lunedì 21 maggio 2012

i registi 13 - Joaquìn Luis Romero Marchent 1

JOAQUÌN LUIS ROMERO MARCHENT
Il maestro dimenticato 



Parte 1 - Prima di Sergio Leone

Regista spagnolo, classe 1921, il novantenne Joaquìn Luis Romero Marchent è semplicemente uno dei grandissimi del cinema western, non solo europeo. Autore di grande classe, con una sua affascinante e originale visione del western. Autore che non ha nulla a che fare con l'iconografia tradizionale degli spaghetti western, che anzi ripudiò polemicamente, e che più che ai colleghi italiani va confrontato e messo sullo stesso piano dei maestri americani.

Un maestro quasi totalmente sconosciuto nel nostro paese, dato che sfiorò soltanto il western all'italiana, realizzando i suoi film più belli prima della moda degli "spaghetti" esplosa con i film di Sergio Leone e poi tenendosi lontano dagli schemi del genere per i suoi film successivi. Regista fondamentale per il genere fin dalla sua preistoria, con all'attivo due film del Zorro spagnolo, El Coyote, e altri due con lo Zorro originale (ne dirigerà un terzo negli anni '70). Con la sua trilogia di western incentrata sulla vendetta, tema che ritorna ossessivamente in tutti i suoi film, otterrà un successo strepitoso in Spagna, spianando la strada ai western all’italiana. Sarà un autore fondamentale anche della fase crepuscolare del genere.

Assolutamente da non confondere con il fratello Rafael Romero Marchent, altrettanto prolifico nel genere, ma infinitamente meno dotato.

I suoi western:
1962 TRES HOMBRE BUENOS (I tre implacabili)
1963 EL SABOR DE LA VENGANZA (I tre spietati)
1963 ANTES LLEGA LA MUERTE (I sette del Texas)
1964 AVVENTURAS DEL OESTE (Sette ore di fuoco)
1964 LA MUERTE CUMPLE CONDENA (100.000 dollari per Lassister)
1965 EL OCASO DE UN PISTOLERO (Mani di pistolero)
1967 FEDRA WEST (Io non perdono... uccido)
1972 CONDENADOS A VIVIR (Cut Throats Nine)


1962 TRES HOMBRE BUENOS (I tre implacabili)
di Joaquìn Luis Romero Marchent con Geoffrey Horne, Robert Hundar, Paul Piaget, Turia Nelson, Fernando Sancho

Affascinante primo capitolo della trilogia sulla vendetta. Il protagonista (attenzione: un latino), va in cerca, con un amico pistolero, dei sette assassini che gli hanno ammazzato la moglie. Dopo aver vagato per anni come in "Sentieri Selvaggi" e averne fatti fuori cinque, tornerà al paese per fare i conti con il misterioso capo della banda e, a tempo perso, far piazza pulita di un sindaco e uno sceriffo corrotti che spadroneggiano con la loro banda. Al paese i due troveranno un efficace alleato in un simpatico messicano. Dalla trama può sembrare poco più di un secco e veloce western americano di serie B. E in effetti l'elegantissima regia, il ritmo spedito, le musiche, la fotografia e il tipo di recitazione guardano a quei modelli. Ma c'è qualcosa di più. Per cominciare un' aria funerea, intrisa di tipica melodrammaticità latina, dove tutto è esasperato, con scene tipo il marito che tenta di rianimare il cadavere della moglie (che era pure incinta) e la cui ossessione per la vendetta sarà totalizzante. Mezzi personaggi vestiti di nero, l'ambientazione invernale e la riuscita parte gialla e misteriosa, con un assassino che agisce nell'ombra, completano il tono del film.

C'è qualche particolare bizzarro che anticipa gli "spaghetti": delle spille usate per segnare ogni assassino ucciso, un paio di duelli nel buio di una cantina che nascondono un ingegnoso trucco, l'esasperata sparatoria finale. Il modo di agire dei tre protagonisti ricorda un po' quello del nostrano Tex Willer e dei suoi pards, infatti i personaggi sono tratti da una serie di romanzi western pulp molto nota in Spagna. Unico grosso limite del film, un cast dalle facce anonime, per quanto tutti gli attori siano ottimamente diretti. Fanno macchia, non a caso, due volti che diventeranno tipici degli "spaghetti": il solito, onnipresente, Fernando Sancho, che qui come negli atri due film interpreta dei personaggi insolitamente positivi e l'italiano Robert Hundar (Claudio Undari - un altro grande del nostro western dimenticato), che qui invece fa il cattivo a tutto tondo. Incassò benissimo anche in Italia e fu il primissimo western europeo a vedere una partecipazione italiana. Per ora solo a livello produttivo. Per ora...


1963 EL SABOR DE LA VENGANZA (I tre spietati)
di Joaquìn Luis Romero Marchent con Richard Harrison, Robert Hundar, Gloria Milland, Miguel Palenzuela, Fernando Sancho

Lasciati indietro gli elementi da feuilleton e i toni noir dell’esordio, Marchent dirige mirabilmente un western ancor più “americano” e dall’aria più moderna, ispirato ai classici di Anthony Mann. Assolutamente personali restano gli elementi melodrammatici e quel velo di tristezza e malinconia che ricopre i personaggi. La storia ci mostra come la violenza contamini e marchi a fondo anche l’animo delle vittime. Tre bambini vedono uccidere il padre da dei banditi e la madre li cresce nel culto della vendetta. Cresciuti scelgono tre strade diverse: uno decide di rifarsi una vita, un altro (Richard Harrison) diventa un integerrimo uomo di legge, mentre il terzo (Robert Hundar) diventa un fuorilegge. Quando si tratterà di compiere la vendetta ovviamente sarà scontro fraterno.

La distinzione morale tra i personaggi sfugge il manicheismo, tutti i personaggi hanno più sfaccettature e una psicologia complessa. Il fratello uomo di legge è ossessionato e accecato dalle leggi almeno quanto il fratello fuorilegge è ossessionato dalla vendetta. E il personaggio più affascinante è proprio quello di un imponente Robert Hundar, cinico, cupo, tormentato. Bellissimo anche il personaggio della madre (la bellissima moglie del regista Gloria Milland, che rifulgerà ancora di più nel film successivo), che si rende troppo tardi di aver involontariamente avvelenato l’esistenza dei figli. Splendido il finale triste e melodrammatico. Anche questo film ha un enorme successo. Anche in Italia fa ottimi incassi e qualcuno a Cinecittà comincia a chiedersi cosa succederebbe se si iniziassero a produrre western direttamente nel nostro paese...


1963 ANTES LLEGA LA MUERTE (I sette del Texas)
di Joaquìn Luis Romero Marchent con Paul Piaget, Robert Hundar, Fernando Sancho, Gloria Milland, Jesus Puente, Raf Baldassarre

CAPOLAVORO con tutte le maiuscole del caso. Non solo uno dei più bei western europei, ma un film che merita di essere considerato un classico del genere in generale. Anche uno dei western più sommessamente disperati e malinconici mai girati, con un finale melodrammatico da pelle d’oca. Il riferimento principale mi pare ancora Anthony Mann, ma ormai Marchent vola alto con ali sue, con uno stile e dei punti fermi personali e già riconoscibili.

"Ancora ovviamente molto agganciato al modello classico americano, ma già con alcune notevoli componenti “spaghetti”: una certa crudezza nelle scene violente, con abbondante uso di sangue, una certa aria di disincanto, un certo modo di inquadrare. E poi il bellissimo paesaggio desertico dell’Almerìa, il personaggio di Robert Hundar che si chiama già Ringo, le musiche di Riz Ortolani. C’è già anche Fernando Sancho (qui rinominato per l’occasione Fernand Sancho). In più Marchent ci aggiunge una sua personale concezione autoriale in cui mescola il western con il melodramma, con un uso spinto di un grandissimo romanticismo, però sempre misurato e mai fuori dalle righe, che dona al film un pathos davvero riuscito e coinvolgente.
Su tutta la storia grava, infatti, un’atmosfera di imminente e ineluttabile tragedia, con i protagonisti che sembrano loro malgrado convinti –nonostante siano mossi dai più alti e nobili ideali- che il destino che li aspetta non potrà che essere tragico.
Produttivamente è un film ricchissimo: alto budget, moltissime settimane di lavorazione dalle montagne ai deserti della Spagna, una storia dalla costruzione solida e robusta, con una bella sceneggiatura di buon scavo psicologico, grandi scene di massa (c’è un attacco indiano al forte che da' parecchi punti ai contemporanei western americani) e buoni attori.
Robert Hundar (che è il primo cowboy in assoluto del nostro cinema e per grinta e prestanza fisica una specie di Charlton Heston italiano), ricorda che la scena finale del deserto con i protagonisti senz’acqua è così verosimigliante perché anche gli stessi attori si ritrovarono completamente isolati in Almerìa con i rifornimenti che tardavano ad arrivare." (Mauro Mihich)

Non si sa dove i distributori nostrani hanno contato i sette dell'imbecillissimo titolo italiano (escludendo una macchietta cinese, i protagonisti maschili del film sono nove, o sei se si escludono i tre traditori), la cui insipienza è probabilmente uno dei motivi per cui il film è così poco ricordato da noi. Il titolo originale è meraviglioso: "Arriva prima la morte". Assolutamente da riscoprire.


1964 AVVENTURAS DEL OESTE (Sette ore di fuoco)
di Joaquìn Luis Romero Marchent con Clyde Rogers, Adrian Hoven, Kurt Großkurth, Helga Sommerfeld, Raf Baldassarre, Chris Huerta, Lorenzo Robledo, Gloria Milland

Nel 1964 Marchent commette l'errore della sua vita dirigendo questo suo quarto western (da noi intitolato "Sette ore di fuoco", titolo tra i più fuorvianti considerato che la storia parte addirittura raccontando l’infanzia di Buffalo Bill). Senza minimamente aver colto l'aria dei tempi, Marchent realizza non solo un western ultraclassico, ma un film da museo delle cere, con protagonisti i più polverosi e consunti miti del West: Buffalo Bill, Wild Bill Hicock, Calamity Jane, Nuvola Rossa, prendendosi pure enormi libertà . Il film sparisce rapidamente dalle scene, ma non è l'insuccesso commerciale il vero problema, il peggio è che questo film bolla Marchent come regista improvvisamente "vecchio", con una visione del western ormai superata nell’anno di "Per un pugno di dollari", a cui al massimo affidare solo produzioni di seconda e terza fila...

E per una volta non si può dare del tutto torto ai produttori: il film è davvero "vecchio". Senza la naturale compostezza dei prodotti hollywoodiani che vorrebbe imitare, la sensazione è quella di guardare qualcosa di costantemente fuori fuoco e sbiadito. Sembra un film imbalsamato fin dai titoli di testa, corredati di eroiche illustrazione stile album delle figurine e musichetta pomposa. Segue un'ora e mezza di luoghi comuni da western americano che dovevano sembrare esausti già vent'anni prima, tra carovane di pionieri bonaccioni, fortini pieni di linde giacche blu e praterie brulicanti di infidi indiani massacratori. Ciliegina sulla torta, una retorica anti - indiana decisamente fastidiosa in un film del 1964. Gli unici indiani buoni sono quelli guidati da un bianco, uno convertito al cristianesimo e, ovviamente, quelli morti. Anche se si ha l'impressione che lo stesso Marchent non prendesse troppo sul serio questo suo Far West da parrocchia, con fintissimi ma coloratissimi indiani e riferimenti storici allegramente deformati. La mano del regista si intravede in qualche efficace scena di battaglia, tutte messe in scena con un budget che sembra di tutto rispetto, ma resta di gran lunga l'unico titolo trascurabile dei suoi otto western.

Si ritagliano quasi un film tutto loro i personaggi di Wild Bill Hicock (caratterizzato visivamente come un normalissimo cowboy, senza neanche i celebri baffi) e la Calamity Jane della solita Gloria Milland. Nonostante vengano presentati come due macchiette alcolizzate, sono gli unici due personaggi del film dotati di umanità. Nel descrivere la storia della coppia Marchent ritrova un po' della sua tipica malinconia. Meritavano di essere i protagonisti, molto di più di uno dei Buffalo Bill più monodimensionali e antipatici mai visti.

Continua...

3 commenti:

  1. Senza aprire un post apposito, ché altrimenti questo blog diventerebbe un elenco di necrologi, segnalo che il 17 agosto il grande regista spagnolo Joaquìn Luis Romero Marchent ci ha purtroppo lasciati, all'età di 91 anni.

    E' stato senza dubbio uno dei più grandi maestri dell'Eurowestern, oltre che il primo in assoluto, visto che ha anticipato anche Sergio Leone.

    Per il western spagnolo agosto è stato un mese triste, visto che qualche giorno prima era scomparso anche Sancho Gracia, caratterista di tanti western e indimenticato protagonista assoluto di '800 balas' di Alex de la Iglesia...

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  2. Spero che almeno in Spagna la notizia della scomparsa di un simile maestro abbia avuto un minimo di rilievo.

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