mercoledì 9 maggio 2012

i registi 12 - Clint Eastwood

CLINT EASTWOOD
L’eroe dei due mondi



"Tu sei William Munny del Missouri. Hai ucciso donne e bambini."
"Si. Ho ucciso donne e bambini. Ho ucciso qualunque cosa potesse camminare o strisciare. E ora sono qui per uccidere te..."
Gli spietati

Vincitore di due premi Oscar come miglior regista, Clint Eastwood viene attualmente considerato, con ragione, uno dei più grandi autori del cinema mondiale e universalmente indicato come l’ultimo erede del cinema classico americano, ma il percorso per arrivare a questa agnizione è stato ripido ed avventuroso, oltre che legato a filo doppio con il western.
Attore di secondo piano in una delle numerose serie televisive western statunitensi dell’inizio degli anni sessanta, Rawhide, fu scelto da uno sconosciuto regista italiano, Sergio Leone, per il ruolo da protagonista di un film western "di recupero" da girare in poche settimane in Spagna, Il magnifico straniero, che nelle intenzione di autori e produttori non doveva oltrepassare i confini del suolo italico (ragione per cui nessuno pensò di pagare ad Akira Kurosawa i diritti di sfruttamento del copione de La sfida del samurai, a cui il film si rifaceva).
L’inatteso successo italiano e poi mondiale di quel film, ribattezzato prima dell’uscita Per un pugno di dollari, e dei due successivi capitoli di quella che venne poi chiamata "trilogia del dollaro" aprì allo sconosciuto Eastwood le porte della popolarità e tornato in America egli seppe scegliere con molta attenzione i ruoli da interpretare e gestire con oculatezza la nuova dimensione da star, tanto da riuscire nel giro di pochi anni a fondare una propria piccola casa di produzione, la Malpaso, con la quale produrre, e successivamente anche dirigere, i suoi film come attore.

L’accettazione critica di Eastwood è stata altrettanto lunga e complicata. Snobbato, se non proprio irriso e disprezzato, dalla stampa e dalla critica per tutti gli anni settanta e ottanta, per l’immagine da macho e la filosofia anarcoide di personaggi come il celebre ispettore Callaghan, e nonostante intimistici ritratti di perdenti votati alla sconfitta e all’autodistruzione come Honkytonk Man e Bird, il regista ha dovuto attendere un altro film western per essere sdoganato e riconosciuto finalmente come Autore. Gli spietati ha costituito di fatto per Eastwood l’inizio della seconda parte della sua carriera cinematografica, quasi una negazione dell’epigrafe di Francis Scott Fitzgerald messa in apertura a Bird, secondo cui "non esistono secondi atti nella vita degli americani".

1973 LO STRANIERO SENZA NOME (High Plains Drifter) di Clint Eastwood, con Clint Eastwood, Verna Bloom, Marianna Hill, Mitchell Ryan, Jack Ging, Geoffrey Lewis


High Plains Drifter è il più allegorico e bizzarro dei western di Eastwood, oltre che il più intimamente legato alle atmosfere e ai dettami di Sergio Leone e della scuola dei western italiani.
Il personaggio archetipico dello "straniero senza nome" viene qui trasceso e stilizzato fino alle estreme conseguenze, tanto da suggerire l’ipotesi che lo spietato vendicatore protagonista della pellicola non sia altro che il fantasma dello sceriffo ucciso anni prima tornato dal passato per compiere la sua spietata vendetta. Una risoluzione niente affatto ortodossa, se si pensa che il doppiaggio italiano modificò arbitrariamente il finale del film, per proporre la più canonica spiegazione che il protagonista fosse in realtà il fratello dell’ucciso.
Alla sua seconda prova registica Eastwood dimostra di possedere uno stile già sicuro e personale, permettendosi scelte stilistiche originali e notevoli aperture visionarie, come il paese colorato interamente di rosso e rinominato "Hell", che donano alla pellicola un’atmosfera oscura e surreale.
Con il suo cinismo e nichilismo il film è a suo modo anche eretico se non oltraggioso verso le convezioni del genere, e può essere interpretato come una versione rovesciata di Mezzogiorno di fuoco, con lo sceriffo che lascia ammazzare gli inermi cittadini anziché salvarli, tanto che John Wayne, fino ad allora ammiratore e incoraggiatore di Eastwood, scrisse al regista una lettera di disapprovazione, accusandolo di tradire lo spirito e gli ideali dei pionieri americani. In tempi di critica ideologica la libertà espressiva che già dimostrava Eastwood era probabilmente ancora intollerabile.

1976 IL TEXANO DAGLI OCCHI DI GHIACCIO (The Outlaw Josey Wales) di Clint Eastwood, con Clint Eastwood, Sondra Locke, Chief Dan George, Bill McKinney, John Vernon, Paula Trueman, Geraldine Keams, Royal Dano


The Outlaw Josey Wales è il più epico, lirico ed ironico dei western di Eastwood e nonostante sia anche tra i più complessi e stratificati, oltre che indubbiamente tra quelli più convincenti e riusciti, inizialmente non doveva esserne lui l’autore.
Il film fu iniziato da Philip Kaufman, notato da Eastwood nel crepuscolare La banda di Jesse James, autore anche della sceneggiatura, che venne licenziato dopo due settimane di riprese per inconciliabili divergenze artistiche e sostituito in prima persona dall’attore (cosa che ebbe degli strascichi e costrinse il sindacato dei registi a emanare una norma secondo cui non fosse più possibile che un regista venisse allontanato e rimpiazzato da un interprete dello stesso film: qualche anno più tardi in una situazione del tutto analoga, per il film Corda tesa, Eastwood dovette infatti lasciare la paternità della pellicola al regista inizialmente designato, Richard Tuggle).
Con questa pellicola Eastwood prende le distanze dai precetti leoniani de Lo straniero senza nome (tanto che il titolo originale riporta programmaticamente nome e cognome del protagonista) fino a giungere, pur attraverso un percorso del tutto anticlassico e antiromantico, nei territori dei western di John Ford e Anthony Mann.
Più fedele all’etica, alla tradizione e al formalismo del genere il film si distingue tra gli altri western di Eastwood anche per essere storicamente ben documentato, per la durata inconsueta di 135 minuti e per la grande varietà di personaggi e ambientazioni.
Il protagonista non è più un uomo senza nome, ma un inquieto antieroe ferito nell’anima e pieno d’odio che intraprende un lungo percorso di ricerca interiore e di redenzione che lo porterà infine a rinnegare il suo individualismo, e pur essendo la sua una parabola molto violenta si chiude con un messaggio pacifista di riconciliazione e tolleranza, che non sarebbe dispiaciuto al John Ford di Sentieri selvaggi.

1985 IL CAVALIERE PALLIDO (Pale Rider) di Clint Eastwood, con Clint Eastwood, Chis Penn, Michael Moriarty, Carrie Snodgress, Richard Dysart, Sydney Penny, Richard Kiel, Charles Hallahan


Remake non dichiarato de Il cavaliere della valle solitaria, Pale rider è anche la scommessa vinta da Eastwood di riuscire a girare un western adulto e di successo nel decennio più oscuro per il genere, dove gli unici tentativi in tal senso erano rivisitazioni puerili come Silverado o prodotti giovanilistici e superficiali come Young Guns.
E’ anche l’attualizzazione in chiave ecologista del film di George Stevens, con una chiara critica alla disumanizzazione della società organizzata e industriale, simboleggiata dagli idranti dei cercatori d’oro di stampo capitalistico che sfruttano e devastano le montagne mentre le piccole comunità di minatori, microcosmi sempre osservati con benevolenza dall’autore, sono destinate a soccombere all’avanzata del "progresso".
Il film è anche un’ulteriore evoluzione del personaggio dello straniero senza nome, che da fantasma vendicatore assume una dimensione ancora più astratta e metafisica, apparendo ora quasi come l’incarnazione di Dio in persona.
"Il quarto cavaliere aveva nome Morte e l'Inferno lo seguiva" è l’esergo biblico che apre il film, che calato in una livida luce invernale e denso di simbologie religiose propone l’attore nelle vesti di vero e proprio cavaliere dell’apocalisse.
A questa atmosfera fantastica Eastwood contrappone il solito stile spoglio e realistico, pienamente calato nella grande tradizione del genere ma sempre personale e riconoscibile, con accenti se possibile ancora più cupi e autunnali, come nella magistrale sequenza d’apertura, tra le più belle dirette da Eastwood nella sua carriera.

1992 GLI SPIETATI (Unforgiven) di Clint Eastwood, con Clint Eastwood, Gene Hackman, Morgan Freeman, Richard Harris, Jaimz Woolvett, Frances Fisher, Anna Thomson, Saul Rubinek


Ad inizio degli anni novanta la carriera di Eastwood aveva imboccato una parabola discendente. I suoi tentativi autoriali, Bird e Cacciatore bianco, cuore nero, erano stati ignorati, se non scherniti, dalla solita critica cieca e prevenuta mentre i suoi film "di cassetta", il ritorno dell’ispettore Callaghan Scommessa con la morte e La recluta, si erano rivelati dei clamorosi tonfi al botteghino. Per l’attore-regista si stava quindi prospettando la stessa discesa nell’anonimato che aveva colpito altre icone maschili della Hollywood degli anni settanta come Burt Reynolds e Charles Bronson, sostituite nelle preferenze del pubblico da eroi gonfiati con gli steroidi e grondanti retorica reaganiana come Sylvester Stallone o Arnold Schwarzenegger. A salvare e rilanciare la carriera di Eastwood fu, ancora una volta, il western.
Il regista decise che i tempi fossero ormai maturi per tirare fuori dal cassetto una vecchia sceneggiatura di David Webb Peoples (Blade Runner) da lui opzionata ancora nei primi anni ottanta, The William Munny Killings.
Con il titolo modificato in Unforgiven questa si trasformò in uno dei film di maggior successo di Eastwood (più di cento milioni di dollari di incasso nei soli Stati Uniti), quello che mandò in estasi la critica che reiterò all’infinito nei suoi confronti il termine "capolavoro" e sembrò improvvisamente accorgersi del regista, tanto da portare in poco tempo a un clamoroso ribaltamento d’opinione nei suoi confronti, e quello che gli fece ottenere quattro premi Oscar, tra cui quelli per il miglior film e il miglior regista.
Gli spietati era nelle intenzioni di Eastwood il suo ultimo western, e in effetti è difficile pensare a qualcosa di più definitivo e radicale, non solo nell’ottica della filmografia del regista, ma riguardo all’intero genere. Eastwood con questo film non solo prende diametralmente le distanze dal western classico, mostrando quanto il vero volto del Mito sia miserabile e disperato, ma rifiuta anche le istanze dei western revisionisti diretti da Leone, Peckinpah e da lui stesso, in cui l’esasperazione della violenza e l’aumento esponenziale del numero dei morti ammazzati erano state sanguinose costanti. L’uccisione di altri essere umani in Gli spietati diventa atto un grave ed enorme, pregno di significati e conseguenze, tanto che il film si prefigura come una potente riflessione sulla violenza, avvolta da un pessimismo di fondo in cui si smarriscono completamente i concetti di innocenza e redenzione, e anche il classico e coreografico riscatto finale del protagonista nella notte da tregenda stavolta ha i toni dell’apocalisse. "Non merito di morire in questo modo" piagnucola Gene Hackman steso sul pavimento del saloon, "In questa storia i meriti non c’entrano" sibila Clint, prima di scaricargli il canne mozze dritto in faccia.
Mauro Mihich

4 commenti:

  1. La grandezza dei western di Eastwood sta anche nella loro unicità. Pur ovviamente ricchi di riferimenti ad altri film, non assomigliano a quelli di nessun altro, erano dei prodotti isolati nelle epoche in cui uscirono e di fatto non hanno mai avuto dei successori.

    "Il cavaliere pallido" ricordo che mi feci portare da mio padre al cinema a vederlo, avevo 11 o 12 anni, che nessun mio compagno di classe o amico si sarebbe mai sognato di veder un western. Non posso dire che mi entusiasmò (troppo strano e ambiguo), ma la ricordo come una delle mie esperienze più potenti in una sala cinematografica, con quella fotografia cupa, quelle atmosfere rarefatte, i personaggi spettrali. Ma soprattutto non mi si scollò per mesi dalla testa la morettina Sydney Penny.

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  2. La stupenda frase finale che William Munny rivolge a Little Bill prima di accopparlo fa il paio con l'altrettanoto memorabile dialogo tra la prostituta e lo sceriffo dopo il sanguinoso pestaggio inflitto da quest'ultimo al personaggio di Eastwood:
    "Little Bill hai massacrato un uomo innocente"
    "Innocente di cosa?"

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  3. "La grandezza dei western di Eastwood sta anche nella loro unicità. Pur ovviamente ricchi di riferimenti ad altri film, non assomigliano a quelli di nessun altro, erano dei prodotti isolati nelle epoche in cui uscirono e di fatto non hanno mai avuto dei successori."

    Già!

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  4. Ma veramente "Bird" è stato snobbato in generale negli States!?! Però Clint Eastwood ha vinto un golden globe per la miglior regia!

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