sabato 7 gennaio 2012

i registi 2 - Nando Cicero

NANDO CICERO
Da Visconti a Vitali, via Almerìa
di Paolo D'Andrea


Che un unico errore, o un’unica scelta sbagliata, siano spesso bastanti per condannare uomini di pregio all’infamia o, come in questo caso, alla damnatio memoriae, ce lo faceva notare già un certo Amleto piú di quattrocento anni fa. Nel caso di Nando Cicero parlare di “errore” è forse eccessivo; in realtà la sua è piú che altro una questione di collegamenti, di etichette. Se nell’immaginario collettivo John Ford è - mi si passino gli esempi - “quello dei western”, George Lucas “quello di Guerre stellari”, Dario Argento “quello dei film di paura”, Cicero è, immancabilmente, “quello della commedia sexy”. Titoli come La soldatessa alla visita militare, La liceale, il diavolo e l’acquasanta, L’assistente sociale tutto pepe e il celebre W la foca, d’altronde, parlano chiaro e hanno finito per precipitare il suo nome nella marea della “bassa manovalanza” del nostro cinema di genere. Ora, non è questo il luogo per valutare se tali pellicole siano effettivamente tutte indifendibili e da buttare, o per disquisire sulla possibilità di rivalutare un filone che per molti anni ha rappresentato, nel bene e nel male, un piccolo ma rilevante fenomeno culturale del nostro Paese: quel che mi preme, occupandosi il blog di cinema western, è ricordare un passaggio, una parte della sua carriera che pochi conoscono e molti hanno dimenticato. È probabile, infatti, che soltanto gli appassionati piú curiosi e pignoli conoscano i tre spaghetti-western che Cicero girò in Almeria tra il 1967 e il 1968: Il tempo degli avvoltoi, Professionisti per un massacro e Due volte Giuda. Senza tanti giri di parole, tre titoli fra i piú interessanti dell’intero genere. Innanzitutto perché il nostro è stato uno dei pochissimi, nell’immenso calderone dello spaghetti, a seguire un percorso coerente e personale. Pur nella diversità dei singoli episodi, infatti, il trittico conserva un’impostazione, un mood comune: un West in bilico fra reminiscenze tragiche e suggestioni psicanalitiche, una particolarissima ironia macabra ed irriverente, un sadismo insistito che sottende un lugubre pessimismo di fondo. Tre film atipici e sopra le righe, insomma, che meritano un’analisi seria ed esente da pregiudizi. Nella speranza che, d’ora in poi, dal suo nome venga tolta, se non altro, un po’ di polvere. I maligni direbbero di cipria.

***

Da Visconti a Vitali: dalle stelle alle stalle, verrebbe da sentenziare. Eppure è stata proprio questa, in estrema sintesi, la carriera di Nando Cicero, che cominciò con Le notti bianche (1957, aiuto-regista) e finì con Paulo Roberto Cotechiño centravanti di sfondamento (1983). Nel mezzo, le assolate lande dell’Almerìa.

1967 IL TEMPO DEGLI AVVOLTOI 
di Nando Cicero. Con George Hilton, Frank Wolff, Pamela Tudor, Eduardo Fajardo, Cristina Josani.


Primo western di Cicero e, per chi scrive, il suo capolavoro. Tetro, violentissimo (all’epoca venne vietato ai minori di diciotto anni), caratterizzato da un’insolita attenzione per la dimensione della sessualità e delle pulsioni inconscie, vista come motore quasi esclusivo delle azioni dei personaggi. Spaghetti freudiano se mai ce n’è stato uno. Efficacissime le caratterizzazioni: Hilton cow-boy godereccio e ambiguo (si spupazza la moglie del soprastante e poi quasi ci gode ad esser frustato dallo stesso), Wolff killer da fumetto, nerovestito come il suo cavallo, epilettico e misogino. Il tutto immerso in un West crudele e allucinato, rappresentato senza disdegnare iniezioni di humour - nerissimo, neanche a dirlo. Che il gioco all’eccesso, poi, non sia fine a sé stesso lo dimostra il finale, amaro e senza sconti. Film da mettere tra i fondamentali del western nostrano.

1967 PROFESSIONISTI PER UN MASSACRO 
di Nando Cicero. Con George Hilton, George Martin, Edd Byrnes, José Bódalo, Mónica Randall.


Il piú cinico e pulp dei western ciceriani. Di un’efferatezza talmente esagerata da sconfinare nello slapstick e, a quanto pare, costare al regista un processo per istigazione alla violenza. Ma il film è un autentico collage di situazioni improbabili, personaggi amorali al limite della caricatura, donne mostruose, passaggi deliranti (addirittura uno dei protagonisti parla coi cavalli). L’operazione in alcuni punti mostra la corda, ma appare consapevole e non priva di un certo compiacimento nel premere i pedali dell’assurdo e del paradossale. Quel che rimane allo spettatore è soprattutto un gran divertimento, ma con un retrogusto sinistro, quasi inquietante. La regia di Cicero, al solito, è sicura e spedita.

1968 DUE VOLTE GIUDA
di Nando Cicero. Con Antonio Sabàto, Klaus Kinski, Pepe Calvo, Franco Leo, Cristina Galbo.


Dei tre, il film piú controllato ed elegante. Meno morboso del primo, meno scatenato ed esplosivo del secondo; piú triste di entrambi. Personaggi in chiaroscuro, impossibili da collocare in una distinzione fra buoni e cattivi, tutti figli di un passato che nonostante i tentativi di rimozione è destinato a presentare il suo conto di morte e desolazione. La sceneggiatura è ammirevole per come sa mantenere nascoste fino alla fine le motivazioni che li muovono. Fra chiari rimandi alla tragedia greca e trasgressioni stilistiche (il duello finale vìola la regola classica dell’orizzontalità, come già Corbucci in Django), Cicero firma il suo western piú adulto e impegnativo, di grande eleganza visiva e alto spessore drammatico. Peccato per l’inespressivo Sabàto, letteralmente divorato dal mostro sacro Kinski.

***

Quando si parla di vita e opere si finisce inevitabilmente per parlare anche di morte. Cicero incontrò la sua nel luglio del 1995, poco meno che dimenticato. Una sorte che condivide con molti degli uomini di cinema di cui parleremo di qui in avanti.

1 commento:

  1. Mia rece di "Professionisti per un massacro" (peraltro l'unico western di Cicero che ho visto):

    "Secondo dei tre spaghetti diretti da Nando Cicero (gli altri due sono Il tempo degli avvoltoi e Due volte Giuda), regista di western iperviolenti che, negli anni settanta, passerà alle commedie sexy con Edwige Fenech.
    Completamente folle e sgangherato, con Cicero che spinge fino in fondo sul pedale delle scene forti (pare che il film gli sia valso un processo per istigazione alla violenza), talmente esagerate da sconfinare nello slapstick o nel cartone animato e da fare più ridere che altro.
    La cosa migliore del film è l’incredibile banda messicana dei carniceros, comandati a bacchetta da una vecchia matrona e che si dedicano a passatempi assurdi tipo mettere uno di loro dentro a una giara e poi fare il tiro a segno quando il tipo tira fuori la testa.
    Molto “fumettistiche” anche le varie trovate del film, una più assurda dell’altra (una bara con dentro un cadavere viene calata non si sa come con una carrucola al centro della piazza del paese, i tre protagonisti accerchiati dal fuoco nemico svuotano le loro pallottole dalla polvere per costruire delle bombe a mano che fanno strage di nemici, insomma roba così).
    Il bello è che il regista ha un certo mestiere e il film, nonostante la confusione narrativa e le varie cadute di tono, alla fine bene o male regge, grazie alle sequenze d’azione e al suo essere volutamente (almeno si spera) paradossale e sopra le righe.
    Non molto ben assortiti i tre protagonisti: George Hilton, nel ruolo di Frank lo Spretato, al solito è il migliore e si trova molto bene con il ritmo scanzonato del film, però George Martin che parla ai cavalli è assolutamente delirante e Edd Byrnes ingessatissimo.
    Girato in Spagna nel famoso villaggio bianco calcinato dal sole di Los Albaricoques, già set di Per qualche dollaro in più e di molti altri spaghetti western."

    RispondiElimina