domenica 7 ottobre 2012

i film 48 - Pronti a morire


1995 PRONTI A MORIRE (The Quick and the Dead)
di Sam Raimi. Con Gene Hackman, Sharon Stone, Russell Crowe, Leonardo DiCaprio, Gary Sinise, Tobin Bell, Roberts Blossom, Kevin Conway, Keith David, Lance Henriksen, Pat Hingle, Woody Strode


Diciamo che all'epoca fu una delusione piuttosto clamorosa. Le attese erano alte. Intrigavano il titolo originale, un'idea di base sulla carta parecchio divertente, un cast da grandi occasioni e soprattutto intrigava il nome di Sam Raimi alle perse con il western. A ripensarci oggi suona strano, ma all'epoca Raimi era considerato da molti "il" piccolo genio del cinema di genere indipendente americano, affine e complementare ai suoi amici fratelli Coen (assistenti di scena del primo "Evil Dead / La casa"). Al di là di come si possono giudicare i film di Raimi da "The Gift" in poi, è evidente che il suo nome è ormai associato a tutt'altro tipo di cinema e a tutt'altro pubblico. 

Ma all'epoca intrigava ancora leggere Raimi che nelle interviste dichiarava il suo amore per il western e diceva di volersi rifare a film come "Django" e "Per un pugno di dollari". Visto che solo un paio d'anni prima aveva diretto lo spassosissimo "L'esercito delle tenebre", demenziale e amorevole omaggio al cinema fantastico di serie B, in molti si aspettavano il corrispettivo western di un film come quello, quindi uno spettacolo altrettanto cinetico, ironico e travolgente. Invece al cinema ci si trovò di fronte ad un film né carne né pesce, anche ben fatto, ma con troppi dialoghi, troppi indugi narrativi, troppi attori che non sembravano avere le facce giuste al posto giusto e - a dirla tutta - troppi pochi morti ammazzati. Almeno relativamente a quelli che uno può attendersi se si citano Leone e Corbucci come modelli. Aveva anche il difetto di molti western girati nei 90, quello di voler delineare troppi personaggi e seguire troppe linee narrative. Insomma non un brutto film, ma aveva tutta l'aria di una grande occasione sprecata.


Il tempo è al solito galantuomo. Rivedendo "Pronti a morire" a distanza di anni quei non lievi difetti restano, ma forse pesano meno di quel che sembrava allora. Cambia molto innanzitutto poterlo vedere senza il criminale doppiaggio italiano che, tra le tante cose che rovinava, banalizzava ulteriormente la già problematica interpretazione di Sharon Stone. 

Il personaggio della Stone era e resta il difetto numero uno del film. In alcuni momenti involontariamente ridicola, come nelle entrate in scena stile versione femminile del pistolero senza nome di Clint Eastwood: all'inizio quando arriva in paese con lo sguardo torvo e il cigarillo tra i denti o nel finale quando, tra il fumo delle esplosioni, più che andare a sostenere un duello sembra piuttosto che stia facendo una sfilata di moda. D'altra parte è il difetto di moltissimi film americani, soprattutto degli anni 90, cuciti addosso al divo di turno che spesso era anche il produttore del film, come appunto accade in questo caso. Sintomatica l'inutile scena di sesso tra la Stone e Russel Crowe (mentre un'altra con Di Caprio pare si stata tagliata per volere dell'attrice), ma allora irrinunciabile in film con protagonista l'attrice diventata famosa per i torridi amplessi di "Basic Istinct".

Guardando il film con maggior distacco si nota però anche che la Stone se la cava egregiamente nelle scene dove non deve far finta di fare la dura e può apparire più femminile, come nella bella sequenza della cena con Hackman. Inoltre per buona parte del film il suo personaggio resta in attesa, per cui in fondo non influisce così tanto nell'economia della narrazione.


Da rivalutare senza tante riserve invece il resto del cast. Il solito titanico Hackman da vita ad un grande e odiosissimo cattivo che tiene fede al proprio nome: Herod. Ottimo (non doppiato) l'allora ancora sconosciuto e ancora magro Russel Crowe, alle prese con il personaggio più interessante, un letale pistolero diventato prete che forse poteva essere il vero protagonista. Anche l'allora astro nascente Di Caprio ha gioco facile nella parte stereotipata del pistolero ragazzino. 

 Ma il pezzo forte del film è la gran folla di caratteristi che popola il film, un epica sfilata lombrosiana di ceffi e di facce più o meno note viste in centinaia di film e telefilm. Dai più conosciuti Lance Henriksen, Woody Strode e Gary Sinise a tipici attori dalla serie "se non conosci il nome, conosci la faccia": Pat Hingle, Roberts Blossom, Keith David, Tobin Bell.


La pellicola in sé resta tutto sommato un bel giocattolone con le pile scariche, troppo superficiale per essere preso sul serio e allo stesso tempo troppo ambizioso per diventare puro intrattenimento. Ma il tempo gli ha conferito il fascino strano di un film tutto sommato unico nel suo genere, autenticamente strambo e originale. È anche il tentativo fallito, ma generoso di riportare e ringiovanire l'estetica di un cinema già allora completamente scomparso da almeno vent'anni. Anche se poi a conti fatti è più un tipico western postmoderno, i cui debiti verso gli "spaghetti" si fermano ad una serie di numerose, ma in fondo effimere, citazioni. Fin dai nomi dei personaggi e della città (Redemption) è ricca di simbolismi religiosi e l'atmosfera è quella di un certo immaginario assolutamente americano, intriso di riferimenti biblici di stampo protestante. 


Che Raimi non avrebbe per nulla preso sul serio il retroterra religioso del film era scontato, ma avrebbe dovuto fare la stessa cosa anche con le lambiccate pretese della sceneggiatura di dare profondità ai personaggi e buttarla tutta sul divertimento più cialtrone. Invece la sua regia allora sorprese per come sembrava misurata ed elegante, forse imbrigliata. Il suo estro si scatena solo nelle folli scene dei duelli, tutti coreografati con uno stile e idee sempre diversi ed ingegnosi, anche se a volte fin troppo sopra le righe, come per l' inappropriata capriola finale di Hackman. 

La confezione è di lusso, con le bellissime scenografie, una gran fotografia di Dante Spinotti, bei costumi (a parte quelli "griffati" della Stone), ma anche una magagna imperdonabile per un western che si vuole rifare alla estetica “spaghetti”: una mediocre e incolore colonna sonora.
E forse il problema di base del film è proprio la confezione fin troppo lussuosa e ricca. Probabilmente un budget più contenuto e un cast meno ingombrante (proprio come nelle precedenti pellicole horror-fantasy di Raimi) avrebbero dato al tutto un’aria più genuina e ruspante, più in linea con la liberatoria trasandatezza del cinema che si voleva omaggiare.

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