venerdì 27 settembre 2019
RED HEADED STRANGER
1986 Red Headed Stranger
di William D. Wittliff con Willie Nelson, Morgan Fairchild, R.G. Armstrong, Royal Dano, Katharine Ross
Ballata in pellicola spiazzante e cinica come sanno esserlo molte canzoni folk. E per questo esempio singolarmente ambizioso nel filone di western interpretati da star del country nato negli anni 80, pellicole solitamente innocue che si limitavano ad esporre le star e a mettere qualche loro canzone nella colonna sonora. Red Headed Stranger fa invece della sua anima country la propria ragione d'essere. A cominciare dal fatto che e' il caso probabilmente unico di un western ispirato ad un album musicale, il cui concept viene usato come canovaccio. Il disco e' l'omonimo "Red Headed Stranger" del 1975 di Willie Nelson, un classico del country e titolo iconico che diventera' un secondo nome per il suo autore.
Si racconta di un misterioso straniero che si aggira per il West, cavalcando uno stallone nero e tirandosi dietro un baio come ricordo della moglie morta. Nel film ci viene mostrato come l'uomo fosse un pastore protestante e avesse ucciso lui stesso la moglie, dopo che lei lo aveva abbandonato e tradito. Il tutto sullo sfondo di un West visto come terra spietata, dominata da faide e morti insensate, tanto che la moglie aveva abbandonato il marito proprio per la vita troppo dura e violenta.
Se negli altri esempi di western con star del country i protagonisti sono quasi sempre portatori di un'americanita' vecchio stampo, se non sempre positiva ed eroica comunque romantica, qui abbiamo un protagonista che della cultura folk incarna il lato piu' oscuro e amorale. Il personaggio di Nelson va infatti oltre il concetto di anti-eroe, diventando in alcuni momenti un personaggio respingente. Basti pensare alla scena in cui lo si vede uccidere a sangue freddo una prostituta perche' questa, scherzando, aveva fatto il gesto di rubare il cavallo della moglie defunta.
Film che vive soprattutto di un ottimo cast. A parte ovviamente un Willie Nelson totalmente calato nella parte, ci sono grandi caratteristi come R.G. Armstrong e Royal Dano, che rappresentano i due poli morali opposti del film: il primo un onesto e umano sceriffo, l'altro il degenerato patriarca di una famiglia di assassini. Oggi un po' dimenticata, almeno in Italia, Morgan Fairchild teneva alto il suo status di sex symbol degli anni 80, con una bellezza patinata in questo caso congeniale al suo personaggio, una delicata donna dell'est fuori luogo nel selvaggio West.
Il limite del film e' che al carattere oscuro della vicenda e del protagonista non sempre corrisponde una messa in scena all'altezza. Alla sua unica regia, il per altro non banale sceneggiatore Wittliff (che per Nelson gia' aveva scritto El Gringo Barbarosa), si limita ad una corretta, ma troppo illustrativa, esposizioni di fatti. Azzecca delle scene di violenza spoglie e casuali, ma le atmosfere e il ritmo sono un po' troppo da normale film western e il carattere gelido e crudele della storia non e' sempre assecondato. Ne consegue, ad esempio, che alcuni paradossi morali della vicenda, coerenti nella versione musicale, risultano incongrui sullo schermo, a cominciare da un lieto fine quanto meno politicamente scorrettissimo, considerato che in fin dei conti parliamo di un film su un femminicida.
mercoledì 25 settembre 2019
MADRON
1970 Madron / His Name Was Madron
di Jerry Hopper. Con Leslie Caron, Richard Boone, Paul Smith
Adorabile e misconosciutissima produzione americana girata in Isreale. Come un po' tutta la manciata di western girata da quelle parti in quegli anni ha un'aria sgangherata e poverissima. Non c'e' neanche quasi una storia, ma solo una situazione tirata per le lunghe: dopo essere sopravvissuta al massacro della sua carovana una suora si aggrega a un ispido e riluttante bandito, il Madron del titolo. Tra agguati apaches e scontri con bandoleros ovviamente tra i due nascera' del tenero.
Il modello e' chiaramente "Gli avvoltoi hanno fame" di Siegel dell'anno prima, di cui e' quasi un istant-remake da morti di fame. Anche qui si tenta di unire una certa estetica spaghetti western (le belle musiche sono di Riz Ortolani) al filone dei western commedia che andavano di moda in America ai tempi. Nonostante la disparita' di mezzi, e nonostante Jerry Hopper (al suo ultimo film) non sia chiaramente Siegel, e' uno di quei casi in cui la serie B, anzi la C, batte la A.
La poverta' estrema della messa in scena, visibile anche in qualche scena d'azione montata un po' a caso, finisce per sembrare quasi poetica, coi due protagonisti che per quasi tutto il film vagano soli in mezzo al giallognolo e fascinosamente desolato deserto isrealiano.
Sono proprio i protagonisti che funzionano meglio rispetto al film di Siegel. Leslie Caron fa molte meno smorfie della McClaine ed e' dolce e bellissima, forse piu' di quanto non sia mai stata neanche da giovane (qui andava per i 40), col volto incorniciato dal velo bianco da suora ha persino un che di rinascimentale. Anche Richard Boone e' un attore piu' versatile di Eastwood, e sa dosare meglio cialtroneria, timidezza e romanticismo. Tra i due l'intesa sembra vera e soprattutto negli ultimi venti minuti di film raggiunge una bella intensita' malinconica, fino al triste epilogo.
In Italia e' circolato (probabilmente poco) con l'anonimo e assurdo titolo "La valle dei comanches".
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