venerdì 18 novembre 2016

In a Valley of Violence



2016 In a Valley of Violence
di Ti West con Ethan Hawke, John Travolta, Taissa Farmiga, James Ransone, Karen Gillan, Burn Gorman, Toby Huss, Larry Fessenden

Che ci fa un giovane hipster nel vecchio far west? Nonostante il cognome non era facile immaginare un regista come Ti West alle prese con un genere come il western. Classe 1980, West è il più teorico, minimalista e se vogliamo furbo esponente della generazione di registi horror emersa dalla seconda metà dello scorso decennio. Il suo manifesto programmatico è "The HouseOf The Devil" del 2009, diventato meritatamente un piccolo cult di questi anni. Un film che per quasi tutta la sua durata mostra semplicemente una bella figliola che si aggira in una sinistra dimora, giocando così con divertita intelligenza sulle aspettative che un determinato genere di situazioni crea nello spettatore. Formula poi ripetuta praticamente identica anche nel successivo e narrativamente ancor più basico "The Innkeepers".

Alle prese con la polvere e il sole del western West resta fedele al suo stile narrativo ridotto all'osso, ma cambia registro, adottando un passo più classico e adulto. Se si diverte anche in questo caso ad aprire e mostrare gli ingranaggi del giocattolo lo fa in modo più sottile e meno apertamente sarcastico. Un approccio chiamiamolo più maturo comunque inevitabile, trattandosi del suo primo film di un certo rilievo produttivo, con attori non solo noti ma decisamente famosi come John Travolta e Ethan Hawke.



Il film ha le sembianze di un povero ma dignitoso b-movie di altri tempi, con pochi attori in scena e quattro case e un paio di anfratti come scenografie. La storia, semplicissima e lineare, sarebbe piaciuta ad un Budd Boetticher o a Elmore Leonard: un uomo arriva in una classica cittadina sperduta nel nulla, subisce un terribile sopruso e si vendica. Quasi tutto qui. Ma l'aderenza a un meccanismo narrativo basato su uno dei più semplici ed efficaci meccanismi di azione e reazione è solo apparente.

All'inizio pare infatti di trovarsi davanti ad una versione moderna di una di quelle commedie western anni 60 e 70 in cui era specializzato (ahinoi e ahilui) l'altrimenti talentuoso Burt Kennedy, con tanto di protagonista che si porta appresso una cagnetta intelligente e umanamente interattiva che sembra presa di peso da un qualche antico telefilm per ragazzi alla Rin Tin Tin. West lavora però sotto la superficie del mostrato, facendo intuire fin dalle prime scene la presenza di una violenza sotterranea che attende solo di esplodere. Quando poi ciò accade, e tutto sembra incanalarsi negli schemi prefissati di un truce e sanguinario revenge movie, West spiazza ulteriormente lo spettatore disattendendo quasi tutte le aspettative e frustrando ogni possibile catarsi.

Il risultato è un film non del tutto risolto, a tratti vistosamente difettoso, ma felicemente obliquo e ambiguo. Ambiguità riscontrabile già a livello visivo, visto che è un film dai temi e dall'anima molto americani, ma anche un chiaro omaggio ad una certi colori e suoni dei western all'italiana. I titoli di testa sono corredati da disegni pop come nei primi anni degli spaghetti western, c'è una bella colonna sonora fischiata (in cui si intromettono moderati accenni elettronici carpenteriani) e la fotografia ha toni spenti e cieli verdognoli come si trattasse di una pellicola degli anni 60 ingiallita dal tempo. Un filtro finto-vintage applicato con abbastanza buon gusto da non diventare quella patina monotona e posticcia di tanti prodotti nati sulla scia di "Grindhouse" di Tarantino e Rodriguez. A livello di storia e personaggi il film di West ha però poco o nulla da spartire con i prodotti nostrani, ricordando piuttosto certi dirty western americani degli anni 70.



Interessante il lavoro che West compie sui personaggi. Molti di loro nel corso del film si rivelano diversi da quello che appaiono in un primo momento, svelando spesso lati e motivazioni inaspettate. Lo sceriffo di John Travolta, che all'inizio sembra replicare per l'ennesima volta la figura del violento finto-sonnacchioso in cui si è specializzato dall'epoca di "Pulp Fiction", pur nella sua ambiguità si rivelerà il personaggio più umano della situazione. Invece il protagonista, a cui inizialmente va tutta la simpatia dello spettatore, farà emergere lati sempre più meschini e sgradevoli.

Ma soprattutto, esattamente come nei film del già citato Tarantino, quasi tutti i personaggi quando aprono la bocca si prodigano in dialoghi e monologhi estenuanti e torrenziali, che dilatano i tempi delle sequenze e ridefiniscono il ritmo dell'azione. L'unico privo di eloquio è proprio il taciturno protagonista. Tanto è vero che il torto maggiore di cui sembra volersi vendicare è quello di essere stato privato della sua unica opportunità di comunicare col mondo.



Se come stile West si riconferma regista di impeccabile sobrietà, pecca ogni tanto di mancanza della stessa nella scrittura. L'ambizione gli prende a volte la mano, alcune scene di introspezione scivolano nel melodramma e nel finale c'è qualche scena madre di troppo. Anche il livello politico della storia è reso in modo eccessivamente didascalico in alcuni dialoghi. Non c'era bisogno di sottolineare esplicitamente in un dialogo quanto il personaggio di Hawke sia il risultato della cattiva coscienza della Storia degli USA. Bastavano da sole le sue azioni o la bella sequenza onirica, un incubo che è l'unica scena a richiamare l'estetica dei film precedenti di West, per capire che ci troviamo davanti alla tipica "macchina da guerra" inceppata, il reduce alla Rambo o alla Travis Bickle che una volta privato di una guerra ne scatena una sua privata.

Nota conclusiva con avvertenza di SPOILER, se così vi piace (anche se bisogna essere spettatori ben ingenui per non immaginare fin dal trailer e dalle premesse iniziali cosa accadrà a metà film per scatenare la violenza del protagonista): "In a Valley of Violence" si aggiunge alla lista di storie degli ultimi anni che mettono in scena una storia di vendetta scatenata dalla morte violenta di un cane.

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