1973 IL GRANDE DUELLO
di Giancarlo Santi con Lee Van Cleef, Horst Frank, Peter O'Brien, Marc Mazza, Jess Hahn, Antonio Casale, Klaus Grünberg, Dominique Darel
Trascurato all’epoca della sua uscita, invisibile per anni e rivalutato come merita solo in tempi più recenti, con i suoi molti pregi e anche con qualcuno dei suoi difetti è un film denso e sostanzioso, che porta i segni visibili della fine di un'epoca e di un modo di fare cinema, e probabilmente l’ultimo grande spaghetti western "classico" (Keoma e California sono infatti già dei post-western).
Come un po' tutti quei rari spaghetti "seri" di quegli anni, è un film con parecchie infiltrazioni crepuscolari, a cominciare dalla clamorosa bellezza malinconica della musica di Bacalov, ripresa anche dal volpone Tarantino nel sanguinoso capitolo animato di Kill Bill: gran pezzo di cinema, nonostante Santi si lamenti dell'appropriazione indebita. Per una volta l'insistenza, tipica del periodo, su particolari scabrosi e battutacce grevi (quella sul cadavere del cavallo è talmente triviale da fare trasalire) è funzionale all'atmosfera, con un Lee Van Cleef quasi stanco, che elegante ed austero si aggira in un West laido e pezzente; ma dove i peggiori hanno l'eleganza pacchiana dei fratelli Saxson.
Un West con parecchi particolari stranianti: baristi ermafroditi, il cattivo sifilitico, l'inquietante pelato Marc Mazza (già maniaco ne L'uomo della pioggia con Charles Bronson), il tipico cattivo Horst Frank che interpreta due ruoli (padre e figlio), il caratterista neandertaliano Salvatore Baccaro tra le guardie del corpo dei cattivi. Anche il protagonista capellone Alberto Dentice/Peter O'Brien è ne più ne meno che un hippie nel Far West e i battaglieri coloni sembrano usciti da un film di propaganda rivoluzionaria.
Se la prima parte deve molto a Leone, la seconda nel paese è più debitrice dei western politici e pessimisti di Corbucci. I piani di potere dei cattivi sono molto chiari con la realpolitik del cattivo Horst Frank, che rinuncerebbe alla vendetta pur di portarli a compimento. La parte gialla è un po' confusa e bisogna rimuginare un po' per far quadrare i conti, ma la trovata del flashback in bianco e nero è suggestiva e usata come si deve. Anche se il colpo di scena finale non sorprende nessuno. Notevolissimi i duelli e le sparatorie, ripresi direttamente da Leone, ma con influenze anche del cinema di Peckinpah, con l'uso del montaggio sincopato e il ralenty, usato molto più sensatamente che nel successivo Keoma. Unica grossa pecca: il personaggio superfluo della promessa moglie di uno dei Saxon, la viscontiana Dominique Darel, che si innamora di Dentice, sottotrama sentimentale che inquina un po' il finale, fin troppo spensierato rispetto al clima del resto del film.
Decisamente notevole la regia di Giancarlo Santi, già aiuto regista di Sergio Leone in Il buono, il brutto, il cattivo e C’era una volta il West (e che, come noto, avrebbe dovuto essere anche il regista di Giù la testa), che al suo esordio assoluto sembra davvero un esperto e consumato professionista, dimostrando una padronanza del mezzo tecnico da fare invidia a più titolati colleghi.
L’ascendenza da Leone è, peraltro, evidentissima per tutto il film, con Santi che cerca, forse un po’ anche per dimostrare il suo talento e che Leone sbagliò a non affidargli Giù la testa, di costruire le sequenze in perfetto stile "leoniano", con carrellate a salire, primi piani ravvicinati e tutti gli altri classici vezzi tecnici del Maestro.
Secondo Antonio Bruschini è un film in cui Santi "dimostra di aver ben assorbito l’uso ritmico delle pause e la musicalità dei silenzi di Leone (si veda la lunga sequenza iniziale dell’arrivo di Clayton alla stazione di servizio) nonché il suo afflato epico. Esemplare la maestosa sequenza del duello con Van Cleef e i cattivi che avanzano uno incontro agli altri, spalancando le enormi porte del recinto, sottolineato dall’intenso tema musicale di Luis Enriquez Bacalov, del tutto degno di Morricone."
Bisogna dire, però, che Santi spinge molto di più sui tasti del barocco e del grottesco, due elementi sì presenti soprattutto nell’ultimo Leone, ma che però vengono decisamente accentuati.
E da Leone viene ripreso, e notevolmente amplificato, anche l’uso delle facce patibolari, con un campionario di brutti ceffi da fare invidia a Lombroso, di trivialità quasi da borgata romana e la sgradevolezza di personaggi e situazioni, che ricordano il celebre inizio di Giù la testa.
Il massacro dei minatori invece è quasi sulla falsariga di quello dei soldati messicani in Per un pugno di dollari, con gli stessi primissimi piani della canna della mitragliatrice e degli occhi di chi spara.
Il film, purtroppo, è decisamente penalizzato dagli esterni, girati sui monti della Toscana, che non possono certo competere con il fascino dei deserti dell'Almeria. Purtroppo, a causa dell’aumento dei costi, pochi degli spaghetti western degli anni settanta vennero girato in Spagna.
Geniale, invece, l’idea dei titoli di testa che scorrono orizzontalmente da destra verso sinistra sullo schermo.
Purtroppo la versione attualmente circolante, in televisione e su dvd, è censurata: ricordiamo bene il particolare del vecchio ucciso in mezzo alla strada che lascia l'impronta di sangue sul vestito bianco di uno dei Saxson (scena che si vede anche nel trailer su YouTube) e anche il massacro dei coloni dovrebbe essere sforbiciato.
T. Sega & M. Mihich
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