-1np-tFEKGpu-npvUXOc0luVxzHIyogo9U1RyXoTCsy/s1600/madronfr.jpg" />
<br />
<br />
1970 <i><span style="font-size: large;"><b>Madron / </b></span></i><i><span style="font-size: large;"><b>His Name Was Madron</b></span></i><br />
<i>di Jerry Hopper. Con Leslie Caron, Richard Boone, Paul Smith</i><br />
<br />
Adorabile e misconosciutissima produzione americana girata in Isreale. Come un po' tutta la manciata di western girata da quelle parti in quegli anni ha un'aria sgangherata e poverissima. Non c'e' neanche quasi una storia, ma solo una situazione tirata per le lunghe: dopo essere sopravvissuta al massacro della sua carovana una suora si aggrega a un ispido e riluttante bandito, il Madron del titolo. Tra agguati apaches e scontri con bandoleros ovviamente tra i due nascera' del tenero.<br />
Il modello e' chiaramente "Gli avvoltoi hanno fame" di Siegel dell'anno prima, di cui e' quasi un istant-remake da morti di fame. Anche qui si tenta di unire una certa estetica spaghetti western (le belle musiche sono di Riz Ortolani) al filone dei western commedia che andavano di moda in America ai tempi. Nonostante la disparita' di mezzi, e nonostante Jerry Hopper (al suo ultimo film) non sia chiaramente Siegel, e' uno di quei casi in cui la serie B, anzi la C, batte la A.<br />
<br />
La poverta' estrema della messa in scena, visibile anche in qualche scena d'azione montata un po' a caso, finisce per sembrare quasi poetica, coi due protagonisti che per quasi tutto il film vagano soli in mezzo al giallognolo e fascinosamente desolato deserto isrealiano.<br />
<br />
<img border="0" data-original-height="312" data-original-width="425" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeNBh1HU5lx-wOfWs9lvvC7d9yd5sXquy_DDVUNusQv3s-Jt7Z0Co2MXPxmJjdbWXkcfIqKOAnRAFQzDAmMjDGpZWdQ1d_73273jRJSri9f-v94yCXllzYjGBlutN-ig87FzXkax4VLcN-/s1600/madron.jpg" /><br />
<br />
Sono proprio i protagonisti che funzionano meglio rispetto al film di Siegel. Leslie Caron fa molte meno smorfie della McClaine ed e' dolce e bellissima, forse piu' di quanto non sia mai stata neanche da giovane (qui andava per i 40), col volto incorniciato dal velo bianco da suora ha persino un che di rinascimentale. Anche Richard Boone e' un attore piu' versatile di Eastwood, e sa dosare meglio cialtroneria, timidezza e romanticismo. Tra i due l'intesa sembra vera e soprattutto negli ultimi venti minuti di film raggiunge una bella intensita' malinconica, fino al triste epilogo. <br />
<br />
In Italia e' circolato (probabilmente poco) con l'anonimo e assurdo titolo "La valle dei comanches".<br />
<br />
<img border="0" data-original-height="315" data-original-width="425" height="237" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVyi8NcygyeZg2lkMfEZl0vwqfp9rAR_CYydujUfKF8JPjQlHnMPEETsNbeOwFjSQDywG5Sjda8Cy1fnmVJS0ohK0HQ352rnzJeAYrqZPHwPMJNaKGAvRu9tN_KUwWIehufSwRsWPZr-jH/s320/madron1.jpg" width="320" />
Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-62759209946507273882018-09-18T22:10:00.000+02:002018-10-03T11:39:42.179+02:00GOLD<img border="0" data-original-height="390" data-original-width="591" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhk02AXzcVY6r6BLqeu6Km6D7sXivz9uYDKzvd9WgHYoS0QbyuLCEAQTFjZJkvfDWsuBTzEN6PhKZj7rcdpAqC1QRf-Uk5ZdDJFhsd8OroeAu1sa1v9ViqfND7Cd_7srJBgKozSZAx-vrKd/s1600/gold_2013_thomas_arslan_1.jpg" /><br />
<br />
2013 <span style="font-size: large;"><i><b>Gold</b></i></span><br />
<i>di Thomas Arslan di Nina Hoss, Marko Mandic, Peter Kurth, Uwe Bohm</i><br />
<br />
Canada 1898: una piccola carovana di emigrati tedeschi viaggia verso ovest, attirata dal miraggio dell'oro. Mal gliene incolse.<br />
<br />
Questo piccolo film tedesco, la cui uscita in questo blog avevamo pure <a href="http://filmwestern.blogspot.com/2013/02/prossimamente-gold.html" target="_blank">segnalato</a> all'epoca (con qualche dubbio) e che poi non avevamo piu' ripreso, nulla ha a che fare con gli avventurosi <a href="http://filmwestern.blogspot.com/2012/01/western-tedeschi-1.html" target="_blank">kraut western</a> degli anni 60. Puo' funzionare, piuttosto, come una specie di cartina di tornasole del genere degli ultimi anni, dato che sembra racchiudere molti elementi che hanno caratterizzato diversi dei non molti, ma nemmeno pochi, western usciti in questo decennio ormai agli sgoccioli. C'e' l'ormai quasi irrinunciabile protagonista femminile (l'ottima e affascinante Nina Hoss), c'e' il ritmo tipico da film indipendente: "troppo lento" o "fascinosamente meditativo" a seconda dei gusti, c'e' la visione di un west scolorito e inospitale come non mai, c'e' il viaggio verso il nulla dominato dalla presenza costante della morte.<br />
<br />
<i>Gold</i> assomiglia molto a <a href="http://filmwestern.blogspot.com/2014/12/meeks-cutoff.html" target="_blank">Meek's Cutoff</a>, ma l'opera minimalista di Kelly Reichardt potrebbe quasi passare per un normale film hollywoodiano in confronto a questa ancor piu' prosciugato film di viaggio all'insegna della morte, dove si parla ancora meno, dove i personaggi sono visti quasi come insetti e muoiono spesso da tali. Il fantasma di un altro titolo aleggia su tutta la pellicola, quello di <a href="http://filmwestern.blogspot.com/2012/05/i-film-28-dead-man.html" target="_blank">Dead Man</a> di Jim Jarmusch, del resto evocato esplicitamente dalla colonna sonora. E in effetti i personaggi, caratterizzati il meno indispensabile e tutt'altro che simpatici e accattivanti, sembrano dei tanti piccoli "dead men", immersi in un Far West piu' indifferente e letale dello spazio profondo, dove si puo' morire o cercare volontariamente la morte ad ogni passo, spesso per i motivi piu' futili e casuali. Raramente si e' visto un western piu' "ateo", sia in senso letterale, sia nel senso di "fede" nel genere cinematografico, dato che tutti i luoghi comuni del genere sembrano svuotati di ogni senso e possibile risvolto positivo. Al termine del film, dopo un ossessivo susseguirsi di alberi dopo alberi, non c'e nemmeno un qualche Cuore di Tenebra o la fine del viaggio, ma solo altra morte casuale e ancora altri alberi.<br />
<br />
Operina a suo modo radicale, spietata e gelida, fatta apposta per respingere o per affascinare.<br />
<br />
<img border="0" data-original-height="414" data-original-width="567" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkWqDIRgoNjXthPuG-WzSwas9oPQEpq9drL6968uhuoVtB5_GlWEmALAUjm8dmlVX0OLlMTpR1FnhMEIHD6bF9nJY5RoyFBAqnp2CQ4xVuYAC5RYC77HC3jpMkf0PiCymABk_j4MB9M7xS/s1600/147016820957a0fc91880b1.jpg" />Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-6429202696536292462018-09-14T13:16:00.001+02:002018-09-14T14:15:25.095+02:00HOSTILES<img border="0" data-original-height="395" data-original-width="551" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjq6tKkh4DznxY1lZDsCDRhES_-QGEJb7UTQO64uLPNQ4JtgWI8giZvJwsFFMlTqXq_px8czB3fx7gP6tKlgH-hPnRMduZ9bLUSBnXdj-drzxD_tReRoUrwbj3MnSVsvZIYcExtKnmf9B6C/s1600/Hostiles_western_2017_1.jpg" />><br />
<br />
2017 <span style="font-size: large;"><b>Hostiles</b></span><br />
<i>di Scott Cooper con Christian Bale, Rosamund Pike, Wes Studi, Adam Beach, Q'orianka Kilcher, Rory Cochrane, Peter Mullan, Stephen Lang, Ben Foster</i><br />
<br />
"Hostiles" e' un film interessante fin dall'idea di fondo che sembra sostenerlo: la
visione dell'epopea del West come una guerra infinita e atroce, di cui
il film racconta le fasi finali, tanto che tutti i protagonisti sembrano
afflitti da una modernissima sindrome post traumatica da stress.<br />
E' un film ben diretto da un solido artigiano come Cooper, che ha girato intorno al genere fin dall'esordio "Crazy Heart" (il ritratto di
un cantante country alcolizzato, forse il suo
titolo migliore perche' il piu' asciutto) e, ancora di piu', col successivo livido dramma suburbano "Il
fuoco della vendetta".<br />
E' un film che non ha paura di prendersi i suoi tempi e di assestare allo spettatore dei feroci pugni allo stomaco. E forse ancora piu' coraggiosamente e' un film che a livello di fotografia rinuncia agli standardizzanti e onnipresenti filtri odierni, facendo respirare gli splendidi paesaggi nei loro colori naturali. <br />
Ed e', abbastanza ovviamente visto il cast di prim'ordine messo in campo, un film ottimamente interpretato.<br />
<br />
Eppure a "Hostiles" manca qualcosa per fare quello scatto che eleva un buon film con tutte le sue cose in ordine a un bel film. O meglio, ha qualcosa di troppo, una specie di vergogna di raccontare quello che sta raccontando. Sostanzialmente sembra di vedere un western che chiede continuamente scusa di essere un western, con il senso di colpa che attanaglia il protagonista e i suoi compagni d'armi per il troppo sangue sparso che pare essersi trasferito agli autori. O viceversa. <br />
Di questo vizio di base ne fa le spese la sceneggiatura, a volte claudicante con passaggi didascalici e fin troppo esemplificativi. Quando vediamo una giacca blu dell'ottocento in esaurimento nervoso che chiede letteralmente perdono ai "nativi", prima di farsi saltare il cervello, capiamo che non e' piu' il personaggio che parla, ma gli autori.<br />
<br />
Vista la natura comunque dura e crudele del film il politicamente corretto provoca anche dei paradossi curiosi: tipo l'esasperata e
continuamente rimarcata malvagita' di tutti gli avversari in cui si imbattono i
protagonisti (stragisti, stupratori, prevaricatori, razzisti) che da visione foschissima della realta' del vecchio West rischia di scivolare nella paraculata, dato che finisce per giustificare agli occhi
dello spettatore qualsiasi atto di violenza praticato dai "buoni".<br />
<br />
Ad un certo punto viene anche citato, fin troppo esplicitamente, il monologo finale di Clint Eastwood de <a href="http://filmwestern.blogspot.com/2012/05/i-registi-12-clint-eastwood.html" target="_blank">Gli spietati</a>. Ma laddove per il personaggio di Eastwood l'aver "ucciso donne e bambini" e "creature che camminano e
strisciano in tempi lontani" era un'ammissione di dannazione di dimensioni bibliche e dunque comunque epiche, lo stesso discorso messo in bocca a personaggi in preda a mille sensi di colpa (e un po' tutti dalla lacrima troppo facile) da' la sensazione di una visione quaresimale e alla fine manichea della Storia, con e senza la maiuscola. <br />
<br />
In definitiva, buon film "Hostiles", ma la cui affascinante cupezza odora a volte piu' di contrizione contingente che non di tragedia universale. <br />
<br />
<img border="0" data-original-height="506" data-original-width="394" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvBKz9i3ibf0OwCA6iafrn3V2ZQ1ql3fVaec5vxpP8wh-Gl6_UBZ8cyaP6hC5mOCkWTAWfz4uBOA062M3wj3pcz4RWoM17mvhRwz-hsYTv24LA64JhsBVaHmsT3EcEaeBM1J8OAU83jf79/s1600/Hostiles_western_2017_2.jpg" />Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-91819126056073229572018-09-09T12:48:00.000+02:002018-09-18T22:19:09.489+02:00DAN CANDY'S LAW / ALIEN THUNDER <img border="0" data-original-height="419" data-original-width="545" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTYv4B-TI8tjozja5sGE3d-eLODt0EYfg9hDLP4Fy_ubyU5fdJOEQoBnIdXXKnLotsFc6VjERvZHx7j2FrNB54xRLx27j8mpNceEegKVzoTrN31wqKXDpo8tvD5jOO4B_vtNXs8otJ0-ph/s1600/alien_thunder_1974.jpg" />
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1974 <span style="font-size: large;"><b>Dan Candy's Law / Alien Thunder </b></span><br />
<i>di Claude Fournier con Donald Sutherland, Kenin McCarthy, Chief Dan George, Gordon Tootoosis, Francine Racette, </i><i>Ernestine Gamble</i><br />
<br />
Ispirato ad un fatto vero. Saskatchewan 1880: piu' per ottusa testardaggine che per autentico spirito di vendetta, il sergente delle Giubbe rosse Dan Candy (Donald Sutherland) si imbarca in una faida personale con un indiano cree, colpevole dell'omicidio di un suo collega e amico. <br />
<br />
Bellissimo e dimenticatissimo titolo canadese. Western autunnale se mai ne e' esistito uno, dato che gli splendidi paesaggi autunnali e invernali sono forse i veri protagonisti del film. Al termine dei titoli di testa Fournier viene accreditato come regista e direttore della fotografia, tutta sua quindi l'atmosfera fosca e quasi bruegheliana in cui e' immersa questa storia di stanca vendetta e quieta tragedia, con l'enormita' dei paesaggi selvaggi che minimizza le azioni degli uomini. Film quasi cronachista e anti-spettacolare, che sta dietro ai fatti e alle azioni quotidiane, che si attarda piu' a cercare la poesia nel volto di una ragazza indiana tra i rami, che non a spiegare le psicologie dei personaggi o le ragioni storiche e sociali di quel che accade. <br />
<br />
Un inno visivo al Canada, a quella sua aria un po' misteriosa, da West piu' freddo e filtrato da un antichita' europea. Ma di contro anche un velenoso sberleffo al mito della Giubba Rossa. Se gia' Sutherland, con la sua solo presenza, fornisce una figura di giubba rossa poco eroica e ancor meno aristocratica (in un'ironica sequenza lo si vede attendere il suo avversario nel campo indiano, ma i cree gliela fanno sotto il naso comunicando tra loro con i versi degli uccelli), ci pensa il finale a mettere in una luce definitivamente grottesca quello che in fondo fu comunque il braccio armato di una potenza colonizzatrice. <br />
<br />
<i> </i> Oltre a Sutherland ci pensa il faccione di Chief Dan George, nella sua consueta parte di saggio capo indiano, a dare al film qualche lieve tocco di simpatia umana. <br />
<br />
<img border="0" data-original-height="506" data-original-width="394" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9A8LF8VuSYeT3ntdQH1PUvzO-EN4JENM8wNzW5m-KTuPYFkgSq1ye83HSaI2g5kJXsTY325ItBmIraWp4RlypqDhn1vZCMTZD0V8uogQZcaRl1TApIoqxldWlG5WlOpkBteZx9NMHE36M/s1600/Dan_Candy%2527s_Law_1974.jpg" />Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-43903275863660521802018-02-10T03:22:00.000+01:002018-09-09T16:32:04.224+02:0015:17 – ATTACCO AL TRENO<img border="0" data-original-height="1067" data-original-width="1600" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEganKRB_EVgascqBbisF1oOwK1YU2A2-JUlOOzwZYvCwGHzkuUoUh28d7l_UF6o-E8dfyl6AcReuoNPSauuCiXKXqR00DI1Pk1EMJqiW07zA56Q7B2GeeAZbt0FFZ6mdVyPXyAGKvXOgsB9/s400/The-15-17to-Paris-movie-poster-1.jpg" width="400" /><br />
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2018 <b> <span style="font-size: large;">Ore 15:17 - Attacco al treno</span></b><br />
<i>di Clint Eastwood con Anthony Sadler, Alek Skarlatos, Spencer Stone, Jenna Fischer, Judy Greer, Ray Corasani, Shaaheen Karabi, William Jennings, Thomas Lennon, Jaleel White, Tony Hale, Sinqua Walls, P.J. Byrne, Helene Cardona</i><br />
<br />
Una piccola deviazione, ma è l’occasione giusta per dire due-tre cosette anche sul western.<br />
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L’operazione compiuta da Eastwood per <i>The 15:17 to Paris</i> – scritturare per un film di <i>fiction </i>gli autentici protagonisti dei fatti narrati, Sadler, Skarlatos e Stone, i tre cittadini americani che nell’agosto del 2015 sventarono un attentato di matrice jihadista sul treno Thalys 9364 diretto a Parigi – non è ovviamente priva di precedenti. Anzi, si può ragionevolmente affermare che il cinema nasce con tale procedimento, nel momento in cui i Lumière chiedono agli operai dello stabilimento di Montplaisir di <i>rifare</i> la loro uscita dai cancelli a favor di macchina (<i>L’uscita dalle officine Lumière</i>, 1895), o nel momento ancora precedente (1894) in cui Dickson ed Heise ingaggiano Annie Oakley per <i>inscenare</i> al Black Maria di Edison uno dei suoi celebri spettacoli di tirassegno. Per chi consideri le categorie del cinema evoluto o narrativo inapplicabili al cosiddetto Sistema delle attrazioni mostrative (1895-1906), ci sono esempi più vicini a noi: nel 1920, per esempio, Babe Ruth interpreta sé stesso nel brutto <i>Headin’ Home</i> di Lawrence Windom, ma citiamo anche il caso di Audie Murphy, che in <i>All’inferno e ritorno</i> (<i>To Hell and Back</i>, 1955) di Jesse Hibbs presenta – pur, va detto, con un’ormai quasi decennale carriera d’attore alle spalle – la propria autobiografia di reduce pluridecorato della Seconda guerra mondiale. Venendo a riferimenti decisamente più a portata di mano, è sicuramente curioso il caso di <i>Act of valor</i> (2012) di McCoy & Waugh, un giocattolone vagamente propagandistico che affianca ad attori più o meno noti veri SEALs e SWCC, coperti però da anonimato. L’utilizzo di <i>real-life heroes</i> al posto di interpreti pone dal punto di vista della teoria dell’attore interessanti questioni: sembrerebbe aprire una terza via tra <i>immedesimazione</i> e <i>straniamento</i>, quella platonica dell’<i>anamnesi</i>. Immagino però che Clint Eastwood direbbe di Platone quello che Wyatt Earp diceva di Amleto: «That feller was a talkative man: he wouldn’t have lasted long in Kansas». Proviamo ad avvicinarci dunque al cuore di questo bel film. <br />
<br />
<i>The 15:17 to Paris</i> è per Eastwood il coronamento di un discorso intrapreso con <i>American sniper</i> (2014) e proseguito con <i>Sully</i> (2016), assieme ai quali forma uno splendido trittico sull’eroismo dell’<i>american man</i>. I primi due capitoli terminano con filmati di repertorio: l’uno si risolve sui funerali del vero Chris Kyle, l’altro sulla <i>reunion</i> del vero Sullenberger con i passeggeri del famigerato volo US Airways 1549 terminato nell’Hudson. Con il senno di poi, considerata la consequenzialità del cinema eastwoodiano, il passo successivo non poteva essere che prendere direttamente chi in quei <i>footage</i> ci stava. Per il regista californiano non esiste sperimentazione, soltanto necessità discorsiva. Nulla è superfluo in <i>The 15:17 to Paris</i>, nemmeno ciò che sembra tale: le peregrinazioni turistiche tra Italia, Germania e Olanda dei tre protagonisti, tra <i>selfie</i> e serate alcoliche in discoteca, servono perfettamente a dare la dimensione dell’<i>average american man</i>, colto anche nel suo rapporto fantasmatico con il Vecchio continente – superbo da questo punto di vista il <i>qui pro quo</i> sul suicidio di Hitler con la guida tedesca. In un grande libro di Richard Hofstadter, <i>Società e intellettuali in America</i> (<i>Anti-intellectualism in American life</i>, 1963), possiamo recuperare il fulminante slogan che nel 1824 riassumeva a livello popolare i due poli della campagna presidenziale allora in corso: «John Quincy Adams who can write and Andrew Jackson who can fight». L’America è sempre stata questa dualità e chi non lo accetta rischia di non coglierla nella sua anima (o di perdere le elezioni). Sadler, Skarlatos e Stone sono tre uomini jacksoniani. Non sanno "scrivere", non sono nemmeno uomini dalle carriere straordinarie – sono molti gli incidenti di percorso di Stone nell’esercito, Skarlatos è utilizzato in missioni di secondo piano, Sadler è un semplice studente - ma hanno <i>capacità di reazione</i>. Capacità e velocità di reazione sono concetti centrali nella cultura americana e li troviamo ovviamente esemplificati alla perfezione nel western: una Colt al fianco significa capacità immediata di risposta alla minaccia, ma la discriminante tra vita e morte dipende dalla velocità con cui tale risposta è ingaggiata. Inutile dire che la filmografia di Eastwood ha un rapporto strettissimo con l’universo (morale, etico, politico) del genere americano per eccellenza. A questo proposito non è chiaramente casuale il rimando a <i>3:10 to Yuma</i> (<i>Quel treno per Yuma</i>, 1957) nel titolo originale: anche il capolavoro di Daves metteva in scena l’eroismo dell’uomo comune in circostanze eccezionali.<br />
<br />
Dal punto di vista strutturale, <i>The 15:17 to Paris</i> è costruito come un’enorme analessi rispetto al momento topico dell’attentato. I flashback sono il <i>Bildungsroman</i> dei tre protagonisti, dei quali apprendiamo il rapporto complicato con l’istituzione scolastica, il <i>milieu</i> cristiano di provenienza, la passione per le armi ed il culto precoce del cameratismo, anticamera all’arruolamento nell’esercito di due di essi. L’insistenza sulla tematica religiosa (ritornerà enfatizzata dalla voce fuori campo nel prefinale) e sulla vocazione militare (che Eastwood, attenzione!, non appoggia ottusamente, ci mancherebbe: la locandina di <i>Full metal jacket</i> in bella vista non può essere casuale) non hanno nulla a che fare con la retorica nel suo abusato senso dispregiativo: ancora una volta, cadere in questo trabocchetto significherebbe ignorare una parte consistente del vecchio spirito americano - che ancora sopravvive e si fa sentire, distante dai <i>long drink</i> cittadini -, per la quale religione ed esercito sono <i>momenti della comunità</i> molto più che pratica esteriore o semplice professione. Ripassare il buon vecchio John Ford non fa mai male. Troppo lontano? Reportage di Antonio Preiti per <i>News List</i>, gennaio 2018. Titolo: <i>Benvenuti nella Trumpland</i>. L'autore chiede ad un uomo di Nashville, Tennessee, spiegazioni sui numerosissimi e monumentali presepi allestiti nei giardini delle tipiche villette a schiera. La risposta è questa:<br />
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<img border="0" data-original-height="361" data-original-width="787" height="291" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiB4SsRFpb4bH-0AAIEfmDohkbOkHcd61NQ-SjhRdMn1ZhYYKu2FojfRSLFIjvoaatxm8YUF3AQeYb_AoLwtIRCFySWvNiHEAu8TmhZ3bA9wZMZt-HLdKSf5okWn7c1W4-33cOTJ-C3aaHA/s640/Screenshot-2018-2-10+List+.png" width="640" /><br />
<br />
Qual è il punto? Che Eastwood ha la schiettezza e la pulizia dei classici e paradossalmente, nell’epoca del postmoderno avanzato, è proprio questo approccio ad essere diventato straniante. Facciamo ormai fatica a ricevere un discorso che non si decostruisca dall'interno nel momento stesso in cui si dipana. Non riusciamo più a prendere sul serio nulla, ci <i>deve</i> essere l'ironia, ci <i>deve</i> essere il nichilismo a buon mercato a smontare tutto. Non siamo più abituati alla limpidezza.<br />
<br />
Ecco, fermiamoci qui: diciamo semplicemente che <i>The 15:17 to Paris</i> è un film limpido. È il più bel complimento che gli si possa fare.<br />
<br />
<br />
<i>Paolo Antonio D'Andrea</i>
Paolohttp://www.blogger.com/profile/13899007601911979149noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-30182708262199060302016-12-09T11:00:00.001+01:002016-12-12T02:45:56.239+01:00The Homesman<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcQ6PqMa4yANtomwmrhfw8AmYCTgRtGzlaRN9-7WDvdEV-YXpph8l78_dW-ePp5OjJ7OcqP2X3poTmAyht-VCM-ZzqiuD8R2B11t6S7esTyw9N3Ugw99hHG8yQmBq4ChbPROBYfh7zB7Gb/s1600/homesman_1.jpg" />
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2014 <span style="font-size: large;"><b>The Homesman</b></span><br />
<i>di Tommy Lee Jones con Tommy Lee Jones, Hilary Swank, Meryl Streep, Grace Gummer, Miranda Otto, Sonja Richter, David Dencik, John Lithgow, Tim Blake Nelson, James Spader; William Fichtner, Jesse Plemons, Evan Jones, Hailee Steinfeld </i><br />
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Non ce ne vogliano <a href="http://filmwestern.blogspot.sg/search/label/Quentin%20Tarantino" target="_blank">Tarantino</a> e i <a href="http://filmwestern.blogspot.sg/2013/04/le-monografie-9-il-grinta.html" target="_blank">Coen</a>, ma, come già undici anni fa con <a href="http://filmwestern.blogspot.sg/2012/03/nuovi-western-2005.html" target="_blank"><b>Le tre sepolture</b></a>, anche in questi anni 10 Tommy Lee Jones è salito in cattedra (con gli stivali da cowboy) e ha sfoderato un'opera per cui potremmo riciclare le stesse identiche parole usate per descrivere il suo capolavoro del 2005: <i>"Non solo il probabile capolavoro western del decennio, [...] ma uno dei più preziosi e solitari film americani degli ultimi anni."</i><br />
Tutto questo almeno agli occhi dei non molti che hanno avuto la possibilità di vederlo. Circostanza particolarmente difficoltosa in Italia, dove la solita distribuzione demente ha provveduto a distribuirlo con due anni di ritardo e solo per il mercato home video.<br />
<br />
Il quarto titolo da regista di Tommy Lee Jones - contando i due tv-movie <i>The Good Old Boys</i> del '95 e <i>Sunset Limited</i> del 2011, adattamento di un testo teatrale del molto affine Cormac McCarthy - è tratto dall'omonimo e ultimo romanzo di <a href="https://en.wikipedia.org/wiki/Glendon_Swarthout" target="_blank">Glendon Swarthout</a>, che negli anni 70 aveva già regalato al cinema western la storia per l'addio di John Wayne, <i>Il Pistolero </i>di Don Siegel.<br />
<br />
<i>The Homesman</i> è un racconto di viaggio e di follia. Tre donne impazziscono per le impossibili condizioni di vita della frontiera. Per una sorta di riscatto personale una ranchera senza famiglia (Hilary Swank) si assume l'incarico di trasportarle con un carro all'est, dove potranno essere almeno accudite. Un vagabondo a cui la donna salva la vita (Tommy Lee Jones) diventerà il suo ispido e poco motivato compagno di viaggio.<br />
<br />
Curiosamente nel 2008 era uscito un fiacchissimo filmetto per la tv con una trama molto simile, <b>La febbre della prateria <i>(Prairie Fever)</i> </b>di Stephen Bridgewater e David S. Cass, dove a dover trasportare nella prateria con un carro tre donne impazzite era Kevin Sorbo, l'Hercules televisivo degli anni 90. E già solo questo fa intuire la differenza di tono tra le due pellicole.<br />
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<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjL6lxB2Eu6pZhVXzd6pt05wBTQ9T3gmwoDT4-xXeRVM6g2SgwAYLIMeALSVOf-uaC4kwggWJu94-SIZ0VG6v9PbE0G2kjo5N40PL44k3R3Ti07-h6ngAy3wLTcAq1kV9GN4azCVh935Dhx/s1600/homesmen.png" /><br />
<br />
Come già ne <i>Le tre sepolture</i> l'attore-regista dimostra di possedere una sensibilità unica, sia come narratore laconico di personaggi indimenticabili e umanissimi, sia nel saper catturare su uno schermo la gelida e indifferente bellezza della natura, riuscendo a creare atmosfere sature e nitide, di un profondità allusiva che rimanda al miglior cinema americano degli anni 70. Un altro racconto di viaggio attraverso paesaggi splendidamente desolati, che diventano lo specchio crudele in cui i due protagonisti saranno costretti a specchiarsi. <br />
<br />
<i>The Homesman</i> è anche un film sulla follia, raramente sbattuta in faccia allo spettatore in modo così diretto e brutale in un film di finzione, soprattutto americano. Non si fanno molti sconti allo spettatore nel mostrare cause ed effetti della malattia mentale delle tre donne. Nella prima mezz'ora di film Tommy Lee Jones usa delle sconnessioni temporali per creare un accavallarsi imprevedibile di brevi sequenze, in cui si mescolano pugni nello stomaco (un neonato gettato in una latrina) e episodi di ambiguità fantasmatica, in cui lo spettatore non sempre comprende se quel che vede è la realtà o sono situazioni filtrate dalla mente allucinata delle tre donne impazzite.<br />
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<img border="0" height="351" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKWGwmGuqUkMAa0DxGw3WH6mQjcG1RyPD8s8ausT5BDDnlgUBldSyK7ADGXUrlsCss51Hm3f2ZPYA9z3pxyuBmhr3DGQswK3LVFZ-6H49kgSl-fWxQetH5biCe2cpnXL6J-HvAJ0do2eCD/s400/The-Homesman-Main-Review.jpeg" width="400" /><br />
<br />
Come in altri titoli di questi ultimi anni è un film che mette in scena un punto di vista femminile sul West. Quello distorto delle tre donne malate, che fuggono attraverso la follia da una vita di una durezza insopportabile. E quello dispertamente solitario della protagonista, condannata a restare una "signorina" perché la sua ipersensibilità e il suo bisogno di calore umano sono scambiati per smania zitellesca di trovare "l'uomo di casa" del titolo. L'immagine di Hilary Swank che finge di suonare un piano ricamato su un
tappetino è una folgorante metafora del labile confine tra sanità e malattia
mentale, differenza spesso stabilita solo dal contesto. Ma pur mostrando simpatia per le sue anti-eroine Tommy Lee Jones non concede letture consolanti. Se il suo è un cinema che ritrae un mondo di perdenti e di esistenze al margine, le donne in quel mondo sono destinate alle sconfitte più feroci e totali. Nessuna cura attende le tre malate alla fine del viaggio e anche il tentativo della protagonista di trovare una dignità per se stessa e per le tre poverette verrà ripagato dalla realtà nel più spietato dei modi.<br />
<br />
Allo stesso tempo è impossibile non provare simpatia per il personaggio interpretato dallo stesso Tommy Lee Jones, nonostante sia un concentrato di tutti i peggiori vizi che si possono attribuire ad un maschio adulto: vagabondo, perditempo, sporco, rozzo, insensibile, egoista, all'occorrenza assassino spietato. L'incontro con le quattro donne lo costringe per un momento ad uscire dalla sua vita stordita e senza scopo, ma è una crescita umana da cui ricaverà solo rimorsi e il realizzare della sua irrimediabile solitudine.<br />
<br />
La presenza di Hailee Steinfeld, nella parte della ragazzina a cui il protagonista fa una tragicomica proposta di matrimonio, suggerisce un accostamento con la recente versione de <a href="http://filmwestern.blogspot.sg/2013/04/le-monografie-9-il-grinta.html" target="_blank">Il grinta</a>. Se il film dei Coen descriveva un mondo in cui il paradosso e l'irrazionale erano dentro la realtà stessa delle cose, Tommy Lee Jones si spinge un po' più in là descrivendo un mondo in cui è la follia ad essere insita in ogni cosa, nella crudeltà inconcepibile della natura, nella violenza irrazionale che sembra governare il comportamento di tutti i personaggi che i protagonisti incontrano durante il viaggio. <br />
<br />
<img border="0" height="303" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijPumUWl2LDAsqOIKrNERo2Sa0aqm5CArtM6Smxn2FuTVQrw1plDiIanWB2MyZx-s1WxVltqNgFy631dFyhzi0lquAaGBHY76JJHEZXE_GrM6a1CJcru_faUqwjNsFVSmq70kelRL9UlNS/s400/tommy.jpg" width="400" />
<br />
<br />
Quello che Tommy Lee Jones ricava dal romanzo di Swarthout è anche un affondo politico nerissimo e spietato nei confronti dell'America dei giorni nostri.
La metafora non potrebbe essere più esplicita e potente quando si assiste ad una delle rese dei conti finali più nichiliste e casuali mai viste. Resa dei conti non gratuita, però. Con la stessa rabbia senza speranza con cui il suo personaggio porta a compimento una vendetta che non porta alcun
sollievo o senso di giustizia, così l'autore descrive una grande nazione fondata sul sangue e il sacrificio di pionieri
poveracci e disperati, dove alla fine però a stabilire chi possiede cosa, a spartirsi la torta e a banchettare (letteralmente) sono solo i più ricchi e avidi. Una visione del tutto simile a quella del Cimino de <i>I cancelli del cielo</i> (significativa la presenza di un cameo di Meryl Streep, scoperta proprio da Cimino ne <i>Il cacciatore</i>), probabilmente meno scandalosa solo perché quello di Tommy Lee Jones è un film a basso costo, non un kolossal eretico che "spreca" una montagna di dollari per attaccare una società fondata sul dollaro. <br />
<br />
Una visione che a poche settimane dalla grottesca vittoria di Trump
acquista ulteriore lucidità e si illumina di luce ancora più sinistra,
ma che non è ottusamente manichea. Il film si guarda bene infatti dallo
scadere nella retorica inversa e non idealizza in nessun modo la figura
del povero colono e dell'America provinciale, di cui anzi mostra la violenza, la grettezza, l'egoismo, l'insensibilità
e soprattutto la profonda ipocrisia morale.<br />
<br />
I tentativi di ristabilire un po' di giustizia nelle cose o anche solo i semplici atti di gentilezza sono sterili e spesso postumi: la vendetta senza catarsi del
protagonista, il tentativo di dare alle tre donne impazzite un'esistenza
più dignitosa da cui probabilmente non trarranno comunque beneficio, il tema delle sepultura come ultimo ed estremo atto di rispetto della dignità umana. Tema quest'ultimo che riporta a <i>Le tre
sepolture</i>, film che nella sua cupezza necrofila lasciava nel finale
uno spiraglio alla speranza, una possibilità di riscatto attraverso
l'assunzione (pur coercitiva) di un senso di responsabilità verso il
prossimo. Spiraglio di speranza negato in <i>The Homesman</i>.<br />
<br />
Il finale è solo oblio, solitudine e disperazione affogata nell'alcool. Le uniche paradossali testimoni della vicenda sono tre donne, rese virtualmente cieche e mute della loro follia. Il tempo cancellerà ogni cosa, come la corrente del fiume porta via la lapide di legno, in una delle immagini finali più potenti e sconsolate del cinema recente.<br />
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<img border="0" height="317" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuOopa7pugJ7s5G8eaHk6G2_W1-c0k1OMDylHU1yYJCVJbS0NgceW_d23K6tj8GohBidLPdKyG4bO_ErRP5XPJLYUfaK0_uv4JiL1jzUWHotSiLhzmfckz0EfSS62AtklBwiNwALPPonP2/s400/e5917-homesman3.jpg" width="400" /><br />
<br />
Nel ruolo potenzialmente scivoloso delle tre malati mentali se la cavano con classe e intensità Grace Gummer, figlia di Meryl Streep, la collaudata caratterista Miranda Otto e l'attrice danese Sonja Richter.<br />
<br />
Hilary Swank aggiunge un altro indimenticabile personaggio nella sua galleria di beautiful loser al femminile. Riesce a commuovere senza essere lacrimosa, rendendo in pieno le sfaccettature di un personaggio tanto apparentemente spigoloso e prosaico quanto alla fine fragile e poetico. <br />
<br />
Tommy Lee Jones sembra uno dei pochi veri sopravvissuti della New Hollywood, stagione che per altro lo vide come attore di seconda fila. Mentre molti divi di quell'epoca sono tristemente decaduti, il suo carisma e la sua figura sono invece cresciuti, rendendolo oggi una specie di Clint Eastwood alternativo, meno glamour e ancora più fuori dalle mode.<br />
Tempo fa fece molto ridere l'immagine di lui unico serio in mezzo a una ridanciana folla hollywoodiana. Anche si fosse trattato di una posa o di una gag preparata, è un'immagine che ci sembra rappresentare alla perfezione i suoi film da autore completo, un cinema adulto e serio in un panorama cinematografico sempre più infantile e scemo.<br />
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Del resto, in confronto a un film complesso, profondo e esemplare come <i>The Homesman</i>, anche alcuni film recenti trattati bene e benino in questo blog ci fanno un po' la figura di film per bambini. Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-77047384319860296922016-12-02T06:38:00.000+01:002016-12-02T13:18:11.699+01:00Kill Or Be Killed <img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUeEW0hWJi-L528rdv-7F-H6OxsEt0gdDQ7fmeFEsTw6p_dEWxZEmzP_yUnhvPD6AGH1it5Kq6tUbazl49vc2cOZ6JJXGQcUPPpT5R1hw6ZjXXEFZhGvO4vqJ3mI68TlT6SCouCs4O4Zs5/s1600/Kill_Or_Be_Killed_1+.jpg" /><br />
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2015<span style="font-size: large;"><b> Kill Or Be Killed</b></span><br />
<i>di Duane Graves, Justin Meeks con Justin Meeks, Paul McCarthy-Boyington, Gregory Kelly, Deon Lucas, Bridger Zadina, Larry Grant Harbin, Arianne Martin, Luce Rains, Timothy T. McKinney, Edwin Neal, Michael Berryman</i><br />
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Una banda di tagliagole, dopo aver fatto evadere un loro complice, si mette in viaggio per andare a recuperare il bottino di una rapina. Durante il tragitto si lasceranno dietro una scia di sangue. Oltre agli sceriffi qualcosa di ben più temibile si metterà alle loro calcagna.<br />
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Bella sorpresina, che riconcilia con la spesso frustrante abitudine di rovistare nel cinema più marginale e arrabattato in cerca di perle misconosciute. <a href="http://filmwestern.blogspot.sg/search/label/weird-western" target="_blank">Weird western</a>, a conti fatti più western che weird, con una componente thriller al limite dell'horror, omaggiando il cinema più cinico e sensazionalista degli anni 70.<br />
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Mettiamo in chiaro la natura del film: trattasi di pellicola dignitosamente guardabile, ma assolutamente e implacabilmente low budget. Le scene d'azione sono girate al risparmio, con spari e incendi visibilmente aggiunti in post-produzione, e gli attori sembrano per lo più non-professionisti.
Dice tutto che il maggior valore produttivo del film sia il fulmineo cameo di <a href="http://www.imdb.com/name/nm0077720/" target="_blank">Michael Berryman</a>, caratterista lombrosiano dal distintivo testone a cono visto in decine di b-movie dagli anni 70 ad oggi. Per altro utilizzato in una particina in cui potrebbe esserci stato chiunque altro al suo posto. Berryman è anche produttore associato del film; a naso potrebbe significare che ha lavorato gratis o per un tozzo di pane e che gli è stato promessa una parte degli (improbabili) incassi del film.<br />
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Insomma, se cercate un film fatto come dio comanda, professionale e rifinito, rivolgete la vostra attenzione pure ad altro. Se invece siete in vena di godervi lo spettacolino di un luciferino e ghignante gran-guignol allestito nel vecchio West, accomodatevi. Non è detto che ne resterete soddisfatti, ma troverete pane per i vostri denti.<br />
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<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRL6TgSgfIg45ZzWxgJAgpyJlPVwwEo2Vah_sPPp93-Z4wCZ9Lqj5E7aj-OBKZcFaeY287F2W2JDj-0zE5biU_BoMENNAo1aOaFc8kQtPS1FT9RPtLOica0cKI0lj4V-GV4qCoBVEvs7Gz/s1600/Kill_Or_Be_Killed_2.jpg" /><br />
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Come altri western a basso budget, ma con una certa ambizione, di questi anni, <i>Kill Or Be Killed</i> racconta di un percorso verso il nulla e la morte. Intuizione visiva felice che il punto di arrivo del viaggio dei personaggi, il nascondiglio del bottino, sia segnato da un buco su una mappa.
La storia inizia come una commedia violenta e picaresca, ma ben presto diventa un piccolo viaggio all'inferno, con un accumularsi di nefandezze che crea un clima malato di totale amoralità. Poi si trasforma ancora in uno slasher stralunato, privo di una suspense tradizionale, dove gli omicidi sembrano punizioni bibliche. Il finale, onirico e agghiacciante, è uno di quelli capaci di far venire la bava alla bocca agli appassionati della verosimiglianza, ma per chi scrive è il colpo di coda finale che eleva il tutto da filmetto interessante a operina compiuta, con una sua poetica e una sua ragione di esistere.<br />
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Lo sviluppo narrativo è quanto meno sgangherato, con almeno un paio di personaggi interessanti che si perdono per strada (tra cui un prete bellicoso), ma Kill Or Be Killed è anche un film a suo modo ben calibrato, non una pellicola che si limita a spingere biecamente il tasto della violenza.
Violenza che infatti più che mostrata viene fatta intuire, esibendone più spesso le conseguenze. Le scene più crudeli vengono sempre lasciate fuori campo, con l'effetto di risultare più inquietanti, mentre abbondano invece i particolari più grotteschi (uno dei protagonisti quasi in ogni scena subisce una qualche mutilazione). Una probabile costrizione dovuta alla ristrettezza del budget trasformata in una scelta stile.<br />
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Soprattutto è un film coerente che sa creare un suo piccolo mondo allucinato. Il west messo in scena è un posto grottesco e squallido, popolato solo da prede e predatori, dove si uccide casualmente e in genere per i motivi più meschini e stupidi. Nel cervello di quasi tutti personaggi del film non alberga troppa intelligenza. A cominciare dai protagonisti. Una banda di mezzi freak i cui delitti vanno dall'omicidio a sangue freddo allo stupro, che vediamo anche commettere piccoli crimini miserabili, di solito furbamente evitati nel cinema che mette in scena dei fuorilegge. Tipo compiere una mezza strage per rubare le offerte di una chiesa o rapinare poveracci come prostitute e barcaioli.<br />
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<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgx0ZSMMP9vI6T1NJtyDzilrOC_3RHf73DkxlbIbMy3E6QOW1d-gD4WgbuxVNvMsTqQfP5JLdWhiPeDo4smdC1JwBeVdhwW_Y4M-pUyzXLd6Q2VvQISTLqTiT8Tsp-pnKQOywgfj1BW6wHU/s1600/Kill_Or_Be_Killed_3.jpg" /><br />
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I due registi, Duane Graves e Justin Meeks (il secondo anche attore protagonista non male, che qui mostra una vaga somiglianza con Oliver Reed, anche per via della stazza), sono una coppia di sinceri appassionati del vecchio cinema da drive in e dei grindhouse. Tra i molti emuli dunque dei soliti Tarantino / Rodriguez / Rob Zombie, ma meglio della maggior parte di quei molti. I loro due precedenti lungometraggi sono due horror che, dai trailer, sembrerebbero interessanti: <a href="http://www.imdb.com/title/tt0829442/?ref_=fn_al_tt_1" target="_blank">The Wild Man of the Navidad</a> del 2008, dall'originale e pittoresca ambientazione redneck, e <a href="http://www.imdb.com/title/tt1740476/?ref_=nm_flmg_dr_2" target="_blank">Butcher Boys</a> del 2012, che pare una specie di versione suburbana di "Non aprite quella porta". Sembrerebbero particolarmente ispirati nel trovare l'orrore in contesti tipicamente americani, intrisi di folklore e disagio sociale, cosa che accade anche in questa loro terza prova .Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-33057813387001639982016-11-28T14:07:00.003+01:002018-09-09T16:30:17.794+02:00Westworld / Il Mondo dei Robot<img border="0" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2KoilyiNUloRSoDO9LHuUpliHlkTrrBZMXI_czcdDjTYurBiMDNzcW3qvyBbpVMehf6DEbfYr3wPzV6WNSla4rC2cCGNUE8spYG0QI_wkPWH5LR0AZHzQ5fTKJgvS1RyM5Zzym4J2xYQO/s400/pdc_westworldbanner.jpg" width="400" /><br />
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1973 <span style="font-size: large;"><b>Westworld / Il Mondo dei Robot</b></span><br />
<i>di Michael Crichton con James Brolin, Yul Brynner, Richard Benjamin, Victoria Shaw
</i><br />
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All'alba degli anni Settanta, Michael Crichton è ad un bivio. Joan, sposata in fretta e furia appena terminati gli studi ad Harvard, lo vuole stabile a La Jolla e possibilmente padre di uno o due marmocchi. Lui pretende tempo e spazio, vagheggia Los Angeles, il posto ideale per chi ha intenzione di guadagnarsi da vivere con i libri. Con i libri e con i film. Sì, perché Michael ha in mano anche un copione per il cinema e sogna di tramutarlo quanto prima in pellicola, nell'aspirazione di lanciarsi come regista. Gli sarà sufficiente sfogliarlo ancora qualche volta e dare altre due occhiate annoiate alla tradizionalista Joan perché quel bivio si trasformi in un'autostrada a corsia unica per la Città degli Angeli.<br />
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Il 1973 non è un anno facile per l'America. La galoppante crisi economica interna sembra senza via d'uscita. Il prezzo della benzina è alle stelle, la disoccupazione pure. A livello di società civile si registra un numero senza precedenti di divorzi, mentre dieci milioni di americani si rispecchiano nella lenta disgregazione della famiglia Loud, protagonista del primo <i>reality show</i> della storia, <i>An American Family </i>della PBS. Le spese folli per il mantenimento delle truppe in Vietnam, i bombardamenti criminali in terra cambogiana, le sanzioni internazionali derivate dall'appoggio militare ad Israele durante la Guerra del Kippur sono soltanto alcuni dei fattori che portano ad una sfiducia totale nelle istituzioni da parte dei cittadini. Sfiducia che sfocia in pessimismo cosmico quando, quello stesso anno, diventa definitivamente di dominio pubblico lo scandalo politico americano per eccellenza: il <i>Watergate</i>.<br />
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Il cinema risponde con straordinaria immediatezza allo sconfortante clima generale. Gli antagonisti dei <i>thriller </i>e dei <i>crime movies</i> diventano improvvisamente, da schegge impazzite in qualche modo "altre" rispetto all'ordine costituito che erano, membri di quelle stesse istituzioni che l'ordine dovrebbero garantirlo. Non è un caso se nel primo <i>Dirty Harry </i>(1971) il nemico è lo psicopatico solitario, mentre nel seguito del '73 Callahan se la deve vedere con una cricca di poliziotti corrotti. <i>Serpico </i>di Lumet, sempre del '73, mette al centro della narrazione, allo stesso modo, una cellula criminale interna alla polizia newyorkese. In <i>Un duro per la legge</i> di Phil Karlson, altro film estremamente esemplificativo del periodo, seguiamo le vicende di un reduce del Vietnam che, fatto ritorno al paese natio, lo scopre in balia di un racket che perpetra le proprie azioni illegali in connivenza con il locale distretto di polizia.
È curioso ma ben comprensibile, d'altra parte, che molti successi di quella stagione siano ambientati negli anni Trenta, il periodo della Grande Depressione, in un tentativo di esorcizzazione della crisi attraverso il ricordo di un'altra crisi: si pensi a <i>Paper Moon </i>di Bogdanovich, alla <i>Stangata </i>di Roy Hill, ma anche a <i>Come eravamo </i>di Pollack. Hollywood, come si può ben capire, o traspone o amplifica o prova a calmierare il livore nei confronti delle istituzioni che è di un'intera Nazione. Un livore che viaggia di pari passi con una perdita di fiducia nel futuro che non è solo politica, ma addirittura esistenziale, capace di mettere in discussione la stessa retorica illuministica del Progresso, vero e proprio caposaldo della cultura a stelle e strisce.<br />
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Progresso, dicevamo. Se è innegabile che a partire dal Ventesimo secolo il Progresso vada di pari passo con l'ampliamento smisurato dell'apparato tecnologico, è altrettanto pacifico che, tra tutti i generi cinematografici, sia quello della fantascienza a rendere al meglio il senso ambiguo di fascino e terrore che il connubio Tecnica-Progresso suscita nell'uomo
occidentale. In quei tempi di sperimentazioni su sistemi di controllo satellitare e ipotesi sempre meglio argomentate sulla possibilità della clonazione genetica, accolte dall'opinione pubblica nel clima di ansia socio-politico-esistenziale di cui sopra, è così inevitabile che escano <i>sci-fi </i>distopiche sul fallimento della tecnoscienza (<i>Il giorno del delfino </i>di Mike Nichols), metafore di instabilità governativa e militare (con riferimenti alla realtà dei colpi di stato in Afghanistan e Cile di quell'anno: <i>Anno 2670 - Ultimo Atto </i>di Jack Lee Thompson), proiezioni disperate sull'America del futuro, martoriata da crisi energetica e sovrappopolazione (<i>2022: I Sopravvissuti</i>, capolavoro di Richard
Fleischer). In questo gruppo potremmo tranquillamente inserire, di primo acchito, anche il nostro <i>Westworld. </i>E lo faremo, in parte. Non fosse che il film di Crichton si rivelerà essere qualcosa di più irregolare, sottilmente ambizioso e larvatamente epocale di tutti i film suddetti.<br />
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<img border="0" height="166" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5Wjb_WoByC15PZrHwiBYQSRtPp6MPfGR4UY8MnGak3sjJE1BP7cqJdwFsEaHKD_0jW22F8YB9MBq_yELOmG2ZJVOzLQihYbxsNAheqyK8GGZDB7bDV6Wyd5SuOkSHSeKfAgj6mAbvyCxg/s400/yul.png" width="400" /><br />
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Abbiamo lasciato Crichton alle porte di Los Angeles. Quello con gli studios hollywoodiani non è un incontro subito idilliaco: ci impiegherà tre anni a trovare i finanziamenti per il suo Westworld, un progetto giudicato inizialmente da tutti troppo costoso. Il definitivo sì della Metro-Goldwyn-Mayer verrà pronunciato ad un prezzo: rinunciare ad ambientare la storia in un mondo "troppo" futuristico e, soprattutto, attenersi ad un tempo di lavorazione tassativamente non superiore ai sei mesi. Crichton accetterà e vincerà la sfida, ripagata poi da un inaspettato successo al botteghino.<br />
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<i>Westworld </i>ha a che fare innanzitutto con un tema che ritorna in maniera quasi ossessiva lungo l'opera di Crichton, quello che potremmo definire del "parco a tema con sorpresa". Lo troviamo già in un romanzo del '70, <i>Sua eccellenza la droga</i>, quando ancora si firmava con lo pseudonimo John Lange, ma l'esempio più celebre è chiaramente <i>Jurassic Park</i>. Riassumendo: in un futuro prossimo il progresso informatico ha permesso la creazione di un enorme centro vacanze suddiviso in tre zone corrispondenti ad altrettante epoche storiche, Ovest americano dell'Ottocento, antica Roma e Medioevo. I tre mondi sono abitati da androidi dotati di una sviluppatissima intelligenza artificiale, tale da consentire un'interazione totale con gli ospiti umani. Non fosse che, ad un certo punto, per un non meglio precisato guasto tecnico, le macchine si ribellano all'uomo e da vittime designate (è infatti possibile, ad esempio, "uccidere" in duello il pistolero o il cavaliere teutonico di turno) si trasformano in fredde e spietate assassine. L'antagonista principale sarà un pistolero vestito come il Chris Adams dei <i>Magnifici sette</i>, interpretato non a caso dallo stesso Yul Brynner.<br />
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Che cosa e quanto c'entra <i>Westworld</i> con il western? La risposta non è delle più semplici. Formalmente stiamo parlando di un film di fantascienza. È giusto allora dire che <i>Il mondo dei robot</i> è un film <i>sul </i>western, inteso nel senso più ampio possibile di <i>immaginario</i> e di <i>apparato mitologico</i>. In un modo bizzarro, tutto suo, è uno dei capitoli più esemplificativi di tutto il western revisionista, uscito per una strana coincidenza in corrispondenza con la chiusura di una delle serie televisive più longeve e amate del genere, <i>Bonanza</i>. Il West, la grande sede del Mito americano, è ridotto ad attrazione estiva per turisti in cerca di emozioni forti. Esiste metafora più chiara, in particolar modo se collegata allo spirito dei tempi su cui ci siamo volutamente soffermati sopra? Il tema del fallimento della tecnologia si unisce immediatamente a quello del fallimento dei principi che hanno definito simbolicamente un'intera Nazione. Siamo proprio nel '73: <i>Westworld</i>, se ci pensiamo, non è soltanto <i>il mondo del West</i>, ma anche <i>il mondo occidentale</i>. Da un punto di vista interno al cinema, il film non si limita ad una revisione ironicamente pessimistica sullo stato di un genere, il western, e dei valori in esso contenuti. Sembra anzi andare a toccare in maniera parodistica le stesse basi storiche della mitopoiesi cinematografica americana: nella strutturazione "per epoche storiche" riecheggia addirittura <i>Intolerance </i>di Griffith, trasformando però in gioco infantile quella che nella pietra miliare del '16 era epica morale.<br />
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<img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjAyCIBgOMneNjECS4ZL1BrofScd7hz5lALNOB1zjIXLobaCcsHSF7ZU7JHB9fddSL5gxyX_3wf_zXLD6tbLw1C1rtoaa_wmRpMz3OBl1mngJl0RJPuSZltd-euXqZcJ9_cGnjO80qfmu0W/s320/westworld-archive-photo3.jpg" width="272" /><br />
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Tutto quanto detto, è bene ricordarlo, avviene sotto l'egida dell'intrattenimento e dello spasso puro. È un film che funziona benissimo tuttora a livello di ritmo e presa. Yul Brynner, perfetto, preconizza la funzionale inespressività robotica che farà la fortuna di Schwarzenegger e James Cameron. Crichton dirige con la semplicità e la sicurezza di un veterano. <i>Westworld</i> è insomma un piccolo gioiello che racconta come pochi altri la capacità del cinema di genere di confrontarsi con il proprio tempo, permettendosi di affrontare temi cruciali senza perdere mai la comunicatività spiccia con lo spettatore.<br />
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<i>Paolo A. d'Andrea</i><br />
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<span style="font-size: x-small;">Per le note biografiche su Crichton ho consultato M. Cialani, <i>Il cinema di Michael Crichton</i>, Aracne Editrice, 2015.
</span>Paolohttp://www.blogger.com/profile/13899007601911979149noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-28199676565351611582016-11-22T16:39:00.000+01:002016-11-23T08:43:38.482+01:00Forsaken / Il fuoco della giustizia <img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEm8qQhBP813MkQl4seXbdDPjyd5YSRN4ds-f09DkHtfeHnPqudYNAMdjxO5PU1kECG768hnhTRzrTyZToQWWu_OlXUYVsiYzy_l4T16FtDio_Wz96AILOQsEeo6gjYUaCARVRaB5Zr2hX/s1600/il-fuogo-della-giustizia.jpg" /><br />
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2016 <span style="font-size: large;"><b>Forsaken / Il fuoco della giustizia</b></span><br />
<i>di Jon Cassar con Kiefer </i><i><i> Sutherland, </i>Donald Sutherland, Demi Moore, Brian Cox, Michael Wincott</i><br />
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Modello figliol prodigo, pistolero ammazzasette torna a casina dal babbo predicatore, al quale promette di appendere la pistola al chiodo e di rinunciare per sempre alla violenza. Ma visto che il paese è sotto il tallone della solita banda di mascalzoni dovrà cambiare idea. Ma con tutta calma, che il film non può finire dopo mezz'ora.<br />
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Quante volte abbiamo visto messo in scena il canovaccio dell'eroe che per tutto il film non può reagire a qualche angheria, che subisce e sopporta, fino a quando nel finale esplode e fa fuori tutti?<br />
Tante. E quasi sempre in infimi filmetti di serie C.<br />
Proprio perché è un'idea infima e di terza categoria.<br />
Il ricatto emotivo che dovrebbe innescare questo tipo di situazioni si scontra quasi sempre con la difficoltà di creare una motivazione sensata e non umiliante che giustifichi la prolungata passività del protagonista. Così finisce quasi sempre che i protagonisti di questi film, più che degli eroi con la pazienza di Giobbe, sembrino degli idioti masochisti. Esattamente quel succede anche in questo caso, con gli sceneggiatori che per allungare il brodino si dilungano in noiosi intrecci sentimentali e arzigogolate strategie dei cattivi, pur di rimandare l'inevitabile scontro decisivo alla fine del film.<br />
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<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjt53SnwOeeUChDP4SuBhyOsNvIiOMz9dRYkbdwKpuG-i0iZQvFpw7L4b8Dr3IaRJuhR11kLTOyFzmaeZ7bG-3FtM-mBkzK3CM86oCY9Env1luLhX4iJuW93kBBDNkEBT0Fref5KnMjipe1/s1600/forsaken_still20b.jpg" /><br />
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Dopo anni di carriera in cui lo si ricordava generalmente solo come cattivo in due cult degli anni 80 come "Stand By Me" e "Ragazzi perduti", Kiefer Sutherland è diventato famoso e apprezzato nel nuovo millennio come protagonista della fortunata serie televisiva "24", nella parte del mastino federale Jack Bauer. Al di fuori fuori di quella serie, ci sembra però essere rimasto un attore normale, non molto carismatico, sicuramente poco portato per il western (genere che aveva per altro <a href="http://filmwestern.blogspot.sg/2012/06/le-monografie-7-young-guns.html" target="_blank">già frequentato</a>), dato che sembra uno di quelli parecchio impacciati quando devono indossare un cappello e uno spolverino da cowboy.<br />
Come se non bastasse qui si confronta con il leggendario padre Donald che, pur servito malissimo da una sceneggiatura che gli appioppa un personaggio monocorde e piuttosto stupido, sovrasta il figlio tanto a livello recitativio che fisico (quasi venti centimetri di dislivello tra padre e figlio).<br />
Se Brian Cox nella parte del solito intrallazzatore cattivo è sprecato, l'unico personaggio potenzialmente interessante è quello affidato all'ottimo caratterista Michael Wincott, che qui incredibilmente non fa il solito personaggio laido a cui da anni è abbonato, ma un pistolero prezzolato con un suo codice d'onore. Peccato che non entri praticamente mai nella storia.<br />
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<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFVZX5yYVhpzf8sqJ8MdQ1QvSu994gX5QHSNJqA8KkDG0UZZuNAgeAA4E7EEYpNS2xHTAQR3ftywAm1QRbU-0lE7Pg903xGAaUgzGHYR3OcB8uG8tV-AVqYNUc-9H-GJwzdSawvXf8_TV_/s1600/forsaken_still20.jpg" /><br />
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C'è davvero poco da aggiungere su un film che non si può dire brutto o particolarmente fatto male, ma irrimediabilmente mediocre, tedioso e totalmente insapore. Una robetta talmente innocua e banale che, c'è da scommettere, ci sarà sicuramente più di uno in giro che ne parlerà bene descrivendolo come un "buon vecchio classico western". Che può anche andare come definizione, se il termine di paragone per definire un "classico western", piuttosto che l'opera di un <a href="http://filmwestern.blogspot.sg/search/label/Anthony%20Mann" target="_blank">Anthony Mann</a>, è <i>La signora del west</i>.Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-89124332036611868202016-11-18T04:30:00.001+01:002016-11-20T16:18:23.255+01:00 In a Valley of Violence<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhniv9ztLzAdqjHggHDK5XKev5Fytid_vrv2w_KI65DiQS8mP8BTM4mUBgBILmblBtILk3aAHbAPjGVg1eNR5KI4MkbvOUH4yzJky92F3prwWStUomcPsf_jgJK-CE1cChI9cfHMNyt2Gjq/s1600/in-a-valley-of-violence-1.jpg"><img border="0" height="462" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhniv9ztLzAdqjHggHDK5XKev5Fytid_vrv2w_KI65DiQS8mP8BTM4mUBgBILmblBtILk3aAHbAPjGVg1eNR5KI4MkbvOUH4yzJky92F3prwWStUomcPsf_jgJK-CE1cChI9cfHMNyt2Gjq/s640/in-a-valley-of-violence-1.jpg" width="640" /></a><br />
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2016 <span style="font-size: large;"><b>In a Valley of Violence</b></span><br />
<i>di Ti West con Ethan Hawke, John Travolta, Taissa Farmiga, James Ransone, Karen Gillan, Burn Gorman, Toby Huss, Larry Fessenden</i><br />
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Che ci fa un giovane hipster nel vecchio far west? Nonostante il cognome non era facile immaginare un regista come <a href="http://www.imdb.com/name/nm1488800/?ref_=tt_ov_dr">Ti West</a> alle prese con un genere come il western. Classe 1980, West è il più teorico, minimalista e se vogliamo furbo esponente della generazione di registi horror emersa dalla seconda metà dello scorso decennio. Il suo manifesto programmatico è "The HouseOf The Devil" del 2009, diventato meritatamente un piccolo cult di questi anni. Un film che per quasi tutta la sua durata mostra semplicemente una bella figliola che si aggira in una sinistra dimora, giocando così con divertita intelligenza sulle aspettative che un determinato genere di situazioni crea nello spettatore. Formula poi ripetuta praticamente identica anche nel successivo e narrativamente ancor più basico "The Innkeepers".<br />
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Alle prese con la polvere e il sole del western West resta fedele al suo stile narrativo ridotto all'osso, ma cambia registro, adottando un passo più classico e adulto. Se si diverte anche in questo caso ad aprire e mostrare gli ingranaggi del giocattolo lo fa in modo più sottile e meno apertamente sarcastico. Un approccio chiamiamolo più maturo comunque inevitabile, trattandosi del suo primo film di un certo rilievo produttivo, con attori non solo noti ma decisamente famosi come John Travolta e Ethan Hawke.<br />
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<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEguDpHlttZOyYq0Aw_s_EXRxCNby3EueVjbB4Vxyrn9kbkIaG7UXA9wKUE9kbSR_bp1BpDi7o9sBYBnO5cBBjhjPGi-duLeDIj0k1cGHmmJxXixctVUo3PqFXfF3dJf9xiwCmP1UWmt8cG1/s1600/in-a-valley-of-violence-2.jpg" /><br />
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Il film ha le sembianze di un povero ma dignitoso b-movie di altri tempi, con pochi attori in scena e quattro case e un paio di anfratti come scenografie. La storia, semplicissima e lineare, sarebbe piaciuta ad un <a href="http://filmwestern.blogspot.sg/2012/01/budd-boetticher-il-poeta-dei-b-movie-la.html" target="_blank">Budd Boetticher</a> o a Elmore Leonard: un uomo arriva in una classica cittadina sperduta nel nulla, subisce un terribile sopruso e si vendica. Quasi tutto qui. Ma l'aderenza a un meccanismo narrativo basato su uno dei più semplici ed efficaci meccanismi di azione e reazione è solo apparente.<br />
<br />
All'inizio pare infatti di trovarsi davanti ad una versione moderna di una di quelle commedie western anni 60 e 70 in cui era specializzato (ahinoi e ahilui) <a href="http://filmwestern.blogspot.sg/2012/10/i-film-50-tempo-di-terrore-tempo-di.html" target="_blank">l'altrimenti talentuoso</a> Burt Kennedy, con tanto di protagonista che si porta appresso una cagnetta intelligente e umanamente interattiva che sembra presa di peso da un qualche antico telefilm per ragazzi alla Rin Tin Tin. West lavora però sotto la superficie del mostrato, facendo intuire fin dalle prime scene la presenza di una violenza sotterranea che attende solo di esplodere. Quando poi ciò accade, e tutto sembra incanalarsi negli schemi prefissati di un truce e sanguinario revenge movie, West spiazza ulteriormente lo spettatore disattendendo quasi tutte le aspettative e frustrando ogni possibile catarsi.<br />
<br />
Il risultato è un film non del tutto risolto, a tratti vistosamente difettoso, ma felicemente obliquo e ambiguo. Ambiguità riscontrabile già a livello visivo, visto che è un film dai temi e dall'anima molto americani, ma anche un chiaro omaggio ad una certi colori e suoni dei western all'italiana. I titoli di testa sono corredati da disegni pop come nei primi anni degli spaghetti western, c'è una bella colonna sonora fischiata (in cui si intromettono moderati accenni elettronici carpenteriani) e la fotografia ha toni spenti e cieli verdognoli come si trattasse di una pellicola degli anni 60 ingiallita dal tempo. Un filtro finto-vintage applicato con abbastanza buon gusto da non diventare quella patina monotona e posticcia di tanti prodotti nati sulla scia di "Grindhouse" di Tarantino e Rodriguez. A livello di storia e personaggi il film di West ha però poco o nulla da spartire con i prodotti nostrani, ricordando piuttosto <a href="http://filmwestern.blogspot.sg/2012/01/michael-winner-lestetica-della-violenza.html" target="_blank">certi dirty western americani degli anni 70</a>.<br />
<br />
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvxnoY188aVhXUnkqgjH_Kc2OkOktJxCkgHYEVmhyphenhyphen6h6tGrsaBU-K1rv2qLRnfrMd5tslSyxgAs1pnBPP4-sb_f-lebYMsAFwovsXTLVMaq2nDH1-L3c3YWcZMFD0lqThEpTR0AOlIt3Bs/s1600/in-a-valley-of-violence-3.jpg" /><br />
<br />
Interessante il lavoro che West compie sui personaggi. Molti di loro nel corso del film si rivelano diversi da quello che appaiono in un primo momento, svelando spesso lati e motivazioni inaspettate. Lo sceriffo di John Travolta, che all'inizio sembra replicare per l'ennesima volta la figura del violento finto-sonnacchioso in cui si è specializzato dall'epoca di "Pulp Fiction", pur nella sua ambiguità si rivelerà il personaggio più umano della situazione. Invece il protagonista, a cui inizialmente va tutta la simpatia dello spettatore, farà emergere lati sempre più meschini e sgradevoli.<br />
<br />
Ma soprattutto, esattamente come nei film del già citato Tarantino, quasi tutti i personaggi quando aprono la bocca si prodigano in dialoghi e monologhi estenuanti e torrenziali, che dilatano i tempi delle sequenze e ridefiniscono il ritmo dell'azione. L'unico privo di eloquio è proprio il taciturno protagonista. Tanto è vero che il torto maggiore di cui sembra volersi vendicare è quello di essere stato privato della sua unica opportunità di comunicare col mondo.<br />
<br />
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjdy69S9lr6mObzPJii0nN_0OrxfsxO5QdSTc5euWKbGZBn948jik2prpwnBLkLIWYokajheMO62oqEuc4RC21vcCFvtJneVH0cGVCItHh0DW4BdTxB-O_FFoJntQTP-eQzDgpZursiVuIx/s1600/in-a-valley-of-violence-4.jpg" /><br />
<br />
Se come stile West si riconferma regista di impeccabile sobrietà, pecca ogni tanto di mancanza della stessa nella scrittura. L'ambizione gli prende a volte la mano, alcune scene di introspezione scivolano nel melodramma e nel finale c'è qualche scena madre di troppo. Anche il livello politico della storia è reso in modo eccessivamente didascalico in alcuni dialoghi. Non c'era bisogno di sottolineare esplicitamente in un dialogo quanto il
personaggio di Hawke sia il risultato della cattiva coscienza della
Storia degli USA. Bastavano da sole le sue azioni o la bella sequenza onirica, un incubo che è l'unica scena a richiamare l'estetica dei film precedenti di West, per capire che ci troviamo davanti alla tipica "macchina da guerra" inceppata, il reduce alla Rambo o alla <a href="http://www.imdb.com/title/tt0075314/" target="_blank">Travis Bickle</a> che una volta privato di una guerra ne scatena una sua privata.<br />
<br />
Nota conclusiva con avvertenza di <i><b>SPOILER</b></i>, se così vi piace (anche se bisogna essere spettatori ben ingenui per non immaginare fin dal trailer e dalle premesse iniziali cosa accadrà a metà film per scatenare la violenza del protagonista): "In a Valley of Violence" si aggiunge alla lista di storie degli ultimi anni che mettono in scena una storia di vendetta scatenata dalla morte violenta di un cane. Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-43990766398709977962016-11-11T09:25:00.000+01:002016-11-19T04:25:52.817+01:00Leonard Cohen (1934-2016)<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/gt-r3QcegnU/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/gt-r3QcegnU?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
Maurohttp://www.blogger.com/profile/16951030253582016080noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-85740785446709282512016-11-03T10:07:00.002+01:002016-11-03T13:14:53.616+01:00The Duel / By Way of Helena<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhniscrW9YzO6EFSqfBMqG-_QwiojeNZ3e6FyrxKWqHFPX-tBwQAu6igYBYFwclP4ETnYc9rsPQmYXaZRKxIp92gUzbz3Y9LudsD44NVwq9wl4Q75CuKR77qqCO2LcVB7TVEiuhV8XC27EG/s1600/duel_by_way_helena_2016_1.jpg" /><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
2016 <span style="font-size: large;"><b>The Duel</b></span> o <span style="font-size: large;"><b>By Way of Helena</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<i>di Kieran Darcy-Smith con Liam
Hemsworth, Emory Cohen, Woody Harrelson, Alice Braga, William Sadler,
Christopher Berry, Raphael Sbarge, José Zúñiga
</i></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
C'è un Cuore di Tenebra nel Texas ai
confini col Messico. Dal Rio Grande affiorano cadaveri di peones
messicani che qualcuno ha ucciso e scalpato. I giustificati sospetti
cadono sulla piccola e blindata comunità religiosa fondata dal
luciferino Abraham (Harrelson). Quando sparisce anche la nipote di un
generale messicano viene mandato ad indagare sotto copertura il
giovane ranger David Kingston (Hemsworth), che ha la pessima idea di
portarsi dietro la bella moglie messicana (Braga).</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Ambientato in un West superstizioso e
pentecostale, <i>The Duel</i> o <i>By Way of Helena</i> è un film narrativamente
sfilacciato, ma interessante e affascinante, che ha il suo punto di
forza in un'atmosfera da horror - thriller esoterico degli anni 70,
pur per fortuna restando a tutti gli effetti un western e mantenendo
gli eventi sempre su un piano realistico, anche se spesso ambiguo.<br />
<br />
Un <i>dtv</i> con alcuni limiti di budget e visivi del mercato <i>direct-to-video</i>, ma con dentro più cinema di tanti film che arrivano in sala. <br />
<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRTROnfwHTMI4NBaekq5IRg3uWTmiz090Vxp4CGeyt6jeRt7kSLXZcIooLRrxi132EA3dtYXgNwgrBm641oiJaOl7KOgDyhHAKZrOsIyRP2pqs3sHlaWKFmbzc5L3KBCohdrtPTo42U6aH/s1600/duel_by_way_helena_2016_2.jpg"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRTROnfwHTMI4NBaekq5IRg3uWTmiz090Vxp4CGeyt6jeRt7kSLXZcIooLRrxi132EA3dtYXgNwgrBm641oiJaOl7KOgDyhHAKZrOsIyRP2pqs3sHlaWKFmbzc5L3KBCohdrtPTo42U6aH/s1600/duel_by_way_helena_2016_2.jpg" /></a> </div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
I due titoli con cui circola il film si
riferiscono alla medesima cosa. <i>Il duello alla maniera di Helena
</i>(intesa come città) è la cruenta usanza di legare insieme due
duellanti che si devono uccidere a vicenda con un coltello a lama
corta. Così all'inizio del film il protagonista ancora bambino vede
morire il padre, proprio per mano dell'uomo su cui da adulto dovrà
indagare.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
A dispetto di quel che suggeriscono gli strilli di locandina, il protagonista non è però mosso
dallo scontato desiderio di vendicare il padre, ma piuttosto sembra
voler conoscere meglio l'uomo che lo ha ucciso, andando forse anche
in cerca di una figura paterna. Altri personaggi del film, a
cominciare da quello della moglie, sono più o meno consciamente in
cerca di qualcosa, ma la comunità guidata dal diabolico personaggio
di Harrelson si rivelerà per tutti il contesto peggiore in cui
risolvere un qualsiasi dubbio esistenziale o soddisfare un qualche
inconfessabile desiderio.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Se per le atmosfere profondamente
nordiche di <b><a href="http://filmwestern.blogspot.sg/2016/10/2015-blackway-o-go-with-me-di-daniel.html" target="_blank">Blackway</a></b> si è sottolineato il fatto che il regista
fosse svedese, qui si può notare come il regista Kieran Darcy-Smith
sia australiano. Origine geografica a cui non si può fare a meno di
ricollegare il senso di disagio e inquietudine che il film riesce a
trasmettere, mettendo in scena un West dove il Diavolo e il Male
sembrano essere di casa, standoci pure belli comodi. In qualche modo
"australiana" pare anche la scelta di filmare una storia
piuttosto cupa con una fotografia spoglia e luminosa, che dona al
tutto una solarità malata.<br />
<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPd7lezKKbdpSRxOMho77ZFn_Yl3yaL9he4CAh6D4LhFLVMjWS-svUpaJcr82O3JgurjEAC7W5t5BB46mGQUv0LRgj1j4vd10__XsNUc7DrbvWpbSsoVp37hE66lwCVXFbYa4_DrB9d_rH/s1600/duel_by_way_helena_2016_3.jpg"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPd7lezKKbdpSRxOMho77ZFn_Yl3yaL9he4CAh6D4LhFLVMjWS-svUpaJcr82O3JgurjEAC7W5t5BB46mGQUv0LRgj1j4vd10__XsNUc7DrbvWpbSsoVp37hE66lwCVXFbYa4_DrB9d_rH/s1600/duel_by_way_helena_2016_3.jpg" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
La storia da una parte nutre ambizioni
quasi da gotico americano, mettendo in scena personaggi dai nomi
biblici, con relazioni e dialoghi di conseguenza, dall'altra
accumulando idee e situazioni un po' da western spaghetti
squinternato (come ad esempio la soluzione del mistero sulle morti
dei messicani).</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
La regia di Darcy-Smith, pur tentata qui e là da
qualche lirismo malickiano (come nel bel duello iniziale,
esageratamente commentato con della musica sacra), è solida e con i
piedi per terra come si conviene ad un film di genere. Usa la lentezza e un certo sguardo
anti-hollywoodiano per creare un clima di incertezza e soprattutto di grande
tensione, che esplode in efficaci momenti di violenza. Su
tutti, l'inaspettata e originale modalità con cui si svolge la cruenta resa dei conti
finale. </div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Harrelson, ottimo come quasi sempre,
costruisce un personaggio che è una specie di ragno umano, allo
stesso tempo repulsivo e magnetico. Gran parte della riuscita del
film è giocata sulla capacità ammaliatrici del suo personaggio (e quindi dell'attore), la
cui capacità di sedurre e condizionare gli altri potrebbe dipendere
tanto da un qualche reale potere esoterico, quanto dalla capacità
psicologica di scrutare nell'animo altrui. La pelata e l'eloquio
richiamano nientemeno che il Marlon Brando di "Apocalypse Now!",
mentre il lato più sadico e spiritato del personaggio sarebbe
piaciuto a un Klaus Kinski.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Contro di lui il fisicamente imponente,
ma fondamentalmente ingenuo, personaggio di Liam Hemsworth (fratello
del più celebre Chris), praticamente l'unico bianco che si vede nel
film che non sia un sadico o un fanatico imbevuto di razzismo e
religiosità apocalittica. Con la barba lunga sembra una specie di Jim
Morrison nel West. </div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
A chiudere il triangolo attoriale e narrativo c'è Alice Braga,
intensa e bellissima come sempre, alle prese con il personaggio più
tormentato, ma alla fine forse anche quello non del tutto risolto.<br />
<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUtyX7YVsJAJonwIRTp3V4WUS_oY8daKF4I-Av0eCm-Sq0VGfbireIhmGrFIXTjlb_MURzo2rmHIQMtMtlEr3BxFA3BCdTCvIheY3HYkoPT8aMTB0nnGcIH7BaIPVkIuO9aU0dSuFsTIut/s1600/duel_by_way_helena_2016_4.jpg"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUtyX7YVsJAJonwIRTp3V4WUS_oY8daKF4I-Av0eCm-Sq0VGfbireIhmGrFIXTjlb_MURzo2rmHIQMtMtlEr3BxFA3BCdTCvIheY3HYkoPT8aMTB0nnGcIH7BaIPVkIuO9aU0dSuFsTIut/s1600/duel_by_way_helena_2016_4.jpg" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
A margine da notare come il film di Darcy-Smith unisca due tematiche molto sentite nel cinema americano
di questi anni: quella dello scottante e mai risolto rapporto tra gli
americani e gli scomodi vicini messicani, e quella delle sette
religiose o comunque di una religiosità vissuta in maniera chiusa e
fanatica. Tematica quest'ultima molto presente nel recente cinema
horror di questi anni, ma affiorata qui e là anche in alcuni western
recenti come <b>Sweetwater</b>, <a href="http://filmwestern.blogspot.sg/2015/03/the-mountie.html" target="_blank"><b>The Mountie</b></a>, <a href="http://filmwestern.blogspot.sg/2014/12/meeks-cutoff.html" target="_blank"><b>Meek's Cutoff</b></a> e l'austriaco <b>The
Dark Valley</b>.</div>
Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-61516935753340013942016-10-27T17:01:00.000+02:002016-11-03T06:12:15.330+01:00Blackway | Go With Me <img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFk_mzBQPuS9ffXYaFGOaBXbWs4CRNcpUEQVKrFa5mbahnMHARHUgVdoCVBdtLGNVWtsJ851bLfONBhzVXz2fkO-wulCbtR2JCyKhJc3P53q_rafGI6Gbg08OzYWJ5LekSELuIn7RMdGuh/s1600/big.jpg" /><br />
<br />
2015 <i><span style="font-size: large;"><b>Blackway</b></span></i> o <i><span style="font-size: large;"><b>Go With Me<span style="font-size: small;"> </span></b></span></i><br />
<i>di Daniel Alfredson con Anthony Hopkins, Julia Stiles, Alexander Ludwig, Ray Liotta, Hal Holbrook</i><br />
<br />
Come si fa a spiegare lo strano entusiasmo che può suscitare un film come <i>Blackway</i>?<br />
Non assomiglia neanche lontanamente a un capolavoro, perché non lo è. Anzi, ha tutte le sembianze di un film americano qualunque, dove una certa ricercatezza di regia cede il passo in alcuni punti a stereotipi visivi e sonori abusati. Ad esempio nelle scene d'azione, per altro pochissime, dove la convenzionalità della confezione stride con il carattere volutamente dimesso e casuale che gli autori volevano dare alle azioni. Non è difficile quindi incappare in internet in stroncature impietose, con alcuni che parlano di un thriller totalmente fallito, altri di un'americanata impersonale, altri ancora di un patetico tentativo di noir alla "Fargo" affogato in un'estetica da <i>dtv</i>.<br />
<br />
E allora? E allora il "segreto" per apprezzare il film è evidente fin dal fatto che se ne parla in questo blog: <i>Blackway</i> è un western. Un bel film western. E non solo: è anche uno dei pochi veri western visti al cinema quest'anno.
<i>Blackway</i> non è un western solo perché c'è gente coi fucili (meno comunque di quanti ne impugnino i personaggi in uno dei poster) o perché c'è un viaggio di ricerca tra splendidi paesaggi selvaggi. Queste sì sono cose assolutamente generiche che si trovano anche in tanti polizieschi, noir, action che affollano una qualsiasi videoteca.<br />
Quel che rende <i>Blackway</i> un vero western è il tono piano del racconto, una narrazione soffice e calma come una nevicata. È la tranquillità hawksiana con cui i personaggi accettano i loro ruoli, i loro laconici scambi di battute la trasparenza delle loro azioni. È la descrizione affettuosa di un'America sì lugubre, violenta e desolata, ma vista anche come un meraviglioso contenitore di storie umane, senza il cipiglio da fustigatore delle contraddizioni della patria del capitalismo.<br />
Anche l'ironia sotterranea che attraversa tutto il film, il livello forse più incompreso dai detrattori, non è mai un sarcasmo demolitore, è piuttosto l'ironia di chi racconta una storia in modo intelligente, sentendosi complice dei personaggi e degli spettatori, ma lontanissimo da qualsiasi strizzata d'occhio post-moderna.<br />
<br />
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkJIFtDn7Spb1jalOhQa3QBCJFR0ac7dc9dJyVNQUw-b7vYNbiBOjTw69lMxUpwslA1FFMR3jpHjx-8ED3cMWktHa5VM6ZmpyU05PnlpPamXjRKLSql2ZyQfQT3L376IJKgxZf5jEDhvhU/s1600/blackway_2015+copia.jpg" /><br />
<br />
Un film tanto e così palesemente americano è stato girato da un regista svedese.<br />
Daniel Alfredson, solido regista di pellicole di genere, conosciuto fino ad ora per aver diretto in patria gran parte della serie Millenium, la trasposizione in film dei celebri romanzi Stieg Larsson. Si avverte per tutto il film uno sguardo molto europeo e soprattutto molto nordico, ma non ne risulta il classico distacco dell'Autore del vecchio mondo che dice la sua su qualche aspetto della realtà americana. Alfredson lavora da artigiano sapiente, usando la sua sensibilità tutta svedese per mostraci con occhi nuovi cose viste e straviste. Si noti come riesce a dare un senso e ad usare in modo persino poetico l'onnipresente filtro blu della fotografia, ormai da anni uno logoro luogo comune estetico dei film che vogliono raccontare di un'America fredda e marginale.<br />
<br />
Blackway è il nome di un vicescriffo corrotto, maniaco sessuale, ricattatore, spacciatore, magnaccia e assassino, che i tre protagonisti devono cercare e affrontare. Fin dalla decisione di dedicare alla nemesi dei personaggi il titolo del film siamo quindi di fronte ad una specie di Moby Dick da paesello, una piccola ricerca del Male tra motel, segherie, povere case per arrivare alle incombenti montagne, descritte come luoghi arcani e misteriosi. Ognuno dei tre lo cerca per ragioni personali che vengono mostrate in flashback che si incastrano alla narrazione in modo curioso, con uno stile forse debitore dei film da regista di Tommy Lee Jones. La tensione semplice e implacabile su cui si basa il fascino del film è innescata dal mostrare tre antieroi, umanissimi e fallibili, che si avvicinano gradualmente ad un personaggio che diventa sempre più inquietante man mano che, attraverso i flashback o le testimonianze di altri personaggi, si compone il suo sinistro ritratto.<br />
<br />
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj52p8mNUjxUnIlseQGcQtnOD96Hs6_dJ5nxXmzhomspN7VtEhwernNe9u4hkJlXgdXGokodSv07OdDsgcm5B_U_5y0FKixYlumdgD2fQIJX8NudMcdD8YL5NdN5Dx0Xlq9rIbIrIWhg6ls/s1600/blackway_2015.jpg" /><br />
<br />
Un film di questo tipo è fatto in grandissima parte dalle facce degli attori.<br />
Julia Stiles sembra invecchiata tutta di un colpo, ma anche per questo funziona perfettamente, nelle parti di una cameriera dall'aria dimessa e un po' sconfitta, ma ancora abbastanza avvenente da mettere in moto certi avvenimenti. Hopkins azzecca un ruolo e un film dopo non so quanti anni (forse da recuperare "Il caso Freddy Heineken", coevo a questo e sempre diretto da Alfredson). Alexander Ludwig se la cava bene nel potenzialmente scivoloso ruolo del marcantonio balbuziente, poco sveglio ma dal cuore d'oro. Si fa notare anche il grande caratterista Hal Holbrook, novantenne, nella parte del vecchio proprietario della segheria. Infine un luciferino Ray Liotta, come Blackway, divora le poche scene in cui appare.<br />
<br />
Uno di quei piccoli grandi film che si fanno voler bene più di tanti capolavori.<br />
<br />
<br />
<span style="font-size: x-small;">Un grazie ai "colleghi" dei <a href="http://www.i400calci.com/2016/10/fratelli-grimm-and-frostbitten-ovvero-go-with-anzi-blackway/" target="_blank">400 Calci</a> per aver segnalato un film che ha dato lo spunto a chi scrive di tornare a scrivere sul blog. </span>Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-27440275502313833592016-07-07T14:26:00.000+02:002016-07-07T14:49:56.892+02:00Anthony Mann 6 - Terra lontana<div style="text-align: justify;">
1955 <b><span style="font-size: large;">TERRA LONTANA </span></b><span style="font-size: large;">(<b><i>The Far Country</i>) </b><span style="font-size: small;">di Anthony Mann. Con James Stewart, Ruth Roman, Corinne Calvet, Walter Brennan, John McIntire.</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYqBSt_c9eTFJT7V7kjFxdF-iTS1OHWsGVbvr6ALMG2kKpMS85LXwC03JPq5pmW2uiP7av62jcuwkyBEpHxwgEMuyescYJcyRezV8FoIAZmpwfEZwTeTWOMcSSP6CH423gpqMMQBzP36Dt/s1600/Poster2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="296" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYqBSt_c9eTFJT7V7kjFxdF-iTS1OHWsGVbvr6ALMG2kKpMS85LXwC03JPq5pmW2uiP7av62jcuwkyBEpHxwgEMuyescYJcyRezV8FoIAZmpwfEZwTeTWOMcSSP6CH423gpqMMQBzP36Dt/s400/Poster2.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-size: small;"> </span></span>«<i>Quasi mezzo secolo dopo aver diretto il suo primo B-movie a Hollywood - </i>"Dr. Broadway<i>", del 1942 - e ventitré anni dopo la sua morte prematura</i> <i>sul set europeo di </i>Sull'orlo della paura<i>, Anthony Mann (1906-1967) rimane il piú trascurato tra i principali registi americani del sonoro.</i>» (Richard T. Jameson)</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Il vantaggio di essere trascurati</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjM6fkW-mxsPu1_TwfmSkKP0yPlL-Nn7p-BTPPChj8wyJFddw9zq0-9Qn8Mati8xWNUssHgjGVYC1gU7VzNN07Zv0_rLZZHZFY6Mai_7-yiuBpAwjYBu2PmxV0qX5djhfhLaxIHFFzRLQoP/s1600/anthony-mann.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="188" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjM6fkW-mxsPu1_TwfmSkKP0yPlL-Nn7p-BTPPChj8wyJFddw9zq0-9Qn8Mati8xWNUssHgjGVYC1gU7VzNN07Zv0_rLZZHZFY6Mai_7-yiuBpAwjYBu2PmxV0qX5djhfhLaxIHFFzRLQoP/s400/anthony-mann.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<b></b>Nell'àmbito
della filologia e della critica del testo antico si suole attribuire
particolare importanza ai manoscritti conservati in centri periferici,
isolati. Questo poiché, proprio in quanto dimenticate o trascurate,
quelle versioni dei testi risultano spesso scevre da modifiche,
interpolazioni, correzioni arbitrarie. Sono insomma caratterizzate da
una purezza superiore, da una pulizia primordiale che le differisce
profondamente dai corrispettivi "cittadini", molto consultati e
conseguentemente molto soggetti ad interventi postumi.<br />
<br />
Forse,
tramite un parallelismo sin troppo audace, si potrebbe applicare questa
stessa considerazione al cinema di Anthony Mann. Un cinema vittima di
una strana contraddizione: da un lato ormai unanimemente considerato
"classico", dall'altro a tutt'oggi - se si escludono poche ma
considerevolissime eccezioni - poco approfondito, quasi negletto dalla
nuova generazione di critici. Un destino che non rende il giusto tributo
ad un autore immenso e straordinariamente influente, ma che al contempo
permette a quello stesso autore di stazionare in una dimensione
primigenia ed inviolata. La stessa di quei vecchi e scordati codici.
Perché vedere un film di Mann significa recuperare l'innocenza del
cinema puro. Significa fare i conti, prendendo in prestito le parole del
grande André Bazin, con una «franchezza commovente».<br />
<br />
<br />
<b>Borden Chase, il moralista ambiguo</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjrF91dPgMsljY4zqfoj5PVd8y00o0W5UjonsZCTmxW5QugBwRZypGMj9R-Nmy9KpKrdRLpmeblwGhYLnMh_P7tX7jX0oLyEpk_gWxKIoDhDDqgD-vJdI2J2roO4F4Jqp-nqb0qsJZNfaAt/s1600/22118_NpAdvSinglePhoto.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjrF91dPgMsljY4zqfoj5PVd8y00o0W5UjonsZCTmxW5QugBwRZypGMj9R-Nmy9KpKrdRLpmeblwGhYLnMh_P7tX7jX0oLyEpk_gWxKIoDhDDqgD-vJdI2J2roO4F4Jqp-nqb0qsJZNfaAt/s320/22118_NpAdvSinglePhoto.jpg" width="252" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<b> </b>«<i>Sono veramente un illetterato.</i>» (Anthony Mann)<br />
<br />
<i>Terra lontana</i>
è il sesto western di Anthony Mann. Il quarto con protagonista James
Stewart. Il terzo ed ultimo scritto da Borden Chase. Chase è il piú
grande sceneggiatore del western americano e, assieme all'altrettanto
talentuoso Philip Yordan, il preferito di Mann. I suoi <i>script</i>,
sintesi di accurato realismo ed eterogenee influenze culturali,
forniscono ai western di Mann la dimensione mitica e quella allegorica.
Il continuo ricorso alla simbologia cristiana, gli insistiti rimandi
alla tragedia greca e, conseguentemente, alla sua reinterpretazione in
chiave psicanalitica trasformano le sue storie di Frontiera in specie di
moniti ancestrali, di drammi esemplari e senza tempo.
Contemporaneamente, grazie al suo amore per l'ignoto e per l'avventura
pura - spesso nei suoi copioni sono centrali le tematiche del viaggio
pericoloso e della "conquista" di territori selvaggi ed inesplorati -
consente a Mann di esprimere pienamente il suo talento per l'azione e il
suo squisito gusto paesaggistico.<br />
<br />
Chase è anche e soprattutto un
grande scrittore moralista. Sovente nelle sue trame la cupidigia è il
motore che innesca i conflitti fra i personaggi: l'oro trasforma uomini
onesti in individui violenti e senza scrupoli, tramuta città pacifiche
in covi di immoralità e perdizione ("Là dove scende il fiume", "Terra
lontana"); il relativismo è ripetutamente condannato in nome di una
ribadita "necessità dell'ideale" (lo stesso "Terra lontana", ma anche
"Vera Cruz<i>" </i>di Aldrich). Eppure, a margine di cotanto afflato
etico - peraltro pienamente condiviso dallo stesso Mann -, emerge
costantantemente un'ambiguità di fondo, un pessimismo sotterraneo. Gli
eroi che portano alla conquista della stabilità comunitaria e al
ripristinarsi della dirittura morale sono quasi sempre uomini che a
quella stabilità sono completamente estranei, e da quella dirittura
morale li distingue un passato tremendo e un presente «affilato sino
all'estrema punta di sé stesso» (P. Demonsablon).<br />
<br />
Lo stesso modo in cui Chase reinterpreta gli <i>exempla</i>
biblico-tragici è significativo di questo atteggiamento: in "Winchester
'73" (1950), primo grande risultato della coppia Mann-Stewart, il
conflitto tra fratelli - ovviamente memore del mito veterotestamentario
di Caino e Abele - viene risolto con un capovolgimento che vede il
"buono" prendere dolorosa coscienza della necessità di eliminare il
"cattivo". In "Terra lontana", d'altra parte, l'accettazione da parte
del protagonista del precetto evangelico "ama il tuo prossimo come te
stesso" avviene non per una precisa volontà personale, piuttosto per un
succedersi di eventi che, ponendolo di fronte al pericolo di una
solitudine spaventosa, lo <i>costringono</i> a fare quella scelta. Valutare l'apporto di questo strano, ambiguo moralista è indispensabile per capire il cinema di Mann.<br />
<br />
<br />
<b>La campan(ell)a ha suonato</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
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<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
"Terra lontana" è il risultato piú alto del sodalizio Mann-Chase, nonché la <i>summa </i>delle
tematiche cardine del loro cinema. Fondamentalmente, è la storia della
nascita di una comunità e di una presa di coscienza sociale.<br />
<br />
Ambientato simbolicamente - come bene nota Matteo Pollone nell'ottimo <i>Il western di Anthony Mann - The Man in the Wild, the Wild in the Man</i>,
la prima monografia in tema pubblicata in Italia - presso due confini,
uno territoriale - l'Alaska e il Canada, propaggini ultime della
Frontiera - e uno temporale - il film è ambientato nel 1896, dunque in
un'epoca considerata tradizionalmente estranea alla narrazione western
classica -, mette al centro un eroe cinico ed individualista fino
all'autodistruzione che a quel mito di fondazione partecipa quasi
involontariamente, diremmo fatalmente.<br />
<br />
Jeff Webster, dei
protagonisti del cinema di Mann e Chase, è il piú enigmatico e tragico.
Il suo egoismo ottuso non deriva da esperienze precedenti, da torti
subìti in passato: pare innato. Proprio per questo la decisione finale
di dare il proprio contributo al bene comune sembra ben piú una resa che
una conquista: Jeff, uomo in via d'estinzione, deve adattarsi al nuovo
mondo se vuole sopravvivere. E, paradossalmente, quell'adattamento passa
attraverso la perdita della sua perfetta controparte femminile - la
coraggiosa, intraprendente Ronda Castle di Ruth Roman - e l'eliminazione
fisica dell'uomo che piú sentiva vicino al suo modo d'essere, l'atipico
antagonista di John McIntire. Se Gannon è un morto, Webster è insomma
poco piú che un sopravvissuto. Il germe del western crepuscolare
comincia qui a corrodere dall'interno il tessuto della classicità.<br />
<br />
Tormentato,
come spessissimo accade in Mann, dalla condizione perenne del viaggio,
dall'incapacità di concepire una dimensione stanziale, l'eroe di Stewart
trascina con sé il simbolo della propria dissolvenza: quella campanella
apposta sulla sella che, gli ricorda piú volte il <i>pard</i> Ben
Tatum - vera e propria coscienza costruttiva del protagonista -, un
giorno dovrà apporre all'uscio della propria casa, segno di una temuta e
al contempo agognata pace.<br />
<br />
<br />
<b>L'incombere delle cose sugli uomini</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZP1C-5vs_bDX1p_lvE-JMLH_wm5li0JJx0OPZeQDsnijblD7ayJvKJFaOpqhe0HwRO52zdD0BJu9PUpWE8bCKwArtY9uz3h_nXEK_POcxj0zvJz_65n4IoY0wSY47BuT-dC5RD7rRUfd2/s1600/tumblr_o1ryxthtpL1uxo4c4o1_1280.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="222" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZP1C-5vs_bDX1p_lvE-JMLH_wm5li0JJx0OPZeQDsnijblD7ayJvKJFaOpqhe0HwRO52zdD0BJu9PUpWE8bCKwArtY9uz3h_nXEK_POcxj0zvJz_65n4IoY0wSY47BuT-dC5RD7rRUfd2/s400/tumblr_o1ryxthtpL1uxo4c4o1_1280.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
«<i>Anthony Mann mi piace: le sue inquadrature sono firmate.</i>» (Vincente Minnelli)<br />
<br />
Nel
caso di Anthony Mann contenuto e forma sono piú che mai inscindibili.
Il bisogno violento di movimento dei protagonisti di "Terra lontana"
trova il suo corrispettivo nell'ampiezza delle panoramiche, nella
fluidità delle carrellate, nella concezione attiva della cinepresa, che
sembra anch'essa nervosamente vivere, «vivere di vita propria» (M.
Pollone), in aperto contrasto con la grammatica classica che prevede la
subordinazione dei movimenti di macchina a quelli dei personaggi. Allo
stesso modo la claustrofobia, la difficoltà degli eroi manniani a stare
fra quattro mura è straordinariamente resa attraverso riprese in interni
«leggermente inclinate, che accentuano l'incombere delle cose sugli
uomini» (P. Mereghetti).<br />
<br />
Il largo uso di primi piani,
contrariamente a quanto si potrebbe pensare per nulla comuni nel cinema
di genere dell'epoca, accentua invece la dimensione psicologica della
vicenda: il volto di James Stewart, rigato da un'angoscia «assai mal
nascosta dalle lunghe braccia penzoloni e dalla testa un po' reclinata»
(Lourcelles), i suoi moti di odio e di gentilezza, sono ripresi con
piglio naturalistico. La simbiosi dei personaggi con la natura è infine
ribadita da immagini altamente simboliche: al momento del primo scontro
armato fra Jeff e Gannon presso il confine, vediamo per un attimo la
figura intera di Stewart a cavallo posta in controluce su un ammasso di
vegetazione del quale il nostro sembra quasi un prolungamento. Prima
dello scontro finale, allo stesso modo, un piano americano dal basso di
Jeff stagliato contro il cielo rischiarato dalla luna piena segna il
momento della presa di coscienza, la comprensione - pure, come abbiamo
detto, mai del tutto limpida - del proprio ruolo nel mondo.<br />
<br />
<br />
<b>Il dramma del visibile e dell'invisibile</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
«<i>Il
western [...] è un dramma del visibile e dell'invisibile, tanto quanto
un'epopea d'azione: l'eroe agisce solo perché vede per primo, e trionfa
solo perché impone all'azione l'intervallo o quel secondo di ritardo che
gli permettono di vedere tutto.</i>» (Gilles Deleuze)<br />
<br />
Applicando
l'osservazione di Deleuze a "Terra lontana", si potrebbe dire che se
Jeff Webster effettivamente «vede per primo», di certo fatica ad
imparare da ciò che vede. Il fatto di prevedere la valanga durante il
tragitto per Dawson non lo spinge ad aiutare coloro che, al puntale
verificarsi di quanto predetto, da quella stessa valanga vengono
travolti. Soltanto l'intervento dell'amico Ben lo convince a ritornare
sui suoi passi. Alla stessa maniera, pur abile con la pistola, non
riesce ad evitare di essere ripetutamente ferito; il duello finale,
lungi dall'essere pulito e alla luce del sole, si svolge di notte e
trova il suo epilogo nella posizione più inusuale per i protagonisti di
un western classico: Gannon viene colpito a morte mentre striscia a
terra, sotto gli assi che fungono da passerella di fronte all'entrata
del saloon. L'intervallo che Webster impone all'azione, ancora
parafrasando le parole di Deleuze, è sempre ritardato poiché
l'indecisione, la lacerazione interna al suo animo - quell'essere, in
tutti i sensi, un "uomo sul confine" - non gli consentono mai una
lucidità piena, immacolata.<br />
<br />
Il western di Mann è questo dramma
della scelta, questo stare in bilico, questo riuscire ad essere eroi
nonostante sé stessi, nonostante tutto, nonostante troppo. <br />
<br />
«<i>Tra
ordine e disordine, tra voglia di pacificazione e aspirazione alla
marginalità, tra individualismo e valori della comunità, si dipana di
film in film l'itinerario schizofrenico di un personaggio che incarna in
modo meraviglioso il senso di precarietà e di sacrificio veicolati
dall'inevitabile movimento verso l'Ovest, la colonizzazione dei
territori vergini, la fine della Frontiera.</i>» (Alberto Morsiani) </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: right;">
Paolo A. d'Andrea</div>
<div style="text-align: right;">
(<i>recensione precedentemente pubblicata su <a href="http://www.ondacinema.it/film/recensione/terra_lontana.html">Ondacinema</a></i>)</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
----------</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Puntate precedenti:</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><a href="http://filmwestern.blogspot.it/2012/02/anthony-mann-3-il-passo-del-diavolo.html">Il passo del diavolo</a> </b>(1950)</div>
<div style="text-align: justify;">
<b><a href="http://filmwestern.blogspot.it/2012/01/anthony-mann-2-le-furie.html">Le Furie</a> </b>(1950)</div>
<div style="text-align: justify;">
<b><a href="http://filmwestern.blogspot.it/2012/01/anthony-mann-1.html">Winchester '73</a> </b>(1950)</div>
<div style="text-align: justify;">
<b><a href="http://filmwestern.blogspot.it/2012/02/anthony-mann-4-la-dove-scende-il-fiume.html">Là dove scende il fiume</a> </b>(1952)</div>
<div style="text-align: justify;">
<b><a href="http://filmwestern.blogspot.it/2012/02/anthony-mann-5-lo-sperone-nudo.html">Lo sperone nudo</a> </b>(1953)</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Prossimo appuntamento:<i> </i><b>L'uomo di Laramie </b>(1955).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Paolohttp://www.blogger.com/profile/13899007601911979149noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-25256793663265605002016-07-03T01:14:00.002+02:002016-07-03T01:19:23.312+02:00Michael Cimino 1939 - 2016<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixwbw9d8VAFAhYlM_1NtFhYJzpV9YDSsWFvzHgqW4uOJMhtoTHFd2qaZimRiYrTVdruNj01gEVIZH0_n7mBX7_QEWWymCKKhBJ8hyphenhyphen3HiC2N3akmBql0l1mwS1m2QPBzFd3pHn18kHG-ict/s1600/1974_calibro_20_1.jpg" /><br />
<br />
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<br />
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<br />
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<br />
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<br />
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<br />
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<br />
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<br />
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<br />
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<br />
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<br />
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<br />
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<br />Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-63336670802654937732016-06-28T14:48:00.000+02:002016-06-28T14:48:06.318+02:00Ciao, Bud<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgelh2GcYxQNJxoMrRkaVAIvpmI-cFU36PFle0D_gfEbT9LE-tca9pLurGlOKr9x8hVBI5NuUyTDVF8Ada5fTvlDuA35OJioZ9mRvQrTwhUktCU_9HYjtmtFiZ9XhK_6mXM-ywIolwG3VWi/s1600/13501722_1228058483873868_5338841690041020439_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="218" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgelh2GcYxQNJxoMrRkaVAIvpmI-cFU36PFle0D_gfEbT9LE-tca9pLurGlOKr9x8hVBI5NuUyTDVF8Ada5fTvlDuA35OJioZ9mRvQrTwhUktCU_9HYjtmtFiZ9XhK_6mXM-ywIolwG3VWi/s640/13501722_1228058483873868_5338841690041020439_n.jpg" width="640" /></a></div>
<br />Maurohttp://www.blogger.com/profile/16951030253582016080noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-86274032233909115812016-03-25T14:18:00.000+01:002016-03-26T11:17:59.618+01:00The Hateful Eight<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgx4uLhBVZtlmbtNZDzLDLtVzFNZnMD1hoUVP1PP8cCs8qoCZ190pqkxHpQXJmh7W5_IJSGgN7b7q60VaFgcUntRU6nCw9c3-GKMyi3fRu2BTJ5qSYnpmJI02kcUD3XjAIXN8jMFKknkXkX/s1600/HATEFUL8.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgx4uLhBVZtlmbtNZDzLDLtVzFNZnMD1hoUVP1PP8cCs8qoCZ190pqkxHpQXJmh7W5_IJSGgN7b7q60VaFgcUntRU6nCw9c3-GKMyi3fRu2BTJ5qSYnpmJI02kcUD3XjAIXN8jMFKknkXkX/s640/HATEFUL8.png" /></a></div>
<br />
2015 <b>THE HATEFUL EIGHT</b> <br />
<i>di Quentin Tarantino, con Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh, Walton Goggins, Demián Bichir, Tim Roth, Michael Madsen e Bruce Dern</i><br />
<br />
Ogni nuovo film di Quentin Tarantino è sempre un evento. E da quando il cineasta americano ha deciso di dedicarsi al nostro genere preferito, coltivando l’ambizione di essere ricordato come un regista western e di vedere i suoi film «in uno scaffale insieme a quelli di Peckinpah, Leone, Corbucci e Boetticher», per noi appassionati l’evento diventa ancora più grande. Tanto più che nello sconsolante panorama cinematografico odierno, caratterizzato da prodotti puerili e para-adolescenziali studiati a tavolino e costruiti in serie dai manager delle grandi case di produzione per venire indirizzati a spettatori sempre più passivi e anestetizzati, il fatto di riuscire ancora a lavorare con budget da decine di milioni di dollari e allo stesso tempo a girare unicamente i progetti che “sente” e desidera, seguendo caparbiamente le sue ossessioni e la sua visione e mantenendo il controllo totale sul <i>final cut</i> e su tutte le fasi della lavorazione (distribuzione compresa), è più unico che raro e, oltre a rendercelo ancora più prezioso (e simpatico), ce lo fa avvicinare a grandi registi-demiurghi come Stanley Kubrick e Sergio Leone, ai quali nemmeno troppo velatamente Tarantino sembra ora volersi ispirare. <br />
<br />
A indicare la <i>grandeur </i>di Tarantino basterebbe la scelta del tutto anacronistica, oltre che molto costosa, di girare questo suo ultimo film non solo su pellicola, in piena era digitale ormai completamente abbandonata, ma anche in 70 millimetri e addirittura in un formato panoramico non più usato da 50 anni (l’Ultra Panavision 70) e alla decisione di affiancare alla normale distribuzione una <i>pre-release</i> analogica replicante fedelmente le modalità di proiezione dei kolossal degli anni ’50 e ’60 che prevedevano un’ouverture musicale e un intervallo di 15 minuti (la versione del film distribuita, purtroppo in poche sale, in questo formato raggiunge la durata-monstre – anche per Tarantino – di ben 187 minuti). La cosa non ci sembra un semplice vezzo cinefilo ma anzi perfettamente esemplificativa del modo di Tarantino di intendere la settima arte, la maniera migliore per affermare perentoriamente a tutti che lui sta facendo (grande) cinema. <br />
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Il regista pulp e citazionistico delle prime opere ha infatti ormai lasciato posto a un Autore a tutto tondo, padrone di una cifra stilista inconfondibile e personale e il giochino di trovare i riferimenti più o meno nascosti nelle sue pellicole lascia sempre più il tempo che trova. L’impressione, insomma, è che Tarantino, pur tenendo sempre ben presente la lezione dei grandi maestri che lo hanno preceduto, abbia ormai pagato i suoi debiti di ispirazione e sciolto i legami col passato intraprendendo una nuova strada del tutto autonoma, unica e innovativa.<br />
<br />
Il riferimento cinematografico più immediatamente contiguo per <b>The Hateful Eight </b>è infatti un altro film tarantiniano, <b>Le iene</b>, di cui ripropone la struttura narrativa e le caratteristiche di messa in scena, di impianto molto teatrale, con le medesime unità di tempo, luogo e azione e un gruppo di <i>motherfuckers </i>chiusi forzatamente in una stanza a scannarsi tra di loro. Tarantino stesso poi indicherebbe anche una derivazione dalle serie televisive western degli anni sessanta (da cui dipende certamente anche la scelta di chiamare il personaggio interpretato da Samuel L. Jackson con il nome del produttore di <b>Bonanza </b>e <b>Rawhide </b><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Charles_Marquis_Warren">Charles Marquis Warren</a>) in cui in un episodio a stagione capitava che i personaggi principali venissero presi in ostaggio da un gruppo di fuorilegge con un passato oscuro da rivelare e il pubblico doveva scoprire chi fossero buoni e chi i cattivi. L’idea iniziale di Tarantino era appunto quella di fare un film unicamente su queste tipologie di caratteri, dando loro delle armi e rinchiudendoli in una stanza a discutere delle loro storie, senza però un personaggio positivo a fare da punto di riferimento morale.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxkAqc4cJZjAcotJ2w7zanl6nYBZZwlbzlN8qlVRnsBfZE28KLW9r_Z2HQry_vjry5CO1NGUpLirRokKnYynmUSM946tslhmg0qAP9IIbZRbrfmHzQwIt9lhh0TZfEUTrZk_WBkFnfouBk/s1600/HATEFULEIGHT2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxkAqc4cJZjAcotJ2w7zanl6nYBZZwlbzlN8qlVRnsBfZE28KLW9r_Z2HQry_vjry5CO1NGUpLirRokKnYynmUSM946tslhmg0qAP9IIbZRbrfmHzQwIt9lhh0TZfEUTrZk_WBkFnfouBk/s640/HATEFULEIGHT2.jpg" /></a></div>
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Beffardo fin dal titolo – ché gli “odiosi” protagonisti del film non sono solo gli otto che compaiono nella locandina e, a ben guardare, questo non è nemmeno l’ottavo film di Tarantino (difficile infatti non considerare<b> Kill Bill</b> come un’unica pellicola ) – <b>The Hateful Eight</b> non è, come del resto era facile aspettarsi, un film western nell’accezione canonica che si da al termine, ma molto d’altro e molto di più.<br />
Diviso simmetricamente in due parti uguali e contrapposte – la prima eminentemente di attesa poggiata solo sui dialoghi fluviali tra i personaggi e la seconda con l’incandescente deflagrazione dei conflitti tra gli stessi tra picchi di sadismo e fiumi di sangue - <b>The Hateful Eight</b> è un filmone enorme, ingombrante, esaltante e repellente. Da digerire, rivedere, rimuginare.<br />
<br />
Un western misantropo da teatro delle crudeltà, ma anche un giallo che non rispetta nessuna regola del giallo, e un dramma da camera che si trasforma in un horror senza il sollievo del soprannaturale. Lentissimo, parlatissimo, nerissimo, grottesco: com’era facile aspettarsi dalle premesse è il film di Tarantino più anti-commerciale e ostico. Tarantino non cerca mai il coinvolgimento dello spettatore. L'ironia è
biliosa, non c’è nessuna gag di alleggerimento, nessun dialogo
mirabolante, nessun twist che lascia a bocca aperta. L'unica sequenza
vagamente <i>cool </i>e <i>killbilliana</i>, col giochino temporale che ci si può aspettare dall'autore,
è il capitolo "I quattro passeggeri", che però è un lento e sadico gioco ai danni
dello stomaco degli spettatori - che ormai già hanno capito cosa è accaduto e quindi sta per accadere. Un gioco
che nessuno vuole davvero veder portare avanti.<br />
<br />
Il consueto apparato citazionista tarantiniano è ridotto ai minimi termini, con riferinenti presi alla lontana, smontati, masticati e assimilati nella storia in modo fluido e poco eclatante. Un processo opposto rispetto al caleidoscopico affastellarsi di schegge dell'immaginario (più o meno) collettivo di <a href="http://filmwestern.blogspot.it/2013/02/nuovi-western-django-unchained.html" target="_blank"><b>Django Unchained</b></a>.<br />
Significativo, ad esempio, come rimangano sotterranei i molteplici e fecondi riferimenti a "La cosa" di Carpenter, di cui addirittura per la colonna sonora sono stati ripresi alcuni brani inediti dello score morriconiano del '82, quando ad un primo, superficiale livello di lettura saltano agli occhi forse solo la presenza di Kurt Russel e l'ambientazione nevosa.<br />
<br />
Il clima di sulfurea attesa dell'interminabile prologo sembra uscire da un film di <a href="http://filmwestern.blogspot.it/2012/05/i-film-28-dead-man.html" target="_blank">Jim Jarmusch</a> e soprende trovare in un western l'influenza massiccia di un autore molto poco western come Polanski. Meno soprendenti ma altrettanto gradite le influenze di un paio dei più corrosivi cantori della fine del mito del west cinematografico come Cimino e <a href="http://filmwestern.blogspot.it/2012/01/i-registi-5.html" target="_blank">Altman</a>. Nonostante la celebrata presenza di Morricone (usato in modo anti-leoniano, il motivo principale è una di quelle sue marcette stralunate alla <b>Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto</b>) e gli omaggi a Corbucci, c'è invece pochissimo degli spaghetti western.<br />
<i>The Hateful Eight</i> è un film americanissimo, nella forma e nella sostanza. Dove non solo Tarantino continua il suo filone di film politici, ma rilancia, abbandonando temi genericamente umanitari dei due film precedenti e affondando il bisturi in uno dei fondamenti della società americana, fino ad arrivare ad un finale paradossale degno - appunto - dell'Altman più virulento.<br />
<br />
A livello visivo è allo stesso tempo il suo film più classico e rigoroso, ma anche il più complesso e affascinante. Un tripudio di fiocchi di neve, lanterne, focolai, luccichii, riflessi, luci, penombre. La scelta di girare in 70 mm un film quasi interamente ambientato in un interno dilata gli spazi, ingigantisce e impegna la visione come da anni non siamo più abituati, almeno nel cinema americano.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgU79Qf8gER1l36ULzQfpli7TdYcgDbT0lpeVG1s2-QEqQLMhhJN_JsxEo06OMeBADztq2HMwVwY5L_wP36_iyz-zjcURvjlbbmQRwVPmSZIjtBGZS7BGfL5nkU3D4J99Omsz27G39gVWPB/s1600/foto-the-hateful-eight-15-1000x600.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgU79Qf8gER1l36ULzQfpli7TdYcgDbT0lpeVG1s2-QEqQLMhhJN_JsxEo06OMeBADztq2HMwVwY5L_wP36_iyz-zjcURvjlbbmQRwVPmSZIjtBGZS7BGfL5nkU3D4J99Omsz27G39gVWPB/s640/foto-the-hateful-eight-15-1000x600.jpg" /></a></div>
<br />
Il cast è di quelli che con Tarantino andrebbe in stato di grazia anche col pilota automatico.<br />
I poli estremi sono Tim Roth con le sue giravolte istrioniche e il torpore fatiscente di Madsen. Ma è Jennifer Jason Leigh quella che impressiona e inquieta. Eppure non era stata nemmeno la prima scelta per il personaggio di Daisy, per cui inizialmente era stata prevista un'attrice più giovane e "glamour". Visto il
film impossibile immaginare chiunque altra. La sua ultima ultima scena,
grottesca e allucinata, è uno delle sequenze <i>horror</i> più potenti degli ultimi anni, un'immagine iconica quasi come la Carrie di Sissy Spacek e la Regan di Linda Blair. Goggins, il mefistofelico coprotagonista della serie televisiva "Justified", al suo primo ruolo di rilievo non televisivo tiene testa alla grande ai cinematografici faccioni mitologici che gli stanno attorno. L'unico che ci è sembrato fuori luogo è stato Channing Tatum, l’opzione inizialmente prevista di James Remar era probabilmente più calzante.<br />
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Dopo questo dittico-capolavoro Tarantino pare intenzionato a continuare a dare il suo contributo al western con almeno un altro film, che dovrebbe chiudere un’ideale trilogia (anche perché secondo lui «devi fare tre western per poterti definire un regista western») e che dovrebbe continuare a parlare del tema razziale (la supremazia dei bianchi e il razzismo istituzionalizzato degli Stati Uniti com’è noto sono argomenti molto sentiti dal regista), che è l’unico apporto innovativo e originale che ha affermato di poter aggiungere al genere. Noi possiamo solo sperare che l’attesa non sia troppo lunga.Maurohttp://www.blogger.com/profile/16951030253582016080noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-48983916052398771952016-02-25T17:50:00.000+01:002018-06-24T12:15:18.706+02:00Bone Tomahawk<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLtM6Tom8Nao9ODk8Y0iBAKU1pRB5jPn8I13ij9y6-JRyRL05SVWw-TMvlXO8N6uvTtqzd1iUNlb5ngaP5klhSjuihIMqE2MrH1R-vvtIcTgLPS7v058HL0U7P91RegBcQRIJ8nEAtA18M/s1600/bone_tomahawk_poster1.jpg" imageanchor="1"><img border="0" height="460" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLtM6Tom8Nao9ODk8Y0iBAKU1pRB5jPn8I13ij9y6-JRyRL05SVWw-TMvlXO8N6uvTtqzd1iUNlb5ngaP5klhSjuihIMqE2MrH1R-vvtIcTgLPS7v058HL0U7P91RegBcQRIJ8nEAtA18M/s640/bone_tomahawk_poster1.jpg" width="640" /></a><br />
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2015 <b>BONE TOMAHAWK</b> <br />
<i>di Craig S. Zahler, con Kurt Russell, Richard Jenkins, Patrick Wilson, Matthew Fox, Lili Simmons</i><br />
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Nell’attesa della recensione di <b>The Hateful Eight</b>, film-evento irrinunciabile per ogni appassionato di cinema (non solo) western, un sostanzioso antipasto (e anche un’occasione per rilanciare il nostro blog) può essere costituito da <b>Bone Tomahawk</b>, pellicola uscita lo scorso autunno negli Stati Uniti (ma reperibile attraverso le solite piattaforme online anche in Italia: una distribuzione nelle sale cinematografiche non pare per il momento prevista), se non altro per la particolarità di essere interpretata dallo stesso protagonista del film di Quentin Tarantino, un magnifico Kurt Russell, che sfoggia peraltro il medesimo look ottocentesco con barba e baffoni. <br />
<b>Bone Tomahawk</b> è stato infatti girato immediatamente prima di <b>The Hateful Eight</b>, quindi nel 2015 c’è stata l’occasione di vedere Russell (che aveva frequentato il genere solamente una ventina d’anni addietro con il <a href="http://filmwestern.blogspot.it/2014/02/tombstone.html"><b>Tombstone</b> </a>di Pan Cosmatos) in ben due western, che speriamo costituiscano un’occasione di rilancio per questo bravo attore ultimamente poco utilizzato dal cinema americano.<br />
<br />
<b>Bone Tomahawk</b> è scritto e diretto da quel Craig S. Zahler di cui abbiamo dato notizia sul nostro blog a proposito dell’annunciato progetto <a href="http://filmwestern.blogspot.it/2012/10/prossimamente-brigands-of-rattleborge.html"><b>Brigands of Rattleborge</b></a>, uno script particolarmente violento finito in cima alla Black List (la lista delle migliori sceneggiature non prodotte pubblicata annualmente dagli Studios americani) che dopo essere stato acquistato dalla Warner Bros era stato affidato nientemeno che al coreano Park Chan-wook (progetto che pare però purtroppo essersi arenato). <br />
Quella di <b>Brigands of Rattleborge</b> è solo una delle venti sceneggiature finora vendute al cinema dal poliedrico Zahler, che è anche apprezzato romanziere (i diritti del suo ultimo romanzo, <b>Mean Business on North Ganson Street</b>, sono stati opzionati da Leonardo DiCaprio, che dovrebbe trarne un film a breve) e anche musicista (genere di riferimento l’heavy metal). Siccome l’unico suo copione ad essere finora diventato film è però quello di <b>The Incident</b>, un horror diretto nel 2011 dal francese Alexandre Courtes, Zahler, frustrato dai tanti progetti non andati in porto, ha deciso di compiere il grande passo e passare in prima persona dietro la macchina da presa. <br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6e6YLms29jSHG1QuZTzTex2kJWZ8m85nrbvRObwBwW9gaQIEdVSgt6yYDYC5LB8Lw1PCoC7lRWoPWAGJqXdd_45zqBlZvwLxTOKeAR_EFDt5TrJek9Q2U2kzV6oBaWIQhjvONOodB2-12/s1600/Immagine.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="268" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6e6YLms29jSHG1QuZTzTex2kJWZ8m85nrbvRObwBwW9gaQIEdVSgt6yYDYC5LB8Lw1PCoC7lRWoPWAGJqXdd_45zqBlZvwLxTOKeAR_EFDt5TrJek9Q2U2kzV6oBaWIQhjvONOodB2-12/s640/Immagine.png" width="640" /></a></div>
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Tra le varie declinazioni del <a href="http://filmwestern.blogspot.it/search/label/weird-western">Weird Western</a>, genere negli ultimi anni quanto mai (mal) frequentato, mancava forse ancora quella ‘cannibal’, un sottofilone tra i meno rispettabili dell’horror, di matrice prettamente italiana, tornato di recente in auge grazie al film di Eli Roth <b>The Green Inferno</b>. Le similitudini, però, si fermano qui: se Roth sceglie per la sua pellicola come suo solito un approccio quanto mai ludico e superficiale Zahler sembra invece ben intenzionato a fare le cose sul serio e a maneggiare la materia con reverenza, scrupolo e competenza. <br />
<br />
Il risultato è un oggetto quanto mai curioso e indecifrabile, che potremmo definire come una sorta di impossibile mix tra <b>Sentieri selvaggi</b> e <b>La montagna del Dio cannibale</b>. <br />
Dopo un breve e fulminante prologo in cui vediamo Sid Haig tagliare (letteralmente) la gola a un gruppo di pionieri per poi venire a sua volta fatto a pezzi il film assume i ritmi piani e distesi di un autentico e classico western, nei quali l’autore si prende tutto il tempo, utilizzando come tema portante il tradizionale archetipo del viaggio, per mettere in scena e sbozzare i personaggi e per descrivere le dinamiche che intercorrono tra di loro, nelle quali si può apprezzare la sua capacità di delineare efficacemente caratteri e psicologie e l'ottimo senso per i dialoghi, arricchiti da un uso non banale di vocaboli desueti e vernacolari. <br />
Paradossalmente questo rallentamento e rarefazione della pellicola, in cui di fatto poco o niente succede, contribuisce ad accrescerne esponenzialmente il livello di tensione.<br />
Nell’ultima mezz’ora, con l’incontro con il clan di indiani cannibali, il film opera però uno scarto deciso e prende completamente le distanze dagli stilemi del western per abbracciare quelli di un horror graficamente molto violento, e si chiude con un finale teso e cattivo, di quelli che restano impressi. <br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWlf8PnzXxQkVjeW1i7NWiZLdXaHc0kDuOcrEqbgfMT-c-OY8KoqkITgBdJosgWCaJs8vw6qy7POTk4PKfS3CPTNiknkbZTBF16OsQ-AT2fbLShA_tLIrJx5iKlKQ3v1eVROTdwII1Eb1z/s1600/immagine3.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWlf8PnzXxQkVjeW1i7NWiZLdXaHc0kDuOcrEqbgfMT-c-OY8KoqkITgBdJosgWCaJs8vw6qy7POTk4PKfS3CPTNiknkbZTBF16OsQ-AT2fbLShA_tLIrJx5iKlKQ3v1eVROTdwII1Eb1z/s640/immagine3.jpg" /></a></div>
<br />
Come detto l’autentico valore aggiunto del film è costituito da Kurt Russell, protagonista di un’interpretazione degna dei grandi del passato: la laconicità, l’essenzialità dei gesti,il portamento elegante e virile rimandano ai grandi divi del western classico, come il fatto di riuscire a riempire lo schermo con la sola presenza scenica o anche la semplice voce. <br />
Anche il resto del cast funziona benissimo, a partire da Richard Jenkis che fornisce un’ironica e inedita interpretazione del classico “vecchietto” alla Walter Brennan, fino a due giovani promesse di formazione televisiva come Patrick Wilson e Matthew Fox. Soprattutto quest’ultimo è assai convincente nel ruolo di un compassato gentiluomo d’armi. <br />
Merita sicuramente una menzione, infine, anche la deliziosa Lili Simmons.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzEqhMfVkQjqIVauB378EG6bTPAoqcF4P513ZkZ2FRYVI5HahxYQ_g4RPvOwcxF9m6eDzokcPPKoEtn8gqHwkbm_UpmAShkC4z3kL5qAvOsXwiJQ7bJzv66yW_o0d2fAP95AlZJ9ACnLpG/s1600/Immagine2.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzEqhMfVkQjqIVauB378EG6bTPAoqcF4P513ZkZ2FRYVI5HahxYQ_g4RPvOwcxF9m6eDzokcPPKoEtn8gqHwkbm_UpmAShkC4z3kL5qAvOsXwiJQ7bJzv66yW_o0d2fAP95AlZJ9ACnLpG/s640/Immagine2.png" /></a></div>
<br />
Il film, va detto, non è esente da difetti e in alcuni punti palesa la poca esperienza di Zahler dietro la macchina da presa, che si limita a una regia corretta ma abbastanza anodina, forse non all’altezza della sceneggiatura e carente soprattutto di immaginazione visiva (la poca mobilità delle inquadrature e l’ampio uso di campi medi d’altro canto evoca echi carpenteriani, come pure la raffigurazione metafisica del male e l’utilizzo dello spazio in funzione della creazione della suspense); in alcuni momenti anche i dialoghi, in particolar modo quelli di Richard Jenkins, pur efficaci nella loro straniante ironia (che segue consapevolmente la lezione di Tarantino) a volte spezzano eccessivamente la tensione finendo per risultare un po’ ridondanti, e forse l’intera pellicola avrebbe giovato di una minor durata.<br />
<br />
Bisogna però dare atto al regista di avere girato con il budget minuscolo di un piccolo film indipendente (gli esterni sono stati girati interamente in California, non potendosi permettere il New Mexico) un western con un mood molto affascinante e non privo di preziosismi ed eleganza e lo aspettiamo fiduciosi alla sua seconda prova.Maurohttp://www.blogger.com/profile/16951030253582016080noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-87130537327252434022015-08-12T20:08:00.001+02:002015-08-13T10:53:42.309+02:00prossimamente - THE HATEFUL EIGHT<span id="goog_1684453060"></span><span id="goog_1684453061"></span>Blog di nuovo in coma, ma passione sempre viva.<br />
Almeno per film che si presentano così. <br />
<br />
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/gnRbXn4-Yis/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/gnRbXn4-Yis?feature=player_embedded" width="320"></iframe><br />
<br />
<img border="0" height="241" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgiOwchYN_m4_yAlru-2c2KmeFgHP-SnZWLoiYSZZE_PJtwvul_FMfkckFXPj6oAQTwm9nhdK4diRwVVNV8fVxXIXpsYCAo7Jw8QIyFQEmbgKJ6h4QQzen8lE0390vot7BWgGYkqI8PXOUn/s400/Hateful-Eight-poster5.png" width="400" /><br />
<br />
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLONITcJh6gcYND2EVwmWbsIPcnw9uY2bwpIFbpRFj56EW67B53fcycu4MgCqpz_Yi_HSSxGJgysXRTn6M8xEc97zSWOayDs4NG_X_P_yoZOxyQusatB_vUk2DHGgZafK3F6g9d2a0BkkX/s1600/Hateful-Eight-poster1.jpg" /><br />
<br />
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiotB72nyfZcPm9uIlRVyK0d2rruPYLwJH06933_lWQcV9SFRVHrwoVg6oM_mh-VhwxkGtZWe_4W0b8HeQMPQvyysvn-iBwThyphenhyphenN81An17yojXffGfqHCEwItPbromhhWUimJ5FQbz3aojL_/s1600/Hateful-Eight-poster2.jpg" /><br />
<br />
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhrdXGFczXpFL77JHYqgk5P0LJVfyCTFtLDNLSV9FHKlrgSsYpF0igrWidjMJOKN_dvZM6msA8iHvyKY2N_scEdA5odrd_890DMAV7TP6o7f8UiXPWZarsiKw3GRRqxUYynEXx16rafcA8X/s1600/Hateful-Eight-poster3.jpg" /><br />
<br />
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUcyXT60sBRJXa9UuN6OU6mWlfXUvD8D4sBLSinvAoz2OZ3tFmV4z_VCa4uCH_HHaOU_8a8NYMXRmHsafUl_82A-cDPOIhjNlfUJ8FCkUKGsGISMhtzDehTbAuQExNRTWxntxAHRLdIeSE/s1600/Hateful-Eight-poster4.jpg" />
Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-54752585552776422142015-03-04T23:31:00.002+01:002015-03-05T10:52:55.027+01:00The Mountie<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCHF5J4oG7rIJ6x_zJZhW4YUQN-wjA_00wDqDOGVbk96b33s4X3eIjJFZoGO9lpBMQpCz8OBH6B6-l6payT3aPbC74fxqare64agAtlZ1-PfjiKmvC8yvyLD-TXeoXyGlAIa9Cd9d_jc0M/s1600/the-mountie-2011-1.jpg" height="460" width="640" />
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
2011 <b>THE MOUNTIE / THE WAY OF THE WEST / LAWMAN</b><i> </i><br />
<i>di Wyeth Clarkson con Andrew W. Walker, Jessica Paré,
George Buza, Earl Pastko, John Wildman, Tony Munch , Matthew G. Taylor, Andrey Ivchenko</i><br />
<br />
E' piuttosto sconcertante il numero di
western amatoriali o semi-amatoriali che vengono prodotti ogni anno
da un po' di anni a questa parte. A questa data, per il 2015 <a href="http://www.imdb.com/search/title?at=0&genres=western&sort=moviemeter,asc&title_type=feature&year=2015,2015" target="_blank">secondoIMDb ci sarebbero già in cantiere cento(!) film western</a>. Lasciando
perdere tutti quei film d'altro genere per cui l'etichetta "western"
del sito sarà stata messa lì perché si vede un deserto o uno
cavallo, stiamo parlando di almeno una cinquantina di titoli. Alcuni
di questi non verranno mai completati e spariranno anche da IMDb,
altri diventeranno i classici film fantasma di cui resterà solo un
titolo, di altri ancora comparirà il trailer su youtube prima di
scomparire a loro volta, i più fortunati finiranno in qualche sito
streaming totalizzando visualizzazioni a una cifra e zero commenti.
Pochi, pochissimi, troveranno un loro minuscolo pubblico e i loro 15
minuti di gloria. Quel che sconcerta è quindi la vastità della
proposta in relazione alla quasi inesistente domanda di prodotti
simili.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Eppure, pur considerando l'abbattimento
dei costi (e della conseguente qualità media) dovuto alla tecnologia
digitale, mettere in piedi anche il più banale dei film resta
un'operazione per cui ci vuole comunque qualcuno che spenda tempo e
risorse personali. Molto tempo e molte risorse.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Al che si potrebbe buttarla sul
romantico, immaginando questo esercito di sognatori che producono e
dirigono il loro film western contro ogni legge del mercato e del
pubblico, spinti solo dall'amore per il genere. Ma poi basta
guardarne qualcuno di questi pseudo-film per far sparire ogni alone
poetico alla faccenda. C'è di buono (si fa per dire) che il livello
è in genere talmente infimo che in genere bastano pochi minuti di
visione o anche solo un trailer per decidere di dedicarsi ad altro.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgg6dOulTR-NT6SvplaoVSZhgBUSm6whw6M9-AcMx8cKuP1v8wMEYc-xfD1gUTgLngho8Nf9cX3LeqZ0Feh1HWEKxfllPGqxBGaPeOp4xvPs6dh3sfDnnJTkQaph3BEDz4sj0cYW4-b0kIW/s1600/the-mountie-2011-2.jpg" height="254" width="640" /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Raramente ci sono invece titoli che si
lasciano vedere dall'inizio alla fine, come questo "The
Mountie", film canadese di quattro anni fa, circolato (e si rifà
per dire) anche con i titoli "The Way of the West" e "Lawman".
L'amatorialità del prodotto risalta già dalla povertà grafica del
carattere scelto per i titoli di testa e di coda, ma per il resto a
livello tecnico ci troviamo davanti ad un filmetto fatto con gusto,
cura e consapevolezza dei pochissimi mezzi a disposizione.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Come ormai caratteristico di molti
western di questi anni dieci, il film sceglie un'ambientazione
atipica e intrigante, quella di una minuscola comunità russa
dispersa tra le montagne del Canada, un accampamento di misere tende
dove - bella intuizione visiva - l'unico edificio in legno è la
chiesa. Il prete è in combutta con una banda di criminali che
costringe la piccola comunità a coltivare l'oppio. Un giorno
capita da quelle parti una giubba rossa che proprio a causa
dell'oppio ha un tragico errore da riscattare: sotto effetto della
droga durante una sparatoria in un fumeria d'oppio uccise per sbaglio
una ragazzina.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Bella fotografia, bei costumi, colonna
sonora professionale, tocchi di regia non banali, il fascino
aristocratico delle giubbe rosse. Gli attori sono probabilmente tutti
non professionisti, ma i buoni hanno le giuste facce (nota per gli spettatori maschietti: la figlia del prete, che - ovviamente - si innamora del
protagonista è praticamente una sosia di Liv Tyler) e i cattivi le giuste
ghigne. Tutto sembrerebbe concorrere alla realizzazione di un
gioiellino misconosciuto. Dove il film frana rovinosamente è
nella scrittura.</div>
<br />
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRiPvOrcTORgXjgZ2dgRu0RSwtgQhdSpmrslJ_fVtRjiWIBHryvgqYaXl_af76WeUC2KCKSFLeHv-prt_9GAcRokEnSElFg55MZmujxHNnthT6TwKwYUKu0vpnLFQjezQWJcscR84njhys/s1600/the_mountie_2011_4.jpg" height="270" width="640" /><br />
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Anche a quel livello, in realtà, gli
autori avrebbero fatto scelte intelligenti, mettendo in piedi una
storiella semplicissima e riducendo al minimo i dialoghi. Ma a conti
fatti la sceneggiatura si rivela una specie di collezione delle più
tipiche ingenuità dello sceneggiatore dilettante. Un affastellarsi di idee anche
buone, ma messe giù senza avere il senso del narrazione e senza capacità
di dare una progressione drammatica agli eventi. Le cose sembrano
succedere a caso, i personaggi fanno cose incoerenti e spesso
in contrasto con la loro caratterizzazione, si passa senza soluzione di
continuità da un tono realistico e crepuscolare a scene da spaghetti
western. Per dire, il protagonista passa da sequenze in cui appare
come lo straniero senza nome di Clint Eastwood ad altre in cui è un
antieroe impotente. Nel finale appare tra i fumi delle esplosioni
come in "Per un pugno di dollari" e uccide ad uno uno i
suoi avversari come "Il cavaliere pallido, ma allo stesso tempo
per cavarsela deve essere salvato dal suo cavallo(!), da una
bambina(!!), da un ritardato(!!!) e infine da un suo collega. </div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgDJVUPv0W1a-Ezuq2abkmoSX9oevm7EljBZL1KI2JjnjX-a5nwCTx7LcGyYBkcP5EL9DW_kJXLuIj57xrDyrZoC-Cvm36ACG5tj1vZqGRw3gALlYmmnnGnzpOOTmbNDIPtbBRpG6XydTk0/s1600/the-mountie-2011-3.jpg" height="236" width="640" /><br />
<br />
Ma ha senso giudicare un prodotto di
questo tipo come un film normale?<br />
Ha più senso criticarlo per quello
che non è riuscito ad essere o apprezzare quello che, nonostante
tutto, è riuscito ad essere? E se da una parte il coevo <a href="http://filmwestern.blogspot.it/2012/07/nuovi-western-good-for-nothing.html" target="_blank"><b>Good for Nothing</b></a>, con mezzi probabilmente altrettanto limitati, è riuscito ad
essere un autentico gioiello, dall'altra è comunque meglio di
un'infinità di direct-to-video senz'anima che magari godono di buona fama tra
estimatori del trash. Alla fine è un'operina fatta con evidente
amore, per il western e per il Canada, che non riesce ad essere un
prodotto professionale, ma ci prova ad esserlo più di molti prodotti
realmente professionali.
</div>
</div>
Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-24577496555993033482015-02-25T01:48:00.001+01:002015-03-05T21:04:23.808+01:00The Retrieval <img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaEUqEOxtp0AgKyO7j41coNDGSR15vXTp5MGYmZZX35Ys3KJitzNPImAqi7dXE9RAhYL53Is8T5Ts6LNV2SfNYmm4cZovF1Yu1kzRdUo_OaeOdJ8q8GuHQw4gt1m9Hu_rNe7QsGQG77uSF/s1600/retrieval_01.jpg" height="338" width="640" /><br />
<br />
2014 <b>THE RETRIEVAL</b><br />
<i>di Chris Eska con Ashton Sanders, Tishuan Scott, Keston John Bill Oberst Jr., Christine Horn, Alfonso Freeman, Raven Nicole, Jonathan Brooks </i><br />
<br />
Ormai si può certificare una piccola ma significativa tendenza in alcuni dei western prodotti in questo decennio ormai per metà già consumato. Una serie di film, spesso a basso costo, che mettono in scena situazioni ridotte all'osso con toni prosciugati e minimalisti e narrano storie di viaggio con ritmi lenti e anti-commerciali, spesso con un rifiuto o un disinteresse per l'iconografia classica del genere. <br />
<br />
Ne è un buon esempio questo piccolo, ma interessante film indipendente dell'anno scorso. <br />
Si racconta di due ex schiavi neri, un ragazzo e un adulto, che durante la guerra civile collaborano con una banda di cacciatori di disertori e schiavi fuggitivi, che i due scovano e tradiscono. Un giorno vengono incaricati dal mefistofelico capo della banda di andare tra le linee nordiste e attirare in trappola con una scusa un prezioso schiavo ricercato. Riusciranno nell'intento, ma durante il viaggio il ragazzo comincerà a vedere nell'uomo una figura paterna e il simbolo di una dignità sconosciuta a lui e il compagno, a conti fatti comunque sempre "schiavi" di un bianco.<br />
<br />
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhs9VI9MCVZsfBXKsWO_GAeLx-Z-UsYiX0_cdzxnb_8SnYa1vFXxQIx2GJqYT660HYdi4fb1dYjYMipQ5lTkBsNoJOibT_ICzKiWB0F_T9wST7uK0C_lG4if6taCcA1_UADguaRJOHv9Our/s1600/retrieval_02.jpg" /><br />
<br />
Per grande parte del film vediamo solo i protagonisti che camminano in mezzo splendidi paesaggi fatti di campi e boschi. Bellezza bucolica interrotta dai segni e dagli improvvisi squarci della violenza bellica (in una scena si addormentano e si risvegliano in mezzo ad una battaglia). Non è però un film poetizzante o vuotamente contemplativo. Il tono è asciutto, la bellezza delle immagini è priva di pomposità. Il ragazzo e il fuggitivo affrontano pericoli, fanno incontri, dialogano, raccontano, si conoscono in modo diretto ed efficace, non in modo molto diverso dai classici degli anni 50. I due protagonisti di questo film non sono "negri che vanno a cavallo" come il Django di Tarantino, sono realistici ex schiavi che se ne vanno in giro a piedi con vesti consunti, senza cinturoni e cappelli. Eppure, anche grazie alla rinuncia a molti cliché attoriali di molto cinema di colore, la loro caratterizzazione riesce a sfuggire alla trappola del realismo spoetizzante e a farli diventare personaggi fascinosi e allusivi, romanzeschi e "western".<br />
La forza del film è in particolare il personaggio del ricercato, che pur nella sua umanità e fallibilità, diventa anche visivamente il simbolo di un'affascinante nobiltà "black". Merito anche della bella prova Tishuan Scott, faccia virile e aria seria da attore d'altri tempi. <br />
<br />
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_HT0sSFLF9VxyRg4LAI65-MdCJurz4Aj6zRoekw1tGAobMQHNo4RaEMElqDb5aZwG0B_t74EI8Teg3-6ksnZXswJZIEavyq8lNjr_v7FGbIff44vHCcfDKIsu3vYl6qQ40bDFaniTcIzM/s1600/retrieval_03.jpg" /><br />
<br />
I limiti del film sono una certa tendenza al didascalismo che rende la storia un po' prevedibile e l'esasperato protrarsi dei dubbi del ragazzo sul portare o meno a compimento il tradimento. Indecisione che alla lunga rischia di sembrare incoerente con quanto vediamo raccontato e che lo fa diventare un personaggio monocorde. Ma sono difetti che pesano poco nel conto finale, alla fine vince l'umanità dei personaggi, la bellezza poetica di molte sequenze, la solidità delle sequenze violente. <br />
<br />
Nota a margine: possiamo star sicuri che questo film non arriverà mai in Italia, come del resto almeno altri due ottimi titoli usciti nel 2014 ("The Salvation" e "The Dark Valley" - qualche speranza in più per il capolavoro di Tommy Lee Jones "The Homesman", ma non stupirebbe più di tanto veder delusa anche questa attesa). In compenso abbiamo potuto godere della distribuzione di "Un milione di modi per morire nel West".Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-33646275603054168692014-12-19T01:41:00.002+01:002014-12-19T10:14:24.211+01:00Thousand Pieces of Gold / The Ballad of Little JoContinuando sul sentiero di <a href="http://filmwestern.blogspot.it/2014/12/meeks-cutoff.html"><b>Meek's Cutoff</b></a> segnaliamo altre due interessanti pellicole dei primi anni 90 caratterizzate da uno sguardo femminile dietro la cinepresa.<br />
<br />
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcRP0166S_wjcPA9JJzUn0eSzCGujKwT4404_fSGUAd2hkk-udoXVyKWssThRJQoDRTrfLQGNdf5auyomrQKCIvt-rb5N5bn3MjH5SQfCwD0xvpK2EHYmUFyaANcZpR09rrZRyFx2Gl4yD/s1600/THOUSAND%20PIECES%20OF%20GOLD%20(1991).jpg" /><br />
<br />
1991 <b>THOUSAND PIECES OF GOLD</b><br />
<i>di Nancy Kelly con Rosalind Chao, Chris Cooper, Michael Paul Chan, Dennis Dun, Beth Broderick</i><br />
<br />
Figlia di una poverissima famiglia di contadini cinesi la bella Lalu viene data in moglie ad un connazionale immigrato in California. Ma giunta in America la poveretta scopre di essere stata invece venduta come prostituta da saloon in un paesino di minatori. Dovrà lottare per riscattare la propria libertà e mantenere la propria dignità. Alla fine un commerciante e scapolone bianco si innamorerà di lui e la sposerà. <br />
Ispirato a un omonimo romanzo di Ruthanne Lum McCunn e bastato sulla vera (e pare molto più prosaica) vita di <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Polly_Bemis" target="_blank">Polly Bemis</a>, oggi considerata una sorta di eroina del femminismo americano delle origini.<br />
<br />
A dispetto di quel che si potrebbe immaginare dalla trama è un sobrio e persino raffinato film-tv, che evita sia le trappole del più facile melodramma romantico che quelle del parabola platealmente edificante. La storia è quella di un'affermazione di dignità e di una duplice crescita umana. Molto americana la parabola della protagonista, che partendo dalla condizione più sventurata conquista un'indipendenza e una dignità che le sarebbero state probabilmente negate nella terra natia. Più sfumata quella del protagonista maschile, che deve superare parecchi tabù sociali e personali, prima di accettare di essersi innamorato di una cinese. <br />
Gran merito della riuscita del tutto va alla classe dei due attori protagonisti, due ottimi caratteristi raramente messi così in primo piano. Ad una prevedibilmente molto coinvolta Rosalind Chao fa da spalla il solitamente "cattivo" Chris Cooper, il cui aspetto massiccio e vagamente minaccioso è probabilmente uno dei motivi per cui la storia non scivola mai nel melenso.<br />
<br />
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg19oIYI-SDik44vSejB89BFTZ_IEY_M8cNVBgQxtU6j2wAwjrCKSh2HgLcvZUuUj_b-tI_YLPircluNu5vtXBwVkZ7_dGBdDyjRXhOURQUzYp47LSvCT9hLWcOX1P1c0LHICIN1serB0nI/s1600/jim_lalu_over_mts.jpeg" height="249" width="400" /><br />
<br />
I limiti sono quelli dell'autocensura televisiva che, se non edulcora troppo lo squallido scenario in cui la protagonista si trova a vivere, non può e non vuole spingersi troppo in là nella descrizione di quella che comunque resta una storia di prostituzione e schiavismo. Appare un po' troppo facile ad esempio il modo in cui la protagonista evita di "esercitare il mestiere": difficile credere che i minatori di un paesino dell'800 fossero in larga parte tutti così comprensivi e di buon cuore. Comunque il lieto fine personale viene adeguatamente inquinato da un finale molto amaro a livello sociale, con i protagonisti costretti a fuggire dal paese dove si è scatenato un folle linciaggio dei cinesi.<br />
<br />
Nonostante tempi e luoghi siano quelli canonici, c'è davvero poca aria western. La distanza dal genere la si misura subito con il prologo ambientato addirittura in Cina, mentre il resto del film mette in scena un'ambientazione mineraria più alla London che da classico western.<br />
<br />
<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhy9moBfqqeSLyAzgtJ6zfNv2Y2GO_FNEbritJSiJBKAuMNhqIWJjNpE1BHWXG4onr4_zFyaMVU2I-v7SE1R9zoNafvZtVDTWANXc0-Y-2DonAe5-CicSlQM6xE7qFkGTI1JcLUOcAeFHg3/s1600/little_jo1.jpg" /><br />
<br />
1993 <b>THE BALLAD OF LITTLE JO</b><br />
<i>di Maggie Greenwald con Suzy Amis, Bo Hopkins, Ian McKellen, David Chung, Heather Graham, René Auberjonois, Carrie Snodgress, Melissa Leo</i><br />
<br />
Si racconta la storia incredibilmente vera di <a href="http://buckarooleather.blogspot.it/2011/07/jo-monaghan-ballad-of-little-joe.html">"Jo" Monaghan</a>, un rispettato piccolo ranchero dell'Oregon che solo dopo la morte, avvenuta per cause naturali nel 1904, si scoprì essere una donna (Josephine). Nella realtà le motivazioni pare fossero principlamente economiche, quella di una donna in cerca di lavoro per sfuggire alla miseria che l'aveva costretta a far internare il suo unico figlio in un manicomio, nel film decide invece di vestirsi da uomo perché traumatizzata da un tentativo di stupro.<br />
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<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4puwn31j0wmGXnL6NlollmLBt9g5CZb_GvbsKKLPuNjypxRegMxhZG8H4Qas2A7HxHfT7QCb3VMK0YHjEsoOi9NXB8kdSuIoc80aljkil7zpAmNaVqjz7weRS_Mbphtp9NF_Rsbgx3YnS/s1600/little_jo2.jpg" height="178" width="400" /><br />
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Storia interessante, confezione curata e rigorosa, ma a differenza del film precedente "The Ballad of Little Jo" soffre di un eccesso di realismo che finisce quasi per soffocare la narrazione. Quella raccontata è forse una storia troppo particolare per rappresentare qualcosa di diverso dal caso in sé o comunque gli autori non riescono ad andare oltre alla mera esposizione dei fatti.<br />
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In netto contrasto con la maggioranzai dei film che mettono al centro della storia delle cowgirl, in genere maschiacci che sanno farsi valere in un mondo di uomini, qui per tutto il tempo non vediamo altro che una poveretta infagottata nel suo travestimento, traumatizzata e autolesionista (si sfregia da sola), costretta per tutta la vita a negare la propria femminilità in un universo maschile in cui tutti gli uomini che la avvicinano, indipendentemente dalle intenzioni e amici o nemici che siano, finiscono per rivelare un'indole aggressiva e invasiva. L'unica nota di sollievo e unica concessione a un minimo di romanticismo è la pudica e segreta storia d'amore che la protagonista vive con un servo cinese, non a caso l'unico maschio del film non aggressivo (anzi decisamente passivo), mostrato a livello visivo con caratteristiche per l'epoca femminili, come i capelli lunghissimi e un forte senso dell'igiene.<br />
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Anche qui il western lo si prende piuttosto alla lontana, nonostante i costumi e ambientazione siano più canonici. L'unica sparatoria (e unica volta in cui la protagonista reagisce) è spoglia e totalmente priva di qualsiasi catarsi, a conferma del rigore anti-spettacolare persino eccessivo con cui la storia è raccontata.<br />
Un tocco di classe il crudele e morboso finale: la protagonista viene trovata morta e la società misogina che la assediava può entrare nella sua intimità, svelare il suo segreto e disporre del suo corpo. <br />
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Lo stringente realismo della narrazione rende a tratti stridente la scelta come attrice protagonista di Suzy Amis, troppo bella per essere credibile nella parte di una donna che tutti credono un uomo, ma comunque abbastanza brava e intensa per far digerire il più delle volte la forzatura. Ottimo anche il resto del cast.Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1651614241020886458.post-20155820849083512462014-12-17T10:52:00.002+01:002014-12-17T11:20:19.209+01:00Meek's Cutoff<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhrrkzRs10-CU41Yw12iZAljGLwXaQCn0hDihPu_AeVokri_0rykqueA3IrNpeAw_Un4AuWVKWIW6JTl2t57jN4Qm0zKVXQ3HclNe7VXrdXsGCnLdcDHqTvyrf8BOpyVGubiFx1rAM8ke2C/s1600/meeks_cutoff1.jpg" /><br />
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2010 <i><b>MEEK’S CUTOFF </b></i><br />
<i>di Kelly Reichardt, con Michelle Williams, Rod Rondeaux, Bruce Greenwood, Will Patton, Shirley Henderson, Paul Dano, Zoe Kazan, Neal Huff, Tommy Nelson </i><br />
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Il film è ambientato lunga la famosa <i>Oregon Trail</i> e Meek's Cutoff è il nome della scorciatoia attraverso la quale nel 1845 la guida <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Stephen_Meek">Stephen Meek</a> condusse duecento carri e circa mille persone a perdersi nel bel mezzo del deserto dell’Oregon, da cui non tutti riuscirono ad uscire, episodio storico che ha ispirato il film della Reichardt, con la differenza che nel suo film i carri sono solamente tre e gli attori in scena sono nove contati.<br />
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Presentato anche al Festival di Venezia del 2010, è un piccolo western davvero atipico e fuori dagli schemi, diretto verosimilmente con un budget ridotto all’osso e in controtendenza sia rispetto al genere che a tutto il cinema contemporaneo: lentissimo e con pochissimi dialoghi, senza un morto e una singola scena di violenza. Un western esistenzialista e quasi herzoghiano, fatto soprattutto di silenzi e spazi vuoti, senza “paesaggismi” e tramonti alla Malick, ma con la raffigurazione di una natura arida, selvaggia e insensibile. Nonostante non succeda praticamente niente il film riesce a non annoiare e con il suo tono scarno, essenziale e minimalista trasmette un’idea del west più concreata e reale di molte altre viste al cinema. Il finale aperto contiene tutta una metafora sull’esistenza, vista come un lungo sentiero in cui si procede a casaccio senza punti di riferimento sperando di arrivare a qualcosa ma che verosimilmente non conduce verso nulla.<br />
<span style="font-size: x-small;"><i>(Mauro Mihich) </i></span><br />
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<img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFCqyYH_5v5JYQAaIoe3HB5Mb3zdwQQOTM1_uY8GW-1yOoj6X18qfKnzfoN26Un3ENhXDDOA2zo1fKh6j1gVa8xP71daRiqAkY_PY9XA3QYaG0Mc4s5oJ0MRVMk-p4Ha1sIqX32SqgFAjO/s1600/meeks_cutoff2.jpg" /><br />
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Affrontando per la prima volta un film in costume e di genere, per quanto preso molto alla lontana, la regista <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Kelly_Reichardt">Kelly Reichardt</a> non tradisce il suo cinema ultra-indipendente e minimalista. È anzi ad oggi il suo film più riuscito, almeno insieme al bellissimo e toccante (e sempre delittuosamente inedito in Italia) <a href="http://www.imdb.com/title/tt1152850/?ref_=nm_flmg_dr_4"><b>Wendy e Lucy</b></a> del 2008, che vede come protagonista ancora Michelle Williams. Attrice che diventata famosa per la serie <i>"Dawson's Creek"</i> è poi riuscita a costruirsi un'intelligente e ragionata carriera cinematografia, come raramente riescono a fare gli attori diventati noti grazie alla televisione. Per gli standard del cinema indipendente è un film quasi all star, considerato che presenta altre facce molto conosciute, se non proprio famose, come <a href="http://www.imdb.com/name/nm0200452/?ref_=tt_cl_t5">Paul Dano</a>, <a href="http://www.imdb.com/name/nm0339304/?ref_=tt_cl_t2">Bruce Greenwood</a> e <a href="http://www.imdb.com/name/nm0001599/?ref_=tt_cl_t3">Will Patton</a>.<br />
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Ruba la scena a tutti però lo sconosciuto <a href="http://www.imdb.com/name/nm0739998/?ref_=tt_cl_t9">Rod Rondeaux</a>, nella parte di un enigmatico indiano che i pionieri catturano e obbligano a fare da guida. Faccia davvero poco convenzionale, recitazione straniante (del resto Rondeaux è prima di tutto uno stuntman) il suo è uno degli indiani più autenticamente "alieni" mai visti sullo schermo. A differenza dello stereotipo è un gran chiaccherone, ma né i personaggi né gli spettatori possono o riescono a cogliere il senso di quello che dice. Raramente è stata visualizzata con tanta potenza lo sgomento e l'incomunicabilità che i veri pionieri dovevano provare quando incontravano un indiano.<br />
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Il fulcro del film è la contrapposizione tra una donna e un universo maschile, con il personaggio di Michelle Williams che porta nel film un punto di vista femminile positivo, la cui apertura e disponibilità entrano in conflitto con lo sguardo contaminato dalla diffidenza e dal desiderio di possesso degli uomini. Il tutto senza però facili generalizzazioni. Se il polo opposto della protagonista è il cialtrone e violento Meek (e in questo senso ogni tanto il personaggio rischia di trasformarsi in caricatura: l'unico vero limite del film), gli altri uomini della caravona si rivelano molto più ragionevoli e sensibili, a cominciare dal saggio e anziano marito della Williams, mentre chi più alimenta la paranoia e la tensione è proprio una delle altre donne, la più spaventata e fragile. La stessa figura dell'indiano, per quanto positiva, non è quella del banale Buon Selvaggio, ma conserva una dose di inquietante ambiguità.<br />
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Intelligente e in controtendenza anche l'idea di trovare il realismo più attraverso il tono prosciugato della narrazione e delle immagini che non con una certosina ricostruzione storica, anzi costumi e carri sembrano e probabilmente sono semplici costumi e oggetti da parata e sagra di paese. Il che da vita ad un West spogliato da ogni
traccia di colore e mito, ma comunque di grande e rarefatto fascino.<br />
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Minuscolo e prezioso gioiellino cinematografico, forse uno dei più interessanti titoli del decennio in corso anche al di fuori del genere, probabilmente ad oggi il miglior dei per altro rarissimi western diretti da una regista donna. Non a caso, nonostante la distribuzione limitata, sembra essere diventato un piccolo cult movie citato da più parti.<br />
<br />Tommasohttp://www.blogger.com/profile/11719665541628571722noreply@blogger.com0