mercoledì 4 aprile 2012

Giulio Petroni 5 - I «Provvidenza»

LA SERIE DI «PROVVIDENZA»
E DI COME UNA RISATA SEPPELLI' IL WESTERN ALL'ITALIANA



L’uscita nelle sale il 22 dicembre 1970 di Lo chiamavano Trinità con il suo incasso di oltre tre miliardi di lire ebbe sul western italiano un effetto tellurico paragonabile a quello di Per un pugno di dollari sei anni prima.
Produttori, registi e attori che dopo l’uscita del film di Leone avevano fatto a gara nell'elargire al pubblico in centinaia di pellicole dosi sempre più massicce di violenza e cinismo all’improvviso presero a dispensare agli stessi spettatori sapide gag e scenette comiche, affossando ben presto il genere sotto il sapore greve della farsa.
Forse il filone stava esaurendo la sua spinta propulsiva, in Italia come in America, e il “fagioli-western” ne fu l’ultimo colpo di coda, ma “quando si arriva alla parodia, alla commedia, vuol dire che un genere sta finendo, che non è più credibile…” (Marco Giusti).
Sta di fatto che la messa in berlina con totale disinteresse e italica superficialità di personaggi e stilemi con i quali ci si era confrontati ad armi pari e sul loro terreno con i maestri americani fu prodromo della totale e completa estinzione da lì a pochi anni di un genere ammirato in tutto il mondo: il western all’italiana.

Anche i maestri dello spaghetti western come Giulio Petroni dovettero loro malgrado adeguarsi alla nuova moda e se non serve sottolineare che nessuno di loro riuscì a replicare l’impareggiabile mix, e tanto meno gli incassi, dei film di Barboni con la coppia Hill-Spencer, la breve serie di “Provvidenza” fu tra i prodotti più dignitosi realizzati sulla scia dei Trinità, soprattutto grazie alla verve e al trasformismo di un grande attore ancora colpevolmente troppo sottovalutato, Tomas Milian.
Petroni si occupò solo del primo film della serie, il più riuscito dei due, mentre il secondo fu affidato ad Alberto de Martino.

1972 LA VITA, A VOLTE, E’ MOLTO DURA, VERO PROVVIDENZA? di Giulio Petroni, con Tomas Milian, Gregg Palmer, Janet Agren, Maurice Poli, Giovanni Cianfriglia, Carla Mancini, Paul Muller, Mike Bongiorno



Ultimo western di Giulio Petroni, anche lui costretto come altri suoi colleghi a cimentarsi nella variante “fagioli” alla Trinità, l’unica a funzionare ancora al botteghino a inizio anni settanta.
Il film tenta palesemente di agganciare lo stesso pubblico che aveva decretato l’enorme successo dei film di Enzo Barboni, mettendo in scena la prevedibile serie di scazzottate, rutti e fagiolate e con il grosso Gregg Palmer che cerca di rifare il personaggio di Bud Spencer, ovviamente non avvicinandovisi nemmeno.
Non c’è nemmeno una vera e propria trama, ma solo un susseguirsi di gag e scenette, alcune simpatiche, altre meno riuscite (molte delle quali sono di Castellano e Pipolo, futuri mattatori delle commedie con Celentano e Pozzetto).
Anche lo spettacolare paesaggio dell’Almeria, così ben utilizzato da Petroni nei suoi precedenti western, è sostituito da fin troppo riconoscibili scenari italiani.
Se il film in qualche modo funziona è quindi soprattutto grazie a Tomas Milian, nel ruolo dell’indovinato personaggio di Provvidenza, una specie di Charlot in versione western, protagonista di una performance buffa e clownesca a base di umorismo surreale e prodezze fisiche da cartone animato.
Puramente decorativa, invece, la partecipazione della svedese Janet Agren e semplicemente delirante quella di Mike Bongiorno, che propone una versione western di Lascia o raddoppia.
La colonna sonora di Ennio Morricone è simpatica e azzeccata, mentre l’ottimo montaggio è di Nino Baragli, montatore di fiducia di Sergio Leone.
Il film ebbe un ottimo successo, tanto che l’anno successivo ne venne prontamente messo in cantiere un seguito, diretto però non da Petroni, ma da Alberto De Martino.
Certo non siamo ai (dis)livelli di Carambola e affini e tra i numerosi emuli di Trinità è sicuramente tra i più riusciti, visto che non gli mancano né un certo garbo né il mestiere da parte di Petroni, però se lo si confronta con i duelli di Da uomo a uomo, il climax rivoluzionario di Tepepa, le atmosfere notturne de La notte di serpenti e la vena tragicomica di …e per tetto un cielo di stelle mette davvero tristezza.

1973 CI RISIAMO, VERO PROVVIDENZA? di Alberto de Martino, con Tomas Milian, Gregg Palmer, Carole André, Rick Boyd, Luciano Catenacci, Angel Ortiz, Yu Ming Lun, Carla Mancini




Spompatissimo sequel del primo Provvidenza di Petroni (che già non è che brillasse per particolare verve...) affidato alle meno dotate mani di Alberto de Martino (che pure qualche buon western serio, come Django spara per primo, lo aveva diretto).
La formula rimane quella del primo episodio, cioè una serie di gag e scenette, tutte abbastanza pietose, cucite tra di loro con lo sputo.
Se il primo capitolo era ancora passabile in questo seguito (messo in cantiere in fretta e furia per bissarne il successo), sempre scritto da Castellano e Pipolo (autori come registi di alcune tra le peggiori nefandezze della commedia anni ottanta), si raschia veramente il fondo del barile, con numeri musicali orrendi, trovatine una più insulsa dell’altra e scenette di quarta mano che non farebbero ridere nemmeno un bambino di sei anni (target a cui il film, a vederlo, pare rivolto).
Di western non rimane più niente, visto che si parla indistintamente in veneto, siciliano e ovviamente romano, compaiono o vengono citati personaggi della televisione del tempo come Nando Martellini e il mago Silvan, ci sono numeri di pattinaggio e di karatè.
Mette davvero tristezza vedere caratteristici storici del genere come Rick Boyd ridotti a fare le macchiette di se stessi.
Ed è davvero un peccato che dopo la decina d’anni nei quali il western italiano aveva aperto una nuova scuola e spopolato ovunque nel mondo non si sia trovato di meglio, e anzi quasi non si sia vista l’ora, di gettare tutto alle ortiche attraverso l’auto-parodia.
Il film avrebbe anche un bel budget, superiore al primo episodio, visto che ci sono scene in Almeria, la fotografia addirittura di Alejandro Ulloa e le musiche di Morricone e Nicolai (la cosa migliore del film), il che rende ancora più inspiegabile come si siano potute sprecare tante risorse per ottenere un risultato così inutile e privo di senso.
Consigliato solo ai fan di Tomas Milian, per vedere il mattatore romano-cubano nella sua ennesima performance versatile e istrionica (anche se pure lui sembra molto meno convinto rispetto al primo episodio). Tutti gli altri si astengano.

Mauro Mihich

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