giovedì 25 febbraio 2016

Bone Tomahawk



2015 BONE TOMAHAWK
di Craig S. Zahler, con Kurt Russell, Richard Jenkins, Patrick Wilson, Matthew Fox, Lili Simmons

Nell’attesa della recensione di The Hateful Eight, film-evento irrinunciabile per ogni appassionato di cinema (non solo) western, un sostanzioso antipasto (e anche un’occasione per rilanciare il nostro blog) può essere costituito da Bone Tomahawk, pellicola uscita lo scorso autunno negli Stati Uniti (ma reperibile attraverso le solite piattaforme online anche in Italia: una distribuzione nelle sale cinematografiche non pare per il momento prevista), se non altro per la particolarità di essere interpretata dallo stesso protagonista del film di Quentin Tarantino, un magnifico Kurt Russell, che sfoggia peraltro il medesimo look ottocentesco con barba e baffoni.
Bone Tomahawk è stato infatti girato immediatamente prima di The Hateful Eight, quindi nel 2015 c’è stata l’occasione di vedere Russell (che aveva frequentato il genere solamente una ventina d’anni addietro con il Tombstone di Pan Cosmatos) in ben due western, che speriamo costituiscano un’occasione di rilancio per questo bravo attore ultimamente poco utilizzato dal cinema americano.

Bone Tomahawk è scritto e diretto da quel Craig S. Zahler di cui abbiamo dato notizia sul nostro blog a proposito dell’annunciato progetto Brigands of Rattleborge, uno script particolarmente violento finito in cima alla Black List (la lista delle migliori sceneggiature non prodotte pubblicata annualmente dagli Studios americani) che dopo essere stato acquistato dalla Warner Bros era stato affidato nientemeno che al coreano Park Chan-wook (progetto che pare però purtroppo essersi arenato).
Quella di Brigands of Rattleborge è solo una delle venti sceneggiature finora vendute al cinema dal poliedrico Zahler, che è anche apprezzato romanziere (i diritti del suo ultimo romanzo, Mean Business on North Ganson Street, sono stati opzionati da Leonardo DiCaprio, che dovrebbe trarne un film a breve) e anche musicista (genere di riferimento l’heavy metal). Siccome l’unico suo copione ad essere finora diventato film è però quello di The Incident, un horror diretto nel 2011 dal francese Alexandre Courtes, Zahler, frustrato dai tanti progetti non andati in porto, ha deciso di compiere il grande passo e passare in prima persona dietro la macchina da presa.


Tra le varie declinazioni del Weird Western, genere negli ultimi anni quanto mai (mal) frequentato, mancava forse ancora quella ‘cannibal’, un sottofilone tra i meno rispettabili dell’horror, di matrice prettamente italiana, tornato di recente in auge grazie al film di Eli Roth The Green Inferno. Le similitudini, però, si fermano qui: se Roth sceglie per la sua pellicola come suo solito un approccio quanto mai ludico e superficiale Zahler sembra invece ben intenzionato a fare le cose sul serio e a maneggiare la materia con reverenza, scrupolo e competenza.

Il risultato è un oggetto quanto mai curioso e indecifrabile, che potremmo definire come una sorta di impossibile mix tra Sentieri selvaggi e La montagna del Dio cannibale.
Dopo un breve e fulminante prologo in cui vediamo Sid Haig tagliare (letteralmente) la gola a un gruppo di pionieri per poi venire a sua volta fatto a pezzi il film assume i ritmi piani e distesi di un autentico e classico western, nei quali l’autore si prende tutto il tempo, utilizzando come tema portante il tradizionale archetipo del viaggio, per mettere in scena e sbozzare i personaggi e per descrivere le dinamiche che intercorrono tra di loro, nelle quali si può apprezzare la sua capacità di delineare efficacemente caratteri e psicologie e l'ottimo senso per i dialoghi, arricchiti da un uso non banale di vocaboli desueti e vernacolari.
Paradossalmente questo rallentamento e rarefazione della pellicola, in cui di fatto poco o niente succede, contribuisce ad accrescerne esponenzialmente il livello di tensione.
Nell’ultima mezz’ora, con l’incontro con il clan di indiani cannibali, il film opera però uno scarto deciso e prende completamente le distanze dagli stilemi del western per abbracciare quelli di un horror graficamente molto violento, e si chiude con un finale teso e cattivo, di quelli che restano impressi.


Come detto l’autentico valore aggiunto del film è costituito da Kurt Russell, protagonista di un’interpretazione degna dei grandi del passato: la laconicità, l’essenzialità dei gesti,il portamento elegante e virile rimandano ai grandi divi del western classico, come il fatto di riuscire a riempire lo schermo con la sola presenza scenica o anche la semplice voce.
Anche il resto del cast funziona benissimo, a partire da Richard Jenkis che fornisce un’ironica e inedita interpretazione del classico “vecchietto” alla Walter Brennan, fino a due giovani promesse di formazione televisiva come Patrick Wilson e Matthew Fox. Soprattutto quest’ultimo è assai convincente nel ruolo di un compassato gentiluomo d’armi.
Merita sicuramente una menzione, infine, anche la deliziosa Lili Simmons.


Il film, va detto, non è esente da difetti e in alcuni punti palesa la poca esperienza di Zahler dietro la macchina da presa, che si limita a una regia corretta ma abbastanza anodina, forse non all’altezza della sceneggiatura e carente soprattutto di immaginazione visiva (la poca mobilità delle inquadrature e l’ampio uso di campi medi d’altro canto evoca echi carpenteriani, come pure la raffigurazione metafisica del male e l’utilizzo dello spazio in funzione della creazione della suspense); in alcuni momenti anche i dialoghi, in particolar modo quelli di Richard Jenkins, pur efficaci nella loro straniante ironia (che segue consapevolmente la lezione di Tarantino) a volte spezzano eccessivamente la tensione finendo per risultare un po’ ridondanti, e forse l’intera pellicola avrebbe giovato di una minor durata.

Bisogna però dare atto al regista di avere girato con il budget minuscolo di un piccolo film indipendente (gli esterni sono stati girati interamente in California, non potendosi permettere il New Mexico) un western con un mood molto affascinante e non privo di preziosismi ed eleganza e lo aspettiamo fiduciosi alla sua seconda prova.

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