mercoledì 12 agosto 2015

mercoledì 4 marzo 2015

The Mountie



2011 THE MOUNTIE / THE WAY OF THE WEST / LAWMAN 
di Wyeth Clarkson con Andrew W. Walker, Jessica Paré, George Buza, Earl Pastko, John Wildman, Tony Munch , Matthew G. Taylor, Andrey Ivchenko

E' piuttosto sconcertante il numero di western amatoriali o semi-amatoriali che vengono prodotti ogni anno da un po' di anni a questa parte. A questa data, per il 2015 secondoIMDb ci sarebbero già in cantiere cento(!) film western. Lasciando perdere tutti quei film d'altro genere per cui l'etichetta "western" del sito sarà stata messa lì perché si vede un deserto o uno cavallo, stiamo parlando di almeno una cinquantina di titoli. Alcuni di questi non verranno mai completati e spariranno anche da IMDb, altri diventeranno i classici film fantasma di cui resterà solo un titolo, di altri ancora comparirà il trailer su youtube prima di scomparire a loro volta, i più fortunati finiranno in qualche sito streaming totalizzando visualizzazioni a una cifra e zero commenti. Pochi, pochissimi, troveranno un loro minuscolo pubblico e i loro 15 minuti di gloria. Quel che sconcerta è quindi la vastità della proposta in relazione alla quasi inesistente domanda di prodotti simili.

Eppure, pur considerando l'abbattimento dei costi (e della conseguente qualità media) dovuto alla tecnologia digitale, mettere in piedi anche il più banale dei film resta un'operazione per cui ci vuole comunque qualcuno che spenda tempo e risorse personali. Molto tempo e molte risorse.
Al che si potrebbe buttarla sul romantico, immaginando questo esercito di sognatori che producono e dirigono il loro film western contro ogni legge del mercato e del pubblico, spinti solo dall'amore per il genere. Ma poi basta guardarne qualcuno di questi pseudo-film per far sparire ogni alone poetico alla faccenda. C'è di buono (si fa per dire) che il livello è in genere talmente infimo che in genere bastano pochi minuti di visione o anche solo un trailer per decidere di dedicarsi ad altro.


Raramente ci sono invece titoli che si lasciano vedere dall'inizio alla fine, come questo "The Mountie", film canadese di quattro anni fa, circolato (e si rifà per dire) anche con i titoli "The Way of the West" e "Lawman". L'amatorialità del prodotto risalta già dalla povertà grafica del carattere scelto per i titoli di testa e di coda, ma per il resto a livello tecnico ci troviamo davanti ad un filmetto fatto con gusto, cura e consapevolezza dei pochissimi mezzi a disposizione.

Come ormai caratteristico di molti western di questi anni dieci, il film sceglie un'ambientazione atipica e intrigante, quella di una minuscola comunità russa dispersa tra le montagne del Canada, un accampamento di misere tende dove - bella intuizione visiva - l'unico edificio in legno è la chiesa. Il prete è in combutta con una banda di criminali che costringe la piccola comunità a coltivare l'oppio. Un giorno capita da quelle parti una giubba rossa che proprio a causa dell'oppio ha un tragico errore da riscattare: sotto effetto della droga durante una sparatoria in un fumeria d'oppio uccise per sbaglio una ragazzina.

Bella fotografia, bei costumi, colonna sonora professionale, tocchi di regia non banali, il fascino aristocratico delle giubbe rosse. Gli attori sono probabilmente tutti non professionisti, ma i buoni hanno le giuste facce (nota per gli spettatori maschietti: la figlia del prete, che - ovviamente - si innamora del protagonista è praticamente una sosia di Liv Tyler) e i cattivi le giuste ghigne. Tutto sembrerebbe concorrere alla realizzazione di un gioiellino misconosciuto. Dove il film frana rovinosamente è nella scrittura.



Anche a quel livello, in realtà, gli autori avrebbero fatto scelte intelligenti, mettendo in piedi una storiella semplicissima e riducendo al minimo i dialoghi. Ma a conti fatti la sceneggiatura si rivela una specie di collezione delle più tipiche ingenuità dello sceneggiatore dilettante. Un affastellarsi di idee anche buone, ma messe giù senza avere il senso del narrazione e senza capacità di dare una progressione drammatica agli eventi. Le cose sembrano succedere a caso, i personaggi fanno cose incoerenti e spesso in contrasto con la loro caratterizzazione, si passa senza soluzione di continuità da un tono realistico e crepuscolare a scene da spaghetti western. Per dire, il protagonista passa da sequenze in cui appare come lo straniero senza nome di Clint Eastwood ad altre in cui è un antieroe impotente. Nel finale appare tra i fumi delle esplosioni come in "Per un pugno di dollari" e uccide ad uno uno i suoi avversari come "Il cavaliere pallido, ma allo stesso tempo per cavarsela deve essere salvato dal suo cavallo(!), da una bambina(!!), da un ritardato(!!!) e infine da un suo collega.



Ma ha senso giudicare un prodotto di questo tipo come un film normale?
Ha più senso criticarlo per quello che non è riuscito ad essere o apprezzare quello che, nonostante tutto, è riuscito ad essere? E se da una parte il coevo Good for Nothing, con mezzi probabilmente altrettanto limitati, è riuscito ad essere un autentico gioiello, dall'altra è comunque meglio di un'infinità di direct-to-video senz'anima che magari godono di buona fama tra estimatori del trash. Alla fine è un'operina fatta con evidente amore, per il western e per il Canada, che non riesce ad essere un prodotto professionale, ma ci prova ad esserlo più di molti prodotti realmente professionali.

mercoledì 25 febbraio 2015

The Retrieval



2014 THE RETRIEVAL
di Chris Eska con Ashton Sanders, Tishuan Scott, Keston John Bill Oberst Jr., Christine Horn, Alfonso Freeman, Raven Nicole, Jonathan Brooks

Ormai si può certificare una piccola ma significativa tendenza in alcuni dei western prodotti in questo decennio ormai per metà già consumato. Una serie di film, spesso a basso costo, che mettono in scena situazioni ridotte all'osso con toni prosciugati e minimalisti e narrano storie di viaggio con ritmi lenti e anti-commerciali, spesso con un rifiuto o un disinteresse per l'iconografia classica del genere.

Ne è un buon esempio questo piccolo, ma interessante film indipendente dell'anno scorso.
Si racconta di due ex schiavi neri, un ragazzo e un adulto, che durante la guerra civile collaborano con una banda di cacciatori di disertori e schiavi fuggitivi, che i due  scovano e  tradiscono. Un giorno vengono incaricati dal mefistofelico capo della banda di andare tra le linee nordiste e attirare in trappola con una scusa un prezioso schiavo ricercato. Riusciranno nell'intento, ma durante il viaggio il ragazzo comincerà a vedere nell'uomo una figura paterna e il simbolo di  una dignità sconosciuta a lui e il compagno, a conti fatti comunque sempre "schiavi" di un bianco.



Per grande parte del film vediamo solo i protagonisti che camminano in mezzo splendidi paesaggi fatti di campi e boschi. Bellezza bucolica interrotta dai segni e dagli improvvisi squarci della violenza bellica (in una scena si addormentano e si risvegliano in mezzo ad una battaglia). Non è però un film poetizzante o vuotamente contemplativo. Il tono è asciutto, la bellezza delle immagini è priva di pomposità. Il ragazzo e il fuggitivo affrontano pericoli, fanno incontri, dialogano, raccontano, si conoscono in modo diretto ed efficace, non in modo molto diverso dai classici degli anni 50. I due protagonisti di questo film non sono "negri che vanno a cavallo" come il Django di Tarantino, sono realistici ex schiavi che se ne vanno in giro a piedi con vesti consunti, senza cinturoni e cappelli. Eppure, anche grazie alla rinuncia a molti cliché attoriali di molto cinema di colore, la loro caratterizzazione riesce a sfuggire alla trappola del realismo spoetizzante e a farli diventare personaggi fascinosi e allusivi, romanzeschi e "western".
La forza del film è in particolare il personaggio del ricercato, che pur nella sua umanità e fallibilità, diventa anche visivamente il simbolo di un'affascinante nobiltà "black". Merito anche della bella prova Tishuan Scott, faccia virile e aria seria da attore d'altri tempi.



I limiti del film sono una certa tendenza al didascalismo che rende la storia un po' prevedibile e l'esasperato protrarsi dei dubbi del ragazzo sul portare o meno a compimento il tradimento. Indecisione che alla lunga rischia di sembrare incoerente con quanto vediamo raccontato e che lo fa diventare un personaggio monocorde. Ma sono difetti che pesano poco nel conto finale, alla fine vince l'umanità dei personaggi, la bellezza poetica di molte sequenze, la solidità delle sequenze violente.

Nota a margine: possiamo star sicuri che questo film non arriverà mai in Italia, come del resto almeno altri due ottimi titoli usciti nel 2014 ("The Salvation" e "The Dark Valley" - qualche speranza in più per il capolavoro di Tommy Lee Jones "The Homesman", ma non stupirebbe più di tanto veder delusa anche questa attesa). In compenso abbiamo potuto godere della distribuzione di "Un milione di modi per morire nel West".