sabato 2 marzo 2013

i film - I quattro sul sentiero di Sparo (Four Rode Out)



1968 I quattro sul sentiero di Sparo (Four Rode Out)
di John Peyser con Pernell Roberts, Sue Lyon, Leslie Nielsen, Julián Mateos, María Martín, Janis Ian

Uno sceriffo insegue nel deserto un giovane messicano che ha rapinato una banca. Con lui ci sono la giovane amante americana del messicano e un sedicente agente della Pinkerton. Raggiunto e ferito il fuggitivo i quattro si ritrovano però in mezzo al deserto praticamente privi di acqua. Il disperato viaggio di ritorno si trasformerà in un gioco al massacro.   

Minuscolo e dimenticatissimo western tutto americano, per quanto girato negli inconfondibili e aridi paesaggi dell'Almeria nel periodo di massima esplosione degli "spaghetti". Ma nonostante questo il film non ha assolutamente nulla a che vedere con i western nostrani. Con tutti i suoi enormi limiti produttivi è piuttosto un piccolo esempio di quel poco o per nulla studiato periodo del western americano anni 60 tra la fine del periodo classico e l’inizio della fase crepuscolare. Come abbiamo già avuto modo di scrivere un periodo in cui uscivano strani western  inclassificabili come "L'occhio caldo del cielo" di Robert Aldrich, "Invito ad una sparatoria" di Richard Wilson, "Tempo di terrore" di Burt Kennedy, "La notte dell'agguato" di Robert Mulligan, "Hombre" di Martin Ritt, "Le colline blu" e "La sparatoria" di Monte Hellman.



Four Rode Out (ci risparmiamo l'insulso e totalmente insensato titolo italiano) non ha nulla della complessità dei titoli sopracitati e molto probabilmente le intenzioni degli autori erano quelle di girare un normalissimo western di serie B. È piuttosto il tipico caso in cui i limiti estremi di budget hanno concesso una paradossale libertà di movimento e d'invenzione agli autori. Difficile, ad esempio, stabilire se l'atmosfera vagamente metafisica che viene a crearsi, in un film di un'ora e mezza in cui per un'ora e venti si vedono solo quattro attori in mezzo al deserto, fosse una scelta voluta o solo un effetto casuale di una scelta obbligata dalla mancanza di mezzi. Insomma cinema di genere che rompeva certi schemi di genere quasi senza rendersene conto.



Il limite maggiore è una regia anonima e televisiva. D'altra parte regista, sceneggiatori e attore principale venivano tutti da un serial come Bonanza. Puzza di telefilm anche il plot minimalista, ma sono decisamente moderni e cinematografici (per allora) lo sguardo disincantato sui personaggi e l'amarezza di fondo, a un passo dal western crepuscolare. Praticamente privo di scene d'azione, il film non concede infatti nessuna catarsi allo spettatore, non offre personaggi in cui identificarsi e non prevede lieto fine per nessuno. Nonostante i limiti della regia, nell'ultima mezz'ora il film trova una sua atmosfera disperata e crudele con alcune sequenze di buon effetto: il graduale abbattimento dei cavalli, la ragazza che indossa nel deserto un vestito da sposa senza una manica, i personaggi che attendono la morte uno dell'altro, il finale amarissimo.
A dare un altro tocco "alternativo" al tutto ci pensano le belle ballate folk della giovanissima cantautrice hippie Janis Ian (allora diciassettenne - appare nelle prime inquadrature del film come cantante di strada), che infondono ulteriore malinconia alla vicenda.



A differenza delle analoghe produzioni italiane per quanto povero il film può contare su degli ottimi attori.
Pernell Roberts, famoso come il più anziano dei fratelli di "Bonanza", sfoggia coraggiosamente la propria calvizie e un ancor meno hollywoodiano barbone nero (significativa la sua assenza nelle locandine del film), dando vita ad un autentico e umanissimo antieroe.
A rubare la scena a tutti è un già ingrigito Leslie Nielsen, assolutamente perfetto nella parte del viscido e spregevole agente della Pinkerton. Avendolo presente oggi per i suoi personaggi comici e bonari, fa impressione vederlo nella parte di un personaggio talmente odioso e totalmente negativo, che arriva persino a violentare la ragazza (fuori campo - almeno nella copia da noi visionata, ma visto un brusco salto di montaggio non escludiamo possa trattarsi di un versione censurata).



Sue Lyon aveva avuto il suo breve momento di fama pochi anni prima nientemeno che come Lolita di Kubrick e in questo film ha esattamente l'aria accigliata e smarrita di chi non ha ben capito come, dopo un inizio come quello, sia finita in una produzione come questa. Alla fine in qualche modo la sua passività e la sua aria da attrice delusa diventano congeniali al personaggio.
Julián Mateos, attore spagnolo abbastanza tipico delle produzioni americane girate in Spagna, interpreta il personaggio più convenzionale del giovane messicano belloccio e scapestrato. Due anni prima era stato il protagonista maschile de I crudeli di Corbucci.

Un piccolo film certamente non imperdibile, ma che riesce a farsi voler bene se lo si vede.

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