mercoledì 8 agosto 2012

i registi 18 - Carlo Lizzani

CARLO LIZZANI
Achtung! Autore!



A differenza di altri autori provenienti dal cinema cosiddetto impegnato come Damiani, Brass e Questi, che negli anni d’oro del western italiano si inserirono nel filone calandosi dall'alto, dimostrando scarsa considerazione per il genere, Lizzani è il caso di un autore militante che fece western con una certa convinzione, anche come produttore, avvicinandosi al genere con rispetto e sapienza artigianali. Pur proponendo una sua lettura personale, nei suoi western Lizzani non cerca di destrutturare il genere, ma cerca piuttosto l’accesso ad un tipo di narrazione all'epoca autenticamente popolare. Incappando, manco a dirlo, anche in qualche tirata d’orecchi della critica ortodossa di allora più ottusa e trombona.

1966 UN FIUME DI DOLLARI
di Carlo Lizzani con Thomas Hunter, Henry Silva, Dan Duryea, Nicoletta Machiavelli, Gianna Serra, Nando Gazzolo, Loris Loddi

Il primo dei due western di Lizzani ha decisamente un'impostazione classica. Per quanto la trama abbia elementi tipicamente "spaghetti", come il protagonista ossessionato dalla vendetta e il villaggio diviso tra fazioni, lo stile, i dialoghi, i costumi e persino le musiche di Morricone guardano senza dubbio più ai modelli  americani che non ai canoni imposti dalle pellicole di Leone. In particolare sembra potente l’influenza dei film di  Anthony Mann, dai cui film è ripreso direttamente l'attore Dan Duryea, con quella solita aria da affascinante relitto che avevano un po' tutte le vecchie glorie hollywoodiane che venivano a cercar nuova fortuna in Italia. Se lo stile e l’iconografia sono classici il tutto è però condito dalla violenza e dal clima morboso tipico del western nostrano. Ambiguità ben visibile nel gran scontro finale, dove se l’azione è coreografata con le tipiche inquadrature geometriche dei film americani, i protagonisti fanno però grande uso della dinamite: esagerazione spettacolare tipicamente "spaghetti" e infrazione dei codici cavallereschi che nessun "buono" di un western classico si sarebbe mai permesso.


Pur senza arrivare allo stravolgimento grottesco più caratteristico dei western all'italiana, Lizzani estremizza alcune peculiarità dei personaggi tipici. A cominciare dal protagonista, talmente divorato dal desiderio di vendetta da essere spesso mostrato con un'aria febbricitante e malata, pronto a qualsiasi atto masochista pur di giungere al suo scopo, come farsi pestare o a farsi tagliare un tatuaggio dal braccio. Per quanto un po’ anonimo, l'attore Thomas Hunter ha la giusta aria spiritata e malinconica.


È anonimo e basta invece il capo dei cattivi interpretato da Nando Gazzolo, ma poco male perché a rubargli la scena c’è il suo braccio destro, un incontenibile Henry Silva, che pur nerovestito gioca ad andare contro al suo classico personaggio del killer glaciale, interpretando un pistolero messicano dall’allegria decisamente inquietante. Il personaggio di Nicoletta Macchiavelli, splendidamente decorativo, moriva nella versione italiana mentre sopravviveva nella versione americana. Futuro rinomato doppiatore e specializzato nei ruoli da bambino in moltissimi "spaghetti", il piccolo Loris Loddi è un caso raro di moccioso simpatico in un western.


Pur considerandola un’ opera su commissione Lizzani si mette rispettosamente e seriamente al servizio del genere, ma non si annulla come autore, rivelando un bel talento per le scene d’azione e violenza. Una bellissima sequenza, che evidentemente sconfina dall'estetica convenzionale dei western italiani, è quella del protagonista che dopo anni torna nel suo ranch e lo ritrova monocromatico, perché totalmente ingrigito dalla polvere. Quando l'uomo inizia a leggere il diario della moglie la macchina da presa inizia a vagare per la casa vuota e si sente la voce della donna come quella di un fantasma.

1966 REQUIESCANT
di Carlo Lizzani con Lou Castel, Mark Damon, Pier Paolo Pasolini, Franco Citti, Pietro Ceccarelli, Barbara Frey, Nino Davoli, Rossana Martini, Rosanna Crisman

Anche se è probabilmente il primo western italiano esplicitamente politicizzato, non è, come si legge quasi ovunque, un western rivoluzionario, ma piuttosto un tipico western gotico di quel periodo. Si respira la stessa aria, affascinante e tragica, di film come Le colt cantarono la morte e fu... tempo di massacro, Texas addio, Sette dollari sul rosso e 1.000 dollari sul nero. In quest’ultimo appare lo stesso tempio azteco (ovviamente finto) presente anche in “Requiescant”. (Scenografie che appaiono anche in Killer Kid, notevole e misconosciuta pellicola con Anthony Steffen, quella sì un vero western rivoluzionario, anche se non viene mai citato tra i film del filone.)  


C'è molta ironia in "Requiescant", soprattutto riguardante la figura del bizzarro protagonista, ma Lizzani non commette l’errore di molti registi impegnati che, alle prese con il cinema di genere, spesso calcano la mano con il sarcasmo per sottolineare il proprio distacco dalla materia tratta. Semmai in questo caso, soprattutto nel finale, ci si prende anche un po’ troppo sul serio, con due o tre sermoni politici di troppo, soprattutto in quel paio di momenti in cui il pubblico magari avrebbe preferito veder gente che sparava. Ma nonostante qualche isolata tirata terzomondista nei dialoghi, in effetti decisamente mal invecchiata, è fortunatamente più un film di atmosfere e personaggi che non di ideologie. Significativo, ad esempio, che i campesinos che combattono contro lo yankee aristocratico e schiavista sono per quasi tutto il film lasciati fuori campo, quasi una presenza spettrale. E anche nel finale vagamente shakespeariano funzionano più come incarnazione dei fantasmi psicologici dei due protagonisti, che non come soggetti politici.


Lou Castel "è" il film. L’attore svedese crea uno dei personaggi più originali e strampalati mai visti in un western, esatto opposto del ruolo gelido e calcolatore che interpreterà l’anno dopo in Quien Sabe?. Specie di San Francesco con la colt o Candido volterriano nel Far West, Requiescant attraversa il film con la sua aria lunare, maldestro quanto imprevedibilmente letale, incapace di cavalcare (guida il suo cavallo con una padella), perde continuamente cappello e pistola, che è costantemente costretto a inseguire e raccattare. Con la sua recitazione fuori dagli schemi, sottilmente nevrotica e svagata Castel riesce nell’impresa di rendere  un personaggio simile coerente e credibile. Un personaggio tanto eccentrico che ancora oggi è incompreso e rifiutato da molti appassionati, pur capaci di digerire le caratterizzazioni più inverosimili e anodine della fase comicarola del genere. Suo contraltare perfetto un Mark Damon spiritato e teatrale, che crea un cattivo davvero inquietante e affascinante, un nobile decadente, tormentato e omosessuale che sembra uscito da uno dei film di Corman ispirati a Poe.

Pasolini nei panni di un prete rivoluzionario è una specie di totem vivente, la cui presenza risulta ancor più straniante per il fatto che viene doppiato. Proveniente dal suo cinema risulta rilevante la presenza di Franco Citti. Si vede poco invece Ninetto Davoli nella strampalata parte di un trombettiere.


Parecchie le scene dall'impatto notevole: tutte le uccisioni e i laconici sermoni di Requiescant, una gara di tiro a bersaglio tra ubriachi con una donna che regge i bersagli, Castel che si aggira nel tempio tra le ossa dei suoi famigliari, il duello tra “impiccati”, la morte di Damon. Peccato invece per due scene di tortura malamente sforbiciate già all’epoca.

Se è vero che per molti anni in Italia sul cinema di genere nostrano è gravata una cappa di disprezzo e (peggio) di indifferenza, è anche vero che da anni si è affermato un luogo comune uguale e contrario riguardante il cinema e gli autori “impegnati”, bollati come noiosi e pesanti per partito preso. Tanto è vero che un fama simile aleggia da sempre anche su “Requiescant”. A conti fatti, nonostante i suoi difetti e squilibri, si tratta invece di un ottimo film di genere, originale, bizzarro e soprattutto piuttosto divertente.

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