martedì 2 dicembre 2014

El Gringo Barbarosa



1983 EL GRINGO BARBAROSA (Barbarosa) 
di Fred Schepisi con Willie Nelson, Gary Busey, Gilbert Roland, Danny De La Paz, George Voskovec, Isela Vega, Alma Martinez 

Bello e dimenticatissimo western picaresco e crepuscolare. Non solo uscito nel periodo più tetro per la fortuna commerciale del genere, ma come il coevo (e comunque diversissimo) Vecchia volpe, è una pellicola che in quel 1982 sembrava fare di tutto per risultare inattuale e fuori moda. Prima di tutto proseguendo (proprio nell'epoca di cavalieri Jedi e archeologi avventurieri) quel discorso di smitizzazione della retorica eroica iniziato nel decennio precedente, poi mettendo in scena un Messico insolito, poco folkloristico, fatto più di attendibili e scolorati costumi ottocenteschi piuttosto che di pittoreschi poncho e sombreri.



Fiaba messicana crudele e amorale, con due protagonisti che in alcuni momenti sembrano ricordare le figure di Don Chisciotte e Sancho Panza. Si raccontano le disavventure di un giovanottone americano che per sfuggire a una faida tra famiglie si rifugia in Messico, dove finisce per diventare lo scalcinato scudiero del leggendario bandito solitario Barbarosa, che in molti vorrebbero morto. Fuorilegge più per diletto e incapacità di accasarsi che per altro, Barbarosa è un simpatico cialtrone, aiutato tanto dalla fortuna quanto dall'alone di leggenda che lo circonda e che intimorisce i suoi avversari.

Il tono generale è leggero, quasi da commedia, ma la storia è punteggiata da dettagli macabri, scoppi di violenza insensata e casuale che lasciano il segno. Sia Barbarosa che chi gli da la caccia tentano di uccidersi a vicenda come se stessero partecipando ad un grande gioco, in cui odi antichi e faide sanguinose sembrano faccende da vecchi bambini cocciuti. Memorabile le patetiche figure dei due padri di famiglia americani che si fanno la guerra più per ottusa testardaggine assassina che vero odio. Ugualmente ambigua la figura del fazendero messicano (un grandissimo Gilbert Roland al suo ultimo film della sua lunghissima carriera ) che sacrifica uno ad uno i suoi uomini per avere la testa di Barbarosa, ma allo stesso tempo ne racconta le gesta ai bambini, mantenendo vivo un mito di cui è orgoglioso di far parte.



Sarà per la presenza di Gary Busey, diventato famoso pochi anni prima per il capolavoro "Un mercoledì da leoni", ma durante la visione vien spesso in mente il cinema John Milius. Scene come quella dei due protagonisti che ascoltano una canzone provenire da un villaggio che narra le loro gesta sono decisamente vicine a certe atmosfere di Milius. Magari più lo sceneggiatore che il regista, quello in particolare di "Corvo rosso non avrai il mio scalpo" e "L'uomo dai 7 capestri", dove si ritrova la stessa tematica del personaggio che diventa una leggenda vivente e quell'epica dolce amara su uomini che fanno guerra alla realtà tentando di essere più grandi della vita.
A "Barbarosa" manca alla fine forse un vero respiro epico e il finale ad un certo punto è un po' troppo prevedibile, ma comunque è un film che non sfigurerebbe troppo accanto ai migliori di Milius.

Risplende invece nella carriera dell'australiano Schepisi, qui al suo primo film americano, in seguito regista sporadicamente interessante ("6 gradi si separzione"), ma troppo discontinuo. Quattro anni prima aveva diretto il duro "The Chant of Jimmie Blacksmith", dramma aborigeno con più di un debito con il western americano più arrabbiato degli anni 70.



Perfetto il mito country Willie Nelson nella parte di Barbarosa. Il suo faccione austero, ma dall'espressione placida, incarna bene l'ambivalenza del suo personaggio, conscio di non essere quello che tutti credono, ma deciso ad interpretare la proria leggenda fino alle estreme conseguenze.
Anche Busey è perfetto, come una specie di gigantesco bambinone che si muove stordito in un mondo fatto di adulti molto più infantili di lui. L'attore s'impegna parecchio e tira fuori una delle sue interpretazioni più sensibili. Un vero peccato che qualche anno dopo, dopo essere rimasto sfigurato in un incidente, scoprirà Gesù e diventerà un insopportabile presenzialista della tv trash americana.
Nela piccola parte della moglie di Barbarosa la mai dimenticata Isela Vega di "Voglio la testa di Garcia".

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