venerdì 22 febbraio 2013

i registi 19 - José Antonio de la Loma

Due piccoli western senza eroi

Prolifico sceneggiatore, direttore di produzione e regista José Antonio de la Loma ha attraversato quasi cinquant'anni di cinema spagnolo senza lasciare grandi tracce dietro di sé, almeno da noi in Italia. Nel western come sceneggiatore firmò tredici pellicole, soprattutto come assiduo collaboratore dei tre fratelli Balcázar, produttori e registi che furono delle autentiche colonne del versante più spagnolo degli "spaghetti". Tredici film di solida serie B che probabilmente vedono come titolo più interessante quello di "Professionisti per un massacro" di Nando Cicero. Come regista nel genere ha invece diretto solo due misconosciuti, ma interessanti filmetti, che curiosamente si collocano agli estremi della parabola commerciale degli spaghetti western, agli albori del genere subito dopo "Per un pugno di dollari" e al suo crepuscolo quando ormai il filone era degenerato nel comicarolo.



1965 Perché uccidi ancora?
di José Antonio de la Loma [e Edoardo Mulargia] con Anthony Steffen, Evelyn Stewart, Aldo Berti, Gemma Cuervo, José Calvo, Hugo Blanco, José Torres, Ignazio Spalla

Come a volte capitava all'epoca il film ha una doppia attribuzione per la regia. Nelle copie spagnole è firmato da de la Loma, in quelle italiane da Edoardo Mulargia. Per spirito campanilista in Italia il film passa in genere come l'esordio nel genere del regista italiano, ma si fatica ad attribuire a Mulargia (regista sgangherato come pochi, pur non privo di sporadiche alzate d'ingegno) la compostezza classica e quasi americana del film. Inoltre sembrano molto spagnoli anche il tono melodrammatico di molte sequenze e il sottofondo vagamente morale della vicenda. Ipotizziamo che a Mulargia possano essere attribuite forse le numerose sequenze di sparatorie a cavallo, che in effetti sembrano girate da una mano diversa rispetto al resto del film, con l'uso frequente della cinepresa a mano, caratterizzate da un montaggio più frenetico e inquadrature più moderne.

Realizzato sulla scia di "Per un pugno di dollari", Perché uccidi ancora? è uno dei primi titoli del filone interamente basati sul poi iper-sfruttato canovaccio del protagonista che deve massacrare in serie un certo numero di personaggi per vendicare un delitto visto all'inizio del film. Anthony Steffen, al suo secondo "spaghetti" da protagonista dopo "Una bara per lo sceriffo", funziona particolarmente bene. Parla poco e la sua nota inespressività ben si adatta al carattere di un personaggio con una sola idea fissa in testa.



La trama è per molti versi una variante di quella del primo western di Leone, con la novità che il protagonista non è il terzo incomodo tra due famiglie nemiche, ma l'unico rappresentante combattente di una delle due parti in causa. Nel prologo suo padre viene legato ad un albero e poi massacrato da ben ventisette pistoleri che gli sparano un colpo a turno - non abbiamo tenuto il conto se poi il protagonista nel corso del film ne ucciderà esattamente ventisette, ma occhio e croce dovremmo esserci. In pratica è la storia di una faida tra due famiglie e la cosa interessante è che i torti non stanno solo da una parte. Accecato dalla sua ossessione per la vendetta il protagonista non ascolta ragioni e non è meno crudele dei suoi avversari. In una scena accoppa il figlio del cattivo e gli scarica il cadavere davanti a casa. Le sole dotate di buon senso in un universo maschile votato al massacro reciproco sono le due uniche donne del film, che cercano melodrammaticamente di far desistere i loro uomini dai loro propositi di vendetta. Una, innamorata del protagonista nonostante sia la figlia del boss del clan avversario, viene ammazzata a sangue freddo, l'altra (la sempre bellissima Evelyn Stewart / Ida Galli), che è la sorella del protagonista, subirà curiosamente al posto del fratello il rituale pestaggio nel prefinale dei western all'italiana. Il sacrificio delle donne umanizzerà il fin lì scostante protagonista, tanto che per ammazzare l'ultimo dei cattivi e salvarsi deve farsi aiutare dalla sorella e da un sicario pentito.

Gli autori non avevano ancora assimilato le novità stilistiche del cinema di Leone e quindi il film ha ancora un'aria molto naif, ma alcune idee avevano già attecchito: l'esasperazione della violenza, una crudeltà diffusa, le sparatorie fulminee, la visione di un west polveroso e desolato, un protagonista glaciale e implacabile.
I limiti evidenti della pellicola sono una dignitosa, ma plateale, povertà di mezzi e una storia quasi inesistente. Praticamente tutto il film non è altro che una serie di duelli, agguati e inseguimenti, con i personaggi che sembrano entrare in scena un po' per caso e poi morire quando capita. Il tutto è girato però abbastanza decorosamente da essere divertente.



1972 Nevada (El más fabuloso golpe del Far-West)
di José Antonio de la Loma con Mark Edwards, Fernando Sancho, Carmen Sevilla, Charly Bravo, Piero Lulli, Frank Braña, Yvan Verella, Barbara Carrol, Fernando Bilbao

Se il film precedente gode di un minimo di notorietà presso i cultori del genere, almeno per via della presenza di Steffen, il secondo western di de la Loma da regista è stato ignorato all'epoca e poi è caduto nel dimenticatoio. La cosa non stupisce più di tanto, dato che il film uscì in piena mania di "fagioli western", con i sempre più rari western seri relegati alle produzioni di serie Z. Non solo Nevada non era un western comico, ma era un raro esempio di western europeo influenzato dal filone crepuscolare e revisionista del cinema americano dell'epoca. A cominciare da una livida e affascinante ambientazione invernale, tra boschi coperti di neve e una cittadina dalle strade infangate.

La storia è quella di una rapina in banca. Non proprio "il più favoloso colpo del Far West" come prometteva il roboante titolo spagnolo, ma un buon colpo. Per metterlo in atto i banditi devono scavare un tunnel sotto la città, mescolandosi nel frattempo alla vita dei paesani. Quindi c'è tutta una prima parte corale e di attesa, priva di un protagonista centrale e d'azione, con il tentativo particolare, per un western europeo, di ricostruire sullo schermo con una certa credibilità la vita quotidiana di un paese del vecchio west (limiti di budget permettendo). Nessun attore di spicco, ma ci sono molti noti faccioni da caratteristi nel cast, il che accentua ulteriormente l'aria crepuscolare del film. I più conosciuti sono quelli di Fernando Sancho (che nonostante il consueto sombrero interpreta per una volta un personaggio diverso dai suoi soliti), Piero Lulli e Frank Braña. L'australiano Mark Edwars, il capo dandy della banda, era invece un novizio degli spaghetti western.



Nonostante il buon cast, i personaggi e i dialoghi non sono però molto interessanti e alcuni particolari sopra le righe durante la rapina stridono con il tentato realismo della messa in scena. Quel che funziona di più è la parte ironica con Fernando Sancho che prende sotto la sua protezione una bella e prosperosa ragazzina, ma è combattuto tra il portarsela a letto o il fargli da figura paterna. Quel che funziona meno è tutta una manfrina sulla rivalità tra due sorelle, una puttana e l'altra maestrina, entrambe amanti dello stesso bandito, una linea narrativa che poi si rivelerà di scarso peso nella trama. Probabilmente era giusto la scusa per qualche vaghissimo ammiccamento erotico.

Dopo la rapina a metà film i banditi fuggono dal paese e si danno appuntamento al loro rifugio in montagna. Qui inizia la parte più interessante del film, che si trasforma in una variante western di "Dieci piccoli indiani", dato che il bottino sparisce e qualcuno di loro inizia a far fuori gli altri per non spartire. Non avendo potuto identificare un protagonista lo spettatore non può prevedere chi muore o fare particolari ipotesi sull'identità dell'assassino, quindi il film riesce a piazzare lì un bel paio di colpi di scena, fino ad arrivare ad un finale particolarmente beffardo che si ricollega alla prima parte. A impreziosire il tutto c'è la magnifica ambientazione innevata, con diverse sequenze girate sotto autentiche e fitte nevicate, con gli attori che arrancano realmente in  un metro e mezzo di neve.

1 commento:

  1. Non ho visto nessuno dei due e confesso che anche il nome del regista, prima di questa scheda, mi risultava sconosciuto. Il secondo sembrerebbe quello più interessante, per l’ambientazione invernale, le atmosfere crepuscolari e per essere di fatto uno degli ultimi esemplari di western europei “seri”, girato in un periodo in cui tutti si buttavano nella farsa, più o meno greve...

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