venerdì 19 ottobre 2012

i film 50 - Tempo di terrore / Tempo di uccidere


1967 Tempo di terrore o Tempo di uccidere (Welcome to Hard Times)
di Burt Kennedy con Henry Fonda, Janice Rule, Aldo Ray, Janis Pai, Keenan Wynn, John Anderson, Warren Oates, Denver Pyle, Lon Chaney Jr, Elisha Cook Jr., Edgar Buchanan, Royal Dano.

Ci siamo già imbattuti altre volte in Burt Kennedy. Grandissimo sceneggiatore di western aspri e affascinanti negli anni 50, tra cui cinque celebri titoli diretti da Budd Boetticher e un paio di non meno preziosi gioielli diretti da Gordon Douglas (L'urlo dei comanches e La guida indiana). Nel 1961 esordisce alla regia con I canadesi, bel racconto di foreste nordiche e giubbe rosse con cui sembra voler continuare il discorso fatto con Boetticher e Douglas.
Invece, incredibile a dirsi, Kennedy detestava i western che sceneggiava. Odiava la violenza e amava l'ironia, per cui per tutti gli anni 60 e 70 si specializzerà come regista in commedie western, dove a farla da padrona sarà la farsa più bonacciona e innocua. Parliamo di titoli non certo memorabili quali Il dito più veloce del West, L'infallibile pistolero strabico, Dingus: quello sporco individuo e Quel maledetto colpo al Rio Grande Express (l'ultimo suo western per il grande schermo e il migliore della serie, anche perché il meno umoristico). Film che a onor del vero in America riscuotevano anche un lusinghiero successo.
A nostro parere un enorme spreco di talento, perché le volte che invece faceva sul serio Kennedy ha dimostrato spesso di essere un regista non banale e parecchio originale, con film come La Texana e i fratelli Penitenza (a dispetto del cretinissimo titolo italiano un western serissimo), il notevole euro-western La spina dorsale del diavolo e una buona imitazione dei western urbani di Hawks come Appuntamento per una vendetta.

Ma il suo film più originale è senz'altro questo misconosciuto e dimenticato film del 1967 "Tempo di uccidere" (o "Tempo di terrore"). Film ambiguo fin dal titolo originale "Welcome to Hard Times" dove al significato letterale se ne aggiunge uno più specifico, dato che Hard Times è anche il nome del desolato paesino in cui si svolge tutto il film.
Il carattere inclassificabile della pellicola è ben evidenziato dai più disparati titoli che il film collezionerà in giro per il mondo: in Gran Bretagna è "Killer on a Horse" (titolo che riprende una delle scene più crude del film), in Francia è "Frontiere in fiamme" (Frontière en flammes), nei paesi di lingua tedesca è "L'incendiario dell'Arkansas" (Mordbrenner von Arkansas), per i finlandesi è "Lo straniero sta arrivando" (Muukalainen lähestyy), in Brasile diventa "L'uomo con la morte negli occhi" (O Homem Com a Morte nos Olhos), in Spagna "Una pallottola per il diavolo" (Una bala para el diablo).


In un minuscolo paese giunge un giorno uno straniero (Aldo Ray) che si rivela essere una vera furia della natura. Senza dire una parola, ridendo soltanto, l'uomo violenta, uccide, appicca un incendio che distrugge mezzo paese e se ne va. Il paesino semidistrutto viene abbandonato da tutti, tranne che dal sindaco (Henry Fonda), una prostituta violentata dallo straniero, il figlio dell'unico uomo del paese che aveva provato a reagire e un misteriso stregone indiano che fa le veci del dottore. Il paese si ripopola con l'arrivavo di un avido pappone e le sue quattro prostitute, il fratello gemello di uno dei vecchi abitanti e un becchino pistolero (Warren Oates). Ma passato l'inverno lo straniero ritorna...


Tratto da un romanzo di E.L. Doctorow è il western più ambizioso di Kennedy, dove riesce a fondere un suo personale discorso sulla violenza con quei suoi soliti ritratti di gente stravagante, la cui umanità nelle sue commedie veniva soffocata però dalla esigenze ridanciane. Pur mettendo in scena un west fangoso e disadorno, non è un film realistico. In tutta la pellicola si respira un'atmosfera strana e irreale, satura di presagi misteriosi. È un western unico nel suo genere, non più classico, non ancora crepuscolare, ma men che mai è influenzato dall'allora imperante western all'italiana. Le sequenze violente anticipano forse le sequenze più allucinate dei western di Clint Eastwood, mentre le parti più da commedia, con i continui e inaspettati scarti tra dramma e ironia, fanno pensare al Peckinpah de La ballata di Cable Houge, ma con un sottofondo molto più inquietante.


I primi venti minuti, con lo straniero che porta morte e distruzione nel paese in maniera imprevedibile e bestiale, culminanti con la visione infernale dell'incendio, sono un grandissimo pezzo di cinema. Poi il film diventa una stralunata commedia umana, popolata da personaggi dalle evidenti valenze metaforiche, ma che non diventano mai dei rigidi simboli, grazie alla salutare ambiguità delle caratterizzazioni e all'imprevedibilità della vicenda.
Tutto sembra costruito per arrivare al riscatto conclusivo della meschina umanità messa in scena, invece il finale è quanto di più spiazzante si possa immaginare, con la violenza che si rivela incontrollabile e i cui effetti saranno ancora più amari e devastanti della prima volta.


Memorabile l'inquietante straniero senza nome interpretato da un sanguigno Aldo Ray, che porta la rovina in autunno e riappare in primavera, quasi diventando l'incarnazione delle angosce della piccola comunità, che si sta sfaldando dopo non essere riuscita realmente a solidarizzare durante l'inverno (bellissima la sequenza della festa di Natale, in cui dopo un attimo di trovato senso di comunità tutti finiscono per passare la notte da soli). Lo straniero appare quindi come una sorta di punizione biblica. Inoltre la figura dell'energumeno feroce che senza motivo porta distruzione nei paesini isolati era un personaggio tipico del folklore americano ottocentesco. 

Decisamente unico nel genere è anche il protagonista interpretato da un fragile Henry Fonda, un avvocato e sindaco dal nome emblematico: Blue. Un idealista tormentato e vigliacco, che pur in buona fede sbaglierà tutto fino alla fine, non solo incapace di proteggere e salvare chi gli sta a cuore, ma anzi artefice della tragedia finale.


Il film è popolato da tutta una serie di personaggi interpretati da un'eccezionale parata di alcuni dei più noti caratteristi americani di quegli anni. I nomi si possono leggere in cima a questo articolo e nella maggior parte dei casi diranno molto poco, ma le facce sono quelle famigliari a tutti gli appassionati di cinema americano. 

L'unica nota negativa riguarda l'irritante e troppo convenzionale colonna sonora di Harry Sukman, che nei momenti di relativa calma sembra voler far passare il film per la solita gioviale commedia western di Kennedy. Fortunatamente più efficace (o non presente) nei momenti di tensione.

news - C'era una volta in America di nuovo in sala



Non è un film western, C’era una volta in America, ma la notizia che il capolavoro di Sergio Leone tornerà al cinema – nei circuiti delle multisale – per questo weekend (dal 18 al 21 ottobre) non può essere passata sotto silenzio da noi di Se Sei Vivo Spara, che consideriamo Leone il più grande regista di western di ogni tempo (insieme a Ford, Hawks, Peckinpah...).
A ventotto anni dalla sua uscita il capo d’opera leoniano torna quindi in sala, nella nuova versione restaurata presentata all’ultimo Festival di Cannes, che aggiunge alle tre ore e venti di durata originarie altri 26 minuti e sei scene completamente inedite e opportunamente sottotitolate e, soprattutto, che ripristina il doppiaggio originale in luogo di quello offensivo approntato per l’uscita del film in dvd.
C'era una volta in America è il testamento artistico di Leone, oltre che il suo lavoro più intimo e sentito, una vera e propria ossessione a cui il regista si dedicò per quasi quindici anni fino a realizzare la sua personale Recherche. Vederlo nel buio della sala cinematografica sarà come trovarsi al cospetto di qualcosa di sacro.

venerdì 12 ottobre 2012

news - Almeria Western Film Festival 2012


Si svolgerà dall’11 al 13 ottobre 2012 nel suggestivo scenario di Tabernas in Spagna la seconda edizione dell'Almería Western Film Festival, il primo festival cinematografico europeo dedicato esclusivamente al genere, che nelle intenzioni degli organizzatori si pone come ideale punto d’incontro per il cinema western di tutto il mondo.

Oltre a omaggi e retrospettive, il piatto forte del festival sarà anche quest'anno il concorso ufficiale, in cui gareggeranno nove western prodotti nell'ultimo anno.

Questa la selezione ufficiale:


GOODNIGHT FOR JUSTICE: THE MEASURE OF A MAN
(2011) USA
Duration: 88 min
DirectorKristoffer Tabori
Principal Actors: Luke Perry, Cameron Bright and Teach Grant
Writers: Neal H. Dobrofsky Tippi Dobrofsky Luke Perry
Executive Producers: John Morayniss Luke Perry Ira Pincus
Producer: Luke Perry Ira Pincus
Director of Photography: ---
Music: Garry M.B. Smith
Company: Hallmark Channel
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GOOD FOR NOTHING
(2011) NEW ZEALAND
Duration: 92 min
Director: Mike Wallis
Principal Actors: Cohen Holloway, Inge Rademeyer y Jon Pheloung
Writers: Mike Wallis
Executive Producers: Jamie Selkirk
Producer: Inge Rademeyer Mike Wallis
Director of Photography: Mathew Knight
Music: John Psathas
Company: -----
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LA NOSTRA RECENSIONE


HEATHENS AND THIEVES
(2011) USA
Duration: 88 min
Director: Megan Peterson, John Douglas Sinclair
Principal Actors: Andrew Simpson, Gwendoline Yeo y Don Swayze
Writers: John Douglas Sinclair
Executive Producers: Marc McCrudden Steve Riley
Producer: Peter H. Scott
Director of Photography: Pyongson Yim
Music: Sean R. Ferguson
Company: -----
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ORSON WEST
(2012) ESPAÑA
Duration: 87 min
Director: Fran Ruvira
Principal Actors: Sonia Almarcha, Frank Feys, Jorge Yamam, Montserrat Carulla
Writers: Fran Ruvira
Executive Producers: Mariví de Villanueva
Producer: Xavier Crespo Juan Carlos Claver
Director of Photography: Carles Gusi
Music: Marc Vaíllo
Company: Canonigo Films Dacsa Produccions
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THE LEGEND OF HELL´S GATE
(2011) USA
Duration: 88 min
Director: Tanner Beard
Principal Actors: Eric Balfour, Lou Taylor Pucci y Henry Thomas
Writer: Tanner Beard
Executive Producers: -----
Producer: Jay Michaelson Suzanne Weinert
Director of Photography: Nathanael Vorce
Music: Lexie Beard
Company: -----
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A LEGEND OF WHITEY
(2011) CANADA
Duration: 85 min
Director: Dave Lawrence
Principal Actors: Shauna Baker, Julian Black Antelope y Jonathan Brewer
Writers: David Lawrence Paul Spence
Executive Producers: -----
Producer: Bruce Harvey David Lawrence
Director of Photography: Christophe Collette Carlos Sanchez Jason Sanchez
Music: Stuart MacQuarrie Roy Vuccino
Company: Stone Soup Productions
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SAL
(2011) CHILE
Duration: 114 min
Director: Diego Rougier
Principal Actors: Fele Martínez, Gonzalo Valenzuela y Javiera Contador
Writer: Diego Rougier
Executive Producers: Javiera Contador Diego Rougier Adrián Solar
Producer: Luigi Araneda
Director of Photography: David Bravo
Music: -----
Company: Picardia Films
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PÓLVORA NEGRA
(2011) BRASIL
Duration: 87 min
Director: Kapel Furman
Principal Actors: Nicolas Trevijano
Writers: Kapel Furman
Executive Producers: Kapel Furman
Producer: Kapel Furman
Director of Photography: Andre Sigwalt
Music: Alan Feres, Loud
Company: -----
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YELLOW ROCK
(2011) USA
Duration: 90 min
Director: Nick Vallelonga
Principal Actors: Michael Biehn, James Russo and Lenore Andriel
Writers: Lenore Andriel Steve Doucette
Executive Producers: Steve Doucette
Producer: Lenore Andriel Nick Vallelonga
Director of Photography: Matt Garrett
Music: Randy Miller
Company: Black Elk Mountan Prods LLC
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giovedì 11 ottobre 2012

prossimamente - The Brigands of Rattleborge (2013)



A questo punto pare confermato: dopo l'esordio in lingua inglese col thriller Stoker, Park Chan-wook dirigerà un western. Una notizia che non può che far esultare gli appassionati del genere, visto che - piaccia o non piaccia il suo cinema - il coreano è regista fra i più talentuosi ed originali sulla piazza.
Sarà un western "classico", dunque ambientato in America e con cast statunitense; credo sia in assoluto il primo diretto in terra yankee da un orientale.
Lo script, opera di S. Craig Zahler, risale al 2006 e pare abbia faticato tanto a trovare finanziamenti per un tasso di violenza decisamente fuori dalla norma. Visto che lo stesso Park non è certo uno che lesina in quanto a efferatezze, tutto fa pensare - compresa la produzione indipendente - che ci troveremo di fronte un filmone duro e senza sconti.
Noi ci stiamo già sfregando le mani...


prossimamente - The Lone Ranger (2013)


 

Giusto ieri, nei commenti all'anteprima di un piccolo e forse interessante film indipendente, ci si lamentava dello scarso se non nullo interesse dei pezzi grossi del cinema verso il genere western.
Quasi a smentirci, ecco qua il primo trailer di The Lone Ranger, il nuovo kolossal diretto da Gore Verbinski, interpretato da Johnny Depp e prodotto dalla (uhm) Disney e (coff coff) Jerry Bruckheimer, ovvero la squadra de "I pirati dei Caraibi", che nello scorso decennio ha trasformato il genere piratesco - un filone che era ancora più cadavere del western - in una miniera d'oro. Riusciranno i Nostri a fare la stessa cosa col western?




Qualche commento a caldo. Trailer poco significativo e poco entusiasmante. In primo luogo sembra tirare più un'aria steampunk che da vero e proprio western, il che finora al cinema è sempre stato sinonimo di boiatone col botto (vedi alle voci Jonah Hex e Wild Wild West). Però con i suoi film di pirati Verbinski ha dimostrato di essere un abile, per quanto non raffinatissimo, evocatore di atmosfere avventurose, inoltre ha diretto Rango, notevole film d'animazione dove ha dimostrato di amare il western e di saper dire qualcosa di non banale sul genere. Certo, vedere sbandierato così il nome del vate dell'action più noioso e cazzone Jerry Bruckhneimer preoccupa sempre, e quel paio di scene al rallentatore e la canzonaccia ruock non fanno ben sperare. Ma c'è da dire che sembra essere un trailer molto reticente, dove ad esempio non è presente alcun elemento ironico, assenza improbabile in un film degli autori de "I pirati dei Caraibi".
Da quel poco che si vede Johnny Depp sembra aver trasformato Tonto in un freak buffamente ieratico, quindi in netta contrapposizione col suo esagitato Jack Sparrow (che, piaccia o meno, è una delle massime icone avventurose degli ultimi anni). Già dalla locandina è evidente che si punta più sul suo personaggio che su quello sembrerebbe più stereotipato del Lone Ranger, interpretato dall'anonimo Armie Hammer. Speriamo almeno ci vengano risparmiate "le origini dell'Eroe", piaga che affligge tutti film che vedono protagonista un tizio mascherato.

mercoledì 10 ottobre 2012

il film 49 - Gunfighter's Moon



1995 GUNFIGHTER'S MOON
di Larry Ferguson con Lance Henriksen, Kay Lenz, Linda Yarnell, Jordan Yarnell, Nikki Deloach, Ivan Sergei, James Victor

Certi film esistono solo perché esistono certe facce. È sicuramente il caso di questa pellicola degli anni 90, tutta costruita attorno al faccione torvo e magnificamente logoro di Lance Henriksen, ai tempi sulla cresta dell'onda come protagonista della serie thriller “Millennium”.


Strana faccia quella di Henriksen, specchio perfetto della sua vita, che - usando una frase fatta - sembra un film. Nato in una poverissima famiglia di New York nel 1940, passa una giovinezza da teppista, tra strada e riformatorio. Negli anni 60 fa una vita da vero hobo, viaggiando clandestinamente sui treni. Semianalfabeta, scopre di avere un certo talento per la pittura e guadagna qualche soldo dipingendo scenografie per i teatri. Ottenuta qualche particina impara a leggere studiando i copioni. Entrato in contatto con ambienti più intellettuali fa amicizia con James Cameron e ottiene le prime particine. Il suo film d'esordio è non a caso proprio un film sugli hobo, il duro e magnifico "L'imperatore del Nord" di Robert Aldrich.
Dopo aver legato negli anni 70 soprattutto con Sidney Lumet, con cui gira tre film, Henriksen negli 80 si afferma come caratterista grazie all'amico Cameron, comparendo in tutti i suoi primi film, "Piranha paura", "Terminator" e soprattutto "Aliens - Scontro finale" dove diventa famoso nel ruolo dell'androide Bishop. È l'allora moglie di Cameron, Kathryn Bigelow, che gli offre il primo ruolo da quasi protagonista, quello dell'inquietante capofamiglia vampiro del notevole "Il buio si avvicina".

Fosse nato quindici o venti anni prima è probabile che la sua faccia sghemba e un po' stralunata sarebbe stata ben utilizzata nel cinema western. Invece nella nostra epoca arriva al genere solo nel 1995, dove però gira ben tre film, i ben noti Dead Man e Pronti a morire e questo Gunfighter's Moon (poi distribuito poco e male nel 1997). In seguito tornerà al genere con una particina della miniserie televisiva Into the West, del 2005, Appaloosa di Ed Harris e del poco consigliabile La febbre della prateria (Prairie Fever), entrambi del 2008.


Ci siamo dilungati sull'intrigante figura dell'attore protagonista perché, prevedibilmente, non c'è molto da dire su questo b-movie, dalla trama troppo elementare e i personaggi stereotipati, per quanto per nulla sgradevole. La confezione è povera ma dignitosa, a parte una mediocre e spesso per nulla adeguata colonna sonora. 

Henriksen è Frank Morgan, pistolero stanco e un po' andato di testa, che risponde alla richiesta d'aiuto di una vecchia amante. Scoprirà di avere una figlia adolescente e di dover difendere il marito della donna, neo-sceriffo di un paesetto in cui stanno per arrivare tre spietati fuorilegge che vogliono liberare un loro compare detenuto in attesa di impiccagione.


Il film ha un inizio promettente, con Morgan quasi pazzo che uccide in una posada un pistolero che lo ha sfidato in un'atmosfera allucinata. Peccato che poi la storia si sposti subito in un tipico e bucolico paesino americano, con i vecchietti sulle sedie a dondolo, ragazzine con le trecce e gioviali feste campestri.
Un'ambientazione quindi dalle atmosfere edulcorate e posticce tipiche di prodotti come "La signora del west". Di conseguenza il film funziona solo nelle parti che vedono in scena Henriksen, la cui figura tenebrosa fa da contrasto con l'ambiente lindo e ipocrita del paesino americano. Vestito di nero, voce d'oltretomba, accompagnato da un cane dagli occhi di ghiaccio, Morgan solidarizza solo con un bistrattato uomo delle pulizie messicano e getta nel panico la comunità quando rapisce la figlia per farci quattro chiacchiere.


Poche, purtroppo, ma notevoli le scene veloci e brutali dei duelli. Oltre a quello d'apertura nella posada assistiamo ad un bello scontro notturno sotto la pioggia, con la fiamma della pistola che incendia i pantaloni del protagonista, e a quello finale, in cui Morgan uccide a sangue freddo l'ultimo degli avversari rimasti in vita, nonostante questi stia implorando di essere risparmiato.
Un vero peccato che queste sequenze non abbiano fatto parte di una storia più interessante.

prossimamente - Dead Man's Burden



Nuovo western indipendente in arrivo dagli Stati Uniti, girato nel deserto del New Mexico e scritto e diretto dall’esordiente Jared Moshe. Per fortuna senza sfumature horror, come ultimamente pare andare di moda.

Questa è la sinossi ufficiale:
Siamo nel 1870, e un’America frammentata tenta di mettere assieme i propri pezzi dopo la Guerra Civile. Martha (Clare Bowen) e suo marito Heck (David Call) vivono in una fattoria che il padre di Martha ha acquistato nella frontiera rurale del New Mexico, e faticano a tirare avanti. Quando una compagnia mineraria si dice interessata a comprare la loro terra, Martha e Heck possono sperare in una vita migliore. Ma i loro piani speranzosi vengono presto complicati quando il fratello maggiore di Martha, Wade (Barlow Jacobs) - che lei pensava fosse morto durante la guerra -, torna a casa dopo aver appreso della morte del padre. Fuggito dall’Esercito dell’Unione, Wade scopre che Martha ha qualche segreto nell’armadio. Quando i due fratelli si riavvicinano, sospesi tra il desiderio di riconciliarsi con l’unica famiglia che hanno e le loro convinzioni contrastanti, la tensione e i sospetti iniziano ad aumentare…


domenica 7 ottobre 2012

i film 48 - Pronti a morire


1995 PRONTI A MORIRE (The Quick and the Dead)
di Sam Raimi. Con Gene Hackman, Sharon Stone, Russell Crowe, Leonardo DiCaprio, Gary Sinise, Tobin Bell, Roberts Blossom, Kevin Conway, Keith David, Lance Henriksen, Pat Hingle, Woody Strode


Diciamo che all'epoca fu una delusione piuttosto clamorosa. Le attese erano alte. Intrigavano il titolo originale, un'idea di base sulla carta parecchio divertente, un cast da grandi occasioni e soprattutto intrigava il nome di Sam Raimi alle perse con il western. A ripensarci oggi suona strano, ma all'epoca Raimi era considerato da molti "il" piccolo genio del cinema di genere indipendente americano, affine e complementare ai suoi amici fratelli Coen (assistenti di scena del primo "Evil Dead / La casa"). Al di là di come si possono giudicare i film di Raimi da "The Gift" in poi, è evidente che il suo nome è ormai associato a tutt'altro tipo di cinema e a tutt'altro pubblico. 

Ma all'epoca intrigava ancora leggere Raimi che nelle interviste dichiarava il suo amore per il western e diceva di volersi rifare a film come "Django" e "Per un pugno di dollari". Visto che solo un paio d'anni prima aveva diretto lo spassosissimo "L'esercito delle tenebre", demenziale e amorevole omaggio al cinema fantastico di serie B, in molti si aspettavano il corrispettivo western di un film come quello, quindi uno spettacolo altrettanto cinetico, ironico e travolgente. Invece al cinema ci si trovò di fronte ad un film né carne né pesce, anche ben fatto, ma con troppi dialoghi, troppi indugi narrativi, troppi attori che non sembravano avere le facce giuste al posto giusto e - a dirla tutta - troppi pochi morti ammazzati. Almeno relativamente a quelli che uno può attendersi se si citano Leone e Corbucci come modelli. Aveva anche il difetto di molti western girati nei 90, quello di voler delineare troppi personaggi e seguire troppe linee narrative. Insomma non un brutto film, ma aveva tutta l'aria di una grande occasione sprecata.


Il tempo è al solito galantuomo. Rivedendo "Pronti a morire" a distanza di anni quei non lievi difetti restano, ma forse pesano meno di quel che sembrava allora. Cambia molto innanzitutto poterlo vedere senza il criminale doppiaggio italiano che, tra le tante cose che rovinava, banalizzava ulteriormente la già problematica interpretazione di Sharon Stone. 

Il personaggio della Stone era e resta il difetto numero uno del film. In alcuni momenti involontariamente ridicola, come nelle entrate in scena stile versione femminile del pistolero senza nome di Clint Eastwood: all'inizio quando arriva in paese con lo sguardo torvo e il cigarillo tra i denti o nel finale quando, tra il fumo delle esplosioni, più che andare a sostenere un duello sembra piuttosto che stia facendo una sfilata di moda. D'altra parte è il difetto di moltissimi film americani, soprattutto degli anni 90, cuciti addosso al divo di turno che spesso era anche il produttore del film, come appunto accade in questo caso. Sintomatica l'inutile scena di sesso tra la Stone e Russel Crowe (mentre un'altra con Di Caprio pare si stata tagliata per volere dell'attrice), ma allora irrinunciabile in film con protagonista l'attrice diventata famosa per i torridi amplessi di "Basic Istinct".

Guardando il film con maggior distacco si nota però anche che la Stone se la cava egregiamente nelle scene dove non deve far finta di fare la dura e può apparire più femminile, come nella bella sequenza della cena con Hackman. Inoltre per buona parte del film il suo personaggio resta in attesa, per cui in fondo non influisce così tanto nell'economia della narrazione.


Da rivalutare senza tante riserve invece il resto del cast. Il solito titanico Hackman da vita ad un grande e odiosissimo cattivo che tiene fede al proprio nome: Herod. Ottimo (non doppiato) l'allora ancora sconosciuto e ancora magro Russel Crowe, alle prese con il personaggio più interessante, un letale pistolero diventato prete che forse poteva essere il vero protagonista. Anche l'allora astro nascente Di Caprio ha gioco facile nella parte stereotipata del pistolero ragazzino. 

 Ma il pezzo forte del film è la gran folla di caratteristi che popola il film, un epica sfilata lombrosiana di ceffi e di facce più o meno note viste in centinaia di film e telefilm. Dai più conosciuti Lance Henriksen, Woody Strode e Gary Sinise a tipici attori dalla serie "se non conosci il nome, conosci la faccia": Pat Hingle, Roberts Blossom, Keith David, Tobin Bell.


La pellicola in sé resta tutto sommato un bel giocattolone con le pile scariche, troppo superficiale per essere preso sul serio e allo stesso tempo troppo ambizioso per diventare puro intrattenimento. Ma il tempo gli ha conferito il fascino strano di un film tutto sommato unico nel suo genere, autenticamente strambo e originale. È anche il tentativo fallito, ma generoso di riportare e ringiovanire l'estetica di un cinema già allora completamente scomparso da almeno vent'anni. Anche se poi a conti fatti è più un tipico western postmoderno, i cui debiti verso gli "spaghetti" si fermano ad una serie di numerose, ma in fondo effimere, citazioni. Fin dai nomi dei personaggi e della città (Redemption) è ricca di simbolismi religiosi e l'atmosfera è quella di un certo immaginario assolutamente americano, intriso di riferimenti biblici di stampo protestante. 


Che Raimi non avrebbe per nulla preso sul serio il retroterra religioso del film era scontato, ma avrebbe dovuto fare la stessa cosa anche con le lambiccate pretese della sceneggiatura di dare profondità ai personaggi e buttarla tutta sul divertimento più cialtrone. Invece la sua regia allora sorprese per come sembrava misurata ed elegante, forse imbrigliata. Il suo estro si scatena solo nelle folli scene dei duelli, tutti coreografati con uno stile e idee sempre diversi ed ingegnosi, anche se a volte fin troppo sopra le righe, come per l' inappropriata capriola finale di Hackman. 

La confezione è di lusso, con le bellissime scenografie, una gran fotografia di Dante Spinotti, bei costumi (a parte quelli "griffati" della Stone), ma anche una magagna imperdonabile per un western che si vuole rifare alla estetica “spaghetti”: una mediocre e incolore colonna sonora.
E forse il problema di base del film è proprio la confezione fin troppo lussuosa e ricca. Probabilmente un budget più contenuto e un cast meno ingombrante (proprio come nelle precedenti pellicole horror-fantasy di Raimi) avrebbero dato al tutto un’aria più genuina e ruspante, più in linea con la liberatoria trasandatezza del cinema che si voleva omaggiare.

venerdì 5 ottobre 2012

i film 47 - Manto Nero


1991 MANTO NERO (Black Robe)
di Bruce Beresford con Lothaire Bluteau, Aden Young, Sandrine Holt, August Schellenberg, Tantoo Cardinal, Billy Two Rivers, Lawrence Bayne 

Riprendiamo la retrospettiva dei western usciti negli anni 90 con questo strano e dimenticato oggetto cinematografico del 1991. Insieme a L’ultimo dei mohicani di Mann, dell’anno dopo, si tratta curiosamente dell’unico serio sforzo produttivo fatto per mettersi sulla scia dell’immane successo ottenuto l’anno precedente da Balla coi Lupi di Kevin Costner. Ci sono anche qui i paesaggi letteralmente mozzafiato, gli indiani che parlano nella loro lingua con i sottotitoli, il protagonista che si ritrova sperduto in un territorio ostile e selvaggio. Manca totalmente invece la furbizia del film di Costner, il suo dosaggio di azione, epica, ironia e sentimenti. Non stupisce davvero che all'epoca "Manto Nero" fu un sonoro flop e poi sia stato praticamente dimenticato, perché è un film pessimista, triste, severo, senza catarsi, più dalle parti di certo cinema d’autore europeo che non di quello spettacolare americano. E infatti è una produzione soprattutto canadese e australiana.

Anche chi scrive, che all'epoca era un adolescente che cercava di andare al cinema a vedere qualsiasi cosa odorasse di western, si tenne ben lontano da un film che, nonostante gli indiani, si presentava con un trailer che parlava della crisi spirituale di un prete durante un viaggio. Visto a distanza di vent’anni si rivela un film affascinante e interessante, povero d’azione (meglio avvertire che la prima freccia impiantata in una gola arriva dopo un’ora esatta di film), ma piuttosto crudo e davvero poco compiacente.


Tratto dall'omonimo romanzo di Brian Moore e sceneggiato dall'autore stesso, non si tratta ovviamente di un western canonico. È un dramma avventuroso e seicentesco, la storia di un prete gesuita e di un giovane francese innamorato di una ragazza indiana che per raggiungere una sperduta missione nel Quebec si aggregano ad una piccola tribù di algonchini. Sarà un viaggio da incubo, disseminato di disagi, premonizioni di morte e personaggi inquietanti, tra cui un notevole stregone nano che sembra uscito da un film di Herzog. Se non c’è molta azione, non mancano certo la violenza e i dettagli crudeli. Anzi c’è solo l’imbarazzo della scelta, tra dita della mano segate in primo piano con una conchiglia, cadaveri di neonati, donne ammazzate, bambini a cui viene tagliata la gola e scene di sesso piuttosto esplicite.


Anche ad un livello più teorico ci sono molte cose che non ti aspetti da una produzione milionaria: benché visti con simpatia e umanità gli indiani sono descritti anche nei loro lati più intolleranti e barbari, la fede cristiana è messa sullo stesso piano delle superstizioni indiane e vien reso con grande efficacia il classico contrasto tra la sfolgorante bellezza della natura e la sua indifferente crudeltà. Insomma concetti poco adatti per richiamare al cinema il pubblico che aveva decretato l’enorme successo del film precedente del regista, il lezioso e paraculo "A spasso con Daisy". E infatti per quanto accademica, stavolta la regia di Beresford è lontanissima dal suo solito stile patinato, che era riuscito a rendere quasi affettato anche un film sulla rivoluzione messicana. Questo anche grazie ad una confezione di gran lusso, ma misurata, con ad esempio le belle musiche della colonna sonora che si fanno sentire solo quando servono, evitando di essere un tappeto sonoro costante come in molti film di questo tipo.


Il protagonista è quanto di meno carismatico si possa immaginare. Un giovane aristocratico diventato prete più per reprimere la sua latente omosessualità che non per fede, un personaggio disorientato e impotente, con la faccia malinconica e francescana dell'attore francese Lothaire Blueteau. Un personaggio tormentato con cui è davvero difficile entrare in sintonia. Più simpatica la coppia formata dal giovane compagno di viaggio - di cui il prete è forse segretamente innamorato - e la bellissima ragazza indiana, decisa e risolutiva, interpretata dall'allora diciannovenne Sandrine Holt.

Anche se siamo più dalle parti di “Diario di un curato di campagna” che non de L’ultimo dei mohicani, per gli appassionati dei film d’avventura ambientati nell'America del ‘600 e del ‘700 il film è comunque una gioia per gli occhi, tra indiani credibili, fucili a canna lunga, canoe che scivolano su fiumi maestosi, favolosi boschi innevati e l’immancabile scena dei prigionieri che vengono fatti correre tra due ali d'indiani armati di bastoni.


Colpisce infine che un film come questo, che si direbbe relativamente recente, o comunque proveniente da un panorama cinematografico apparentemente non molto diverso da quello odierno, oggi sarebbe impensabile come film pensato (almeno potenzialmente) per il grande pubblico. Oggi un film con le stesse caratteristiche sarebbe concepito solo per i festival e i circuiti d'essai.