di Abraham Polonsky con Robert Redford, Robert Blake, Susan Clark, Katharine Ross, Barry Sullivan, Charles Aidman, Charles McGraw, John Vernon, Lloyd Gough, Ned Romero, Robert Lipton, Shelly Novack
Unico, notevolissimo western di Abraham Polonsky, e suo secondo film a più di vent’anni di distanza dal primo, l’altrettanto rilevante noir Le forze del male con John Garfield, del 1948. Purtroppo si tratta anche della sua penultima pellicola: la sua carriera come regista si concluderà due anni più tardi con l’interessante ma sfortunato Romanzo di un ladro di cavalli, con la miseria di appena tre film all’attivo.
La carriera cinematografica di Polonsky fu di fatto stroncata nel
1951, quando venne inserito nella famigerata ‘black list’ per essersi rifiutato
di testimoniare davanti al Comitato sulle attività antiamericane, che metteva
alla sbarra e poi al bando registi e sceneggiatori hollywoodiani sospettati di
simpatie comuniste, un’autentica pagina nera della società statunitense ancora
oggi abbastanza sottaciuta (anche al cinema: ricordiamo solo
Il prestanome con Woody Allen e Indiziato di reato con Robert de
Niro, a cui – non accreditato – collaborò lo stesso Polonsky).
Nell’approcciarsi al western Polonsky non è evidentemente interessato a
rispettarne le convenzioni, ma come con il noir ne utilizza piuttosto le
dinamiche interne per scagliare un vibrante atto di accusa verso l’establishment
a stelle e strisce, impiegando in primo luogo in chiave simbolica quelli che nel
cinema western sono sempre stati tradizionalmente considerati i paria e i
reietti: i nativi americani.
Il film, uno dei primissimi di quel magmatico e
ribollente movimento che fu poi definito ‘New Hollywood’, precede la stagione
dei grandi western revisionisti e filo-indiani come Piccolo Grande Uomo e
Soldato blu, distanziandosene, però, per un cinismo di fondo difficilmente
ravvisabile anche nelle disincantate produzioni coeve.
Nel racconto della
persecuzione, dell’inseguimento e infine della messa a morte di un indiano
Paiute – un fatto realmente accaduto in California nel 1909 e narrato in un
libro del 1960 dal giornalista Harry Lawton – contro cui viene organizzata una
caccia all’uomo che coinvolge l’intero stato, con la partecipazione attiva e
sempre più compromessa di stampa e politica, più che una allegoria sulla guerra
del Vietnam (come in molte delle pellicole “dalla parte degli indiani”) non è
difficile intravedere un ritratto in filigrana dello stesso regista e, più in
generale, una metafora della caccia alle streghe del periodo maccartista.
In
Tell Them Willie Boy is Here (già il titolo originale sottende la denuncia, la
delazione, di cui il regista fu vittima) la messa a nudo dei meccanismi di
sopruso e violenza innati nella società americana e del modo in cui essi vengono
utilizzati per ottenere la riscossione del consenso da parte di stampa e
opinione pubblica è acuta, sferzante e senza il minimo sconto, anche a scapito
della spettacolo: Polonsky è visibilmente più interessato alla dimensione
psicologica, alle questioni sociali e alle connotazioni politiche più che
all’intrattenimento e il film segue un suo ritmo lento e inesorabile (Paul
Schrader lo ha definito un "inseguimento esistenziale").
E’ da non sottovalutare
il contributo, soprattutto per un regista così a lungo lontano dai set, del
grande direttore della fotografia Conrad Hall (lo stesso del successivo Butch
Cassidy, per cui venne premiato con il Premio Oscar) nel creare l’atmosfera
livida, cruda e realistica del film, spesso grazie all’utilizzo dell'illuminazione
naturale – una specialità di Hall – con cui sottolineare efficacemente sia
l'azione che la psicologia dei personaggi.
Tell Them Willie Boy is Here ha due
protagonisti. Robert Blake è il personaggio che da il titolo al film (Willie Kid
nell’edizione italiana), il giovane indiano Paiute in fuga, mentre nella parte
del vice-sceriffo Cooper che guida la squadra al suo inseguimento c’è Robert
Redford. Katharine Ross e Susan Clark interpretano rispettivamente le donne di
Blake e di Redford.
Fu proprio l’interessamento di Redford – desideroso di
cimentarsi con ruoli più complessi e sfaccettati – a mettere Polonsky alla direzione della pellicola. Grazie a questo film e soprattutto a Butch Cassidy, girato
immediatamente dopo ma che però venne distribuito prima, Redford divenne
definitivamente una star di prima grandezza nel firmamento di Hollywood.