venerdì 17 maggio 2013

Io sono Valdez


1971 IO SONO VALDEZ (VALDEZ IS COMING)
di Edwin Sherin, con Burt Lancaster, Susan Clark, Richard Jordan, Jon Cypher, Hector Elizondo, Frank Silvera

Bob Valdez, un vice-sceriffo messicano bonaccione e un po’ ottuso, si mette in testa di risarcire la vedova indiana di un ex-soldato di colore da lui ucciso per legittima difesa dietro errata segnalazione del Signor Tanner, un ricco trafficante della zona, che lo aveva indicato come assassino e disertore. Viene prima preso in giro, poi minacciato e infine crocifisso a una croce di legno e abbandonato nel deserto. Salvatosi per miracolo imbraccia le armi e ritorna da Tanner per chiedere i soldi, e per convincerlo a pagare rapisce la sua donna. Ha inizio quindi la caccia a un Valdez che nessuno conosceva, con un passato di scout e cacciatore di apaches tra i più pericolosi e sanguinari...

Elmore Leonard è uno scrittore che, a seconda delle opinioni, viene considerato alternativamente uno dei più grandi autori americani contemporanei oppure solo un mestierante abile nel dare al pubblico emozioni forti a buon mercato. Senza volerci addentrare nella questione ci limitiamo a constatare come buona parte dei suoi più di cinquanta romanzi sia stata adattata per il cinema, rendendolo di fatto uno dei romanzieri più saccheggiati di sempre dalla settima arte (in questa classifica Stephen King resta probabilmente inavvicinabile).
Il momento di maggior gloria cinematografica Leonard lo ha probabilmente vissuto all’inizio degli anni novanta, quando dopo la trasposizione da parte del (solito) Quentin Tarantino del suo romanzo Rum Punch nel film Jackie Brown c’è stato un rinnovato interesse per la sua narrativa da parte della nuova corrente cinematografica pulp-noir, che portò alla realizzazione di film come Out of Sight, Get Shorty e Be Cool. I thriller dell'autore erano comunque stati oggetto di riduzione cinematografica già fin dagli anni settanta (con titoli come Io sono perversa, I contrabbandieri degli anni ruggenti, A muso duro, Scherzare col fuoco, 52 gioca o muori, Oltre ogni rischio...).

Quello che non tutti sanno è che anche se è divenuto famoso come scrittore di crime novels Elmore Leonard nasce come autore western, genere a cui si è dedicato ininterrottamente dal suo primo romanzo degli anni cinquanta fino agli anni settanta, prima che il genere cominciasse a declinare anche nella narrativa. E anche in questa sua meno conosciuta veste gli adattamenti per il grande schermo si sprecano, e non certo in film di poco conto: I tre banditi, Quel treno per Yuma, Hombre, Joe Kidd...
Esemplificativo del successo di Leonard come narratore western e di quanto i suoi lavori venissero tenuti in considerazione dall’industria cinematografica è il romanzo Arriva Valdez del 1970 (pubblicato in Italia nella benemerita collana dei tascabili western della Longanesi), tratto da un suo precedente racconto (pubblicato da Einaudi nella raccolta Tutti i racconti western), che venne trasposto in pellicola già l’anno immediatamente successivo alla sua pubblicazione.



Calato in piena estetica crepuscolare il film Io sono Valdez (il titolo italiano perde tutto il significato minaccioso dell’originale) è uno dei numerosi western americani girati in Spagna negli anni settanta e segue molto fedelmente, replicandone scene e dialoghi spesso parola per parola, il racconto d’origine, permettendosi solo qualche minima variazione, come quella di eliminare la love story tra il protagonista e la donna da lui rapita – non a caso la parte più debole del romanzo – e modificando parzialmente il finale, che nella pellicola si chiude, con un anticlimax tipico del periodo, in un fermo-immagine che nega allo spettatore il duello conclusivo, commentato solo dalla voce-off del protagonista (da verificare però in lingua originale, perché negli anni settanta i finali di vari western vennero arbitrariamente modificati perché poco ortodossi, vedi Costretto ad uccidere o Lo straniero senza nome).



Si tratta di un western robusto e brutalmente efficace – del resto con un soggetto talmente convincente e strutturato era difficile realizzare un brutto film – anche se la regia del debuttante Edwin Sherin, pur diligente e onesta, non brilla per inventiva e il film non riesce ad elevarsi dallo status di dirty western di serie B, seguendo una traiettoria piuttosto semplice di causa-effetto basata sulla caccia all’uomo (cosa comune a molti altri western dei seventies) e sulla ribellione della persona mite e in apparenza inoffensiva (tematica allora in auge grazie a film come Cane di paglia), nonostante le velleità di partenza fossero probabilmente ben altre, visto che il regista inizialmente incaricato del progetto era addirittura Sidney Pollack.
Nel ruolo di Valdez, inoltre, era inizialmente previsto Marlon Brando mentre Burt Lancaster doveva limitarsi ad interpretare l’antagonista. Dopo il rinvio del film a causa delle riprese di Airport Lancaster, che era anche il coproduttore della pellicola, decise di riservare per sé il ruolo del protagonista e di chiamare, del tutto a sorpresa, come regista Sherin, un autore teatrale di Broadway famoso al tempo per aver portato al successo la pièce di Per salire più in basso (la cui versione cinematografica venne curiosamente diretta in Almeria nello stesso periodo da Martin Ritt) e che al cinema non farà poi più nulla.



Oltre che per la storia e i dialoghi asciutti ed efficaci Burt Lancaster in una delle ultime interpretazioni di una straordinaria carriera western è un’altra delle ragioni per vedere il film: con lo stesso look con i baffi di Nessuna pietà per Ulzana dell’anno successivo dà vita a un’interpretazione memorabile e, nonostante la statura e gli occhi azzurri lo rendano poco credibile come messicano, è convincente sia nell’iniziale incarnazione bonaria e remissiva di Valdez che in quella spietata e sanguinaria successiva, dimostrando di essere un magnifico attore western anche nei ruoli laconici ed essenziali della maturità come nelle sue esuberanti interpretazioni giovanili (basti ricordarlo in Vera Cruz).

Anche il resto del cast, pur non contando su grandi nomi, è decisamente all'altezza: i bravi caratteristi Jon Cypher e Richard Jordan, al loro primo film, Frank Silvera nella sua invece ultima interpretazione e la bella Susan Clark nel ruolo della donna rapita, che consente al regista di spingere un po’ sui tasti del lato exploitation del film, come sottolineato dalla stampa dell’epoca.

1 commento:

  1. In un'epoca dove i capolavori western erano ancora parecchi Io sono Valdez può sembrare piuttosto debole ma in realtà è comunque più che discreto (per dire si mangia senza problemi acclamati western dell'ultimo decennio come Appaloosa o Quel treno per Yuma).
    Il problema come detto è la regia di Sherin, troppo indecisa e poco robusta.
    In mano non dico a un Peckimpah ma un Michael Winner, capace di infondere alla storia il giusto ritmo e di dosare alla grande cinismo e violenza, avremmo avuto probabilmente un capolavoro a livello di Chato e Io sono la Legge.
    Interessante sarebbe stato anche vedere Brando come protagonista anche perchè il ruolo, sicuramente più adatto a lui che al comunque ottimo Lancaster, gli avrebbe permesso di sfogare alla grande il suo ben noto sadomasochismo.

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