mercoledì 27 febbraio 2013

i film - Oggi a me... domani a te



1968 OGGI A ME... DOMANI A TE! 
di Tonino Cervi, con Brett Halsey, Bud Spencer, William Berger, Wayde Preston, Tatsuya Nakadai

Nonostante sia in genere conosciuto soprattutto per essere stato uno dei primissimi film interpretati da Bud Spencer, per l’occasione con una barba visibilmente posticcia (se l’era tagliata sul set di Al di là della legge, girato immediatamente prima) e doppiato per l’unica volta nella sua carriera da Ferruccio Amendola – tanto che dopo il successo dei Trinità venne rieditato con nuove locandine che mostravano lui come il protagonista principale e il film come una commedia, e anche nelle edizioni per l’home video è sempre Bud a campeggiare in primo piano –, l’unico western di Tonino Cervi è stato rivalutato come merita solo in anni più recenti, e viene attualmente indicato, da Quentin Tarantino in primis, che lo iscrive tra i suoi preferiti, come uno dei migliori revenge western italiani.



La riuscita del film, nonostante il budget poverissimo, deriva da una combinazione probabilmente nemmeno pienamente voluta di diversi fattori, che donano all’opera un’atmosfera stilizzata e rarefatta, assolutamente originale: la sceneggiatura di Dario Argento, che si muove per archetipi e innesta in un canovaccio tipicamente western (dal vendicatore nerovestito alla Django al reclutamento in stile I magnifici sette) twist e situazioni inusuali per il genere – a partire dalla fascinazione per le armi da taglio, che ritornerà in tutti i suoi thriller –, la fotografia di Sergio D’Offizi, già operatore di Ognuno per sé, che riesce a trasfigurare un bosco appena fuori Roma in luogo surreale e fantasmatico, e soprattutto la presenza dell’attore giapponese Tatsuya Nakadai, interprete di tanti film di Akira Kurosawa, che è il vero perno attorno a cui ruota il film, protagonista di una performance nevrotica e isterica di notevole spessore.



La storia è semplicissima e tutta a base di luoghi comuni, il che per un western non è mai un gran problema. Il tono scarno è talmente efficace che si perdona volentieri qualche ingenuità. Quasi metà film è occupato dal reclutamento della banda dei giustizieri, è la parte migliore, laconica e molto divertente. Più prevedibile la seconda parte tutta ammazzamenti, ma ci sono comunque ottime idee e sequenze di gran fascino anche in questa.

Il cast è una gioia per gli occhi, almeno per gli appassionati del genere. Bud Spencer ha degli ottimi momenti, come la sua entrata in scena o il duello con Nakadai. La sequenza in cui rompe il bicchiere in mano ad un tizio è probabilmente la più violenta della sua carriera, ma c’è anche una sua scazzottata quasi stile Trinità con un oste interpretato da Remo Capitani. L'infiorettato e sempre affascinante William Berger è il solito spasso nella parte del pistolero dandy e ha una sua bella presenza anche l'americano Wayde Preston nei panni di un pistolero dall'aria più classicamente hollywoodiana. Brett Halsey aveva il fisico per fare il beccamorto alla Django, ma è un bene che tutto sommato lui e il suo personaggio non siano il fulcro del film. L'unico personaggio un po' sfocato e in secondo piano è il quinto del gruppo di giustizieri, il più giovane.
Ma come già scritto il piatto forte del film è la presenza magnetica e straniante di Tatsuya Nakadai, che porta negli spaghetti la tipica recitazione giapponese, fisica e spiritata. La sua morte è un gran momento di cinema.

Splendida, come detto, la fotografia, con paesaggi invernali e boschi spogli (il film è stato girato in pieno gennaio e si vede) che danno al film un'aria spettrale, da racconto gotico. Molto riuscite anche le scenografie, di Carlo Gerasi, in ricercato stile vittoriano e i costumi, molto particolari.
Non sempre a registro invece la musica di Angelo Lavagnino, a tratti troppo allegra.



Tonino Cervi, figlio del grande attore Gino e già famoso come produttore (tra gli altri di Deserto rosso di Antonioni, un clamoroso fiasco che lo costrinse a buttarsi nel cinema commerciale), al suo esordio dietro la macchina da presa dimostra una sicurezza e un mestiere da consumato professionista, e lasciando in secondo piano dialoghi e disegno psicologico dei personaggi cura la pellicola sotto l’aspetto figurativo, donandole un climax fantastico e bizzarro, che la rende quasi un’opera cerniera tra gli spaghetti western e i chambara giapponesi.



Il duello finale, assolutamente atipico per il genere, vede Halsey e Nakadai fronteggiarsi immobili in silenzio uno di fronte all’altro per un tempo lunghissimo – quasi mezzo minuto – proprio come i due samurai nel finale del Sanjuro di Kurosawa; e dato che Nakadai era protagonista anche di quel duello ci è difficile pensare che la cosa possa essere casuale.


Infine, non vorremmo passare per quegli appassionati di un genere che vedono riferimenti e citazioni anche dove non ci sono, ma il flashback girato in bianco e nero in cui si vede l'uccisione della moglie del protagonista, sia nel tono che nella strana luminosità, ricorda davvero moltissimo le sequenze nella chiesa di Kill Bill, dell'onnipresente Tarantino.

  
M.Mihich & T.Sega

2 commenti:

  1. Buon film. Visto per la prima volta da bambino su 7Gold (ai tempi in cui il venerdì sera trasmettevano spesso e volentieri dei sani "spaghetti"), ricordo la strana sensazione che mi diede sentire Bud Spencer con una voce diversa dalla "sua".

    p.s.: nei prossimi giorni mi rifaccio sentire anch'io, promesso. ;)

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  2. Anch’io l’ho visto per la prima volta da bambino, attirato dalla presenza di Bud Spencer, per cui all’epoca nutrivo una specie di mania. Ricordo bene che, convinto di trovarmi di fronte a un classico western spenceriano a base di fagioli e cazzotti, mi deluse tantissimo e lo trovai noioso e un po’ ridicolo, oltre che povero a tal punto che mi sembrò girato nel bosco dietro casa.

    Rivisto in tempi più recenti, in un’edizione dvd con la fotografia dai colori sfavillanti, ho avuto invece modo di apprezzarlo appieno come western; anzi, prima di pubblicare la recensione mi sono rivisto tutta la parte finale, per verificare le analogie col 'Sanjuro' di Kurosawa, e devo dire che ha ancora più fascino di come lo ricordavo.

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