lunedì 25 marzo 2013

i film - La feccia


1972 La feccia (The Revengers) 
di Daniel Mann con William Holden, Ernest Borgnine, Woody Strode, Susan Hayward, Roger Hanin, Reinhard Kolldehoff, Jorge Luke, Jorge Martínez de Hoyos, Arthur Hunnicutt, Warren Vanders, Larry Pennell

Una banda di comancheros stermina la felice famigliola di un allevatore di cavalli, militare in pensione. In cerca di vendetta oltre confine l'uomo fa evadere sei balordi da un carcere messicano e forma una banda per dare la caccia agli assassini.

Bel titolo italiano, per una volta più efficace di quello originale, per un film da noi dimenticato, ma con un discreto culto in America. È un interessante "dirty western", parecchio anni 70, i cui modelli evidenti fin dal breve riassunto sono Il mucchio selvaggio di Peckinpah (di cui riprende i due attori principali) e Quella sporca dozzina di Aldrich. Chiariamo subito che tali modelli  restano ben distanti e che il risultato finale è inferiore alla somma delle parti, ma il film è comunque carino e non privo di spunti interessanti.



Lo spunto più interessante è che la vendetta si compie quasi per intero già a metà film. La banda di feroci comancheros viene interamente distrutta, a parte il capo che riesce a filarsela. Sulle tracce di questi il protagonista prende a vagare per il West con la sua banda di disperati. Finché non si accorge che i sei debosciati rischiano di diventare la sua nuova famiglia. Non lo aiuta accettare lo scambio il notare che i suoi compari seminano cadaveri e sono inclini alla violenza quanto la gente che gli ha massacrato la famiglia vera. Preso dai rimorsi va in crisi e tenta di svincolarsi dalla banda, ma la sua nuova "famiglia" reagisce all'abbandono del "padre" nel solo modo che conosce: il più giovane dei "figli", che si era persino proposto come sostituto dei figli morti (non è un film che va troppo per il sottile con i sottintesi psicologici), gli spara. Credendolo morto, il gruppo lo abbandona.

Invece, curato da un'amorevole zitella (un'intensa Susan Hayward, nella sua ultima interpretazione), il protagonista guarisce e riprende la sua caccia, ma finisce nel carcere da dove aveva fatto evadere i suoi ex-compari. Tocca quindi a questi ultimi ricambiare il favore. Ricreatasi la vecchia complicità, il gruppo riprende quindi l'inseguimento della sua preda. Finiranno per trovarlo già prigioniero in un campo militare sotto assedio dei comancheros.



Evidenti le tematiche care a registi come Peckinpah e Aldrich: l'ingovernabilità della violenza, la sottile linea tra legalità e illegalità, i personaggi ai margini della società e della sanità mentale. Tematiche finite però nelle mani del meno interessante dei Mann che hanno fatto, e fanno, i registi ad Hollywood. È infatti l'unico western della trentina di film girati dell'anonimo Daniel Mann (dirigerà poi qualche episodio della nota serie "Alla conquista del West"), in genere specializzato in drammi, commedie e film sentimentali. Non a caso si dimostra più a suo agio nella malinconica parentesi sentimentale tra Holden e la Hayward. Invece nelle parti  d'azione e violenza, la regia è esattamente quello ci si poteva aspettare da un mestierante di Hollywood di vecchia scuola come lui, quindi  piena di classici campi lunghi, con pochissimi primi piani, insomma assolutamente statica. Le sparatorie e le battaglie sono anche efficaci sul piano spettacolare, ma a parte le maggiori dosi di sangue e violenza sono girate con lo stile pulito di un western degli anni 50.

La regia servizievole, incapace di dare vera energia ciò che racconta, non solo impedisce di approfondire e sviluppare le interessanti ambiguità della storia e le divagazioni della sceneggiatura, ma finisce per sottolineare invece i lati più manichei dei personaggi. A cominciare da un finale un po' troppo riconciliante, dove restano in vita un po' troppi personaggi e dove il protagonista rinsavisce, vedendo in un giovane e coraggioso ufficiale l'ombra del figlio che voleva intraprendere la carriera militare (abbastanza discutibile che al protagonista abbiano fatto fuori moglie, due bambine e un bambino, ma il suo unico vero cruccio sembra quello di aver perso il primogenito maschio).



La riuscita di un film così la determinano in buona parte gli attori. E da questo punti di vista la pellicola da senz'altro le sue soddisfazioni. Dopo il capolavoro Il mucchio selvaggio e il bellissimo Uomini selvaggi di Blake Edwards, William Holden completa con questo titolo un trittico di western che ne hanno fatto il volto della vecchia Hollywood che meglio aveva saputo incarnare la fase crepuscolare del genere. Ernest Borgnine gigioneggia nella parte dell'ubriacone picaresco, mentre Woody Stroode fa il negrone forzuto e (neanche a dirlo) fedele. Efficacemente patibolari i ceffi del resto del cast.

Curiosità: nella stessa estate del 1972 in cui uscì questo film uscì anche "I magnifici 7 cavalcano ancora" con Lee Van Cleef, quarto ed ultimo capitolo della serie, con alcuni elementi narrativi molto simili, come la ricerca della vendetta oltre confine, il reclutamento in prigione e ovviamente lo stesso numero di protagonisti.

2 commenti:

  1. Non mi sembra di averlo mai visto. Certo che da quanto scrivi sembra un po' uno spreco di un ottimo cast...

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  2. Direi che il cast è sfruttato bene in realtà ed è il motivo principale per cui vedere il film. Sono gli spunti "dirty" e crepuscolari della sceneggiatura che la regia spreca abbastanza. Con un regista più moderno e cattivo poteva venirene fuori un gioiello. Così è un film comunque divertente, ma al massimo discreto.

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