giovedì 14 marzo 2013

i film - Sole rosso



1971 SOLE ROSSO (Soleil Rouge)
di Terence Young, con Charles Bronson, Toshiro Mifune, Alain Delon, Ursula Andress, Capucine, Anthony Dawson, Luc Merenda, Guido Lollobrigida, Barta Barri, Monica Randall

In seguito alla rapina ad un treno, un desperado americano tradito dai compagni e un samurai giapponese stringono una strana alleanza per recuperare una preziosa katana donata dall'imperatore del Giappone al Presidente degli Stati Uniti.

Ci sono attori che diventano famosi già da giovanissimi e altri invece che per raggiungere la celebrità devono passare attraverso una gavetta lunga decine di pellicole, raggiungendo l’affermazione solo in età avanzata. Charles Bronson, attore americano di origine lituane, è stato tra questi ultimi: pur avendo interpretato (dopo una giovinezza trascorsa tra il lavoro in miniera e i campi di battaglia della seconda guerra mondiale) più di un centinaio di ruoli come caratterista, specializzandosi in "duri" dall’aspetto etnico (nei western gli toccavano invariabilmente le parti dell’indiano o del mezzosangue), sia al cinema che alla televisione – anche in pellicole illustri come I magnifici sette, La grande fuga e Quella sporca dozzina –, ha dovuto attendere solo la metà degli anni settanta, la soglia dei cinquant’anni e il film Il giustiziere della notte per essere consacrato finalmente come una star negli Stati Uniti.
Prima del riconoscimento americano Bronson era stato però “scoperto”, in modo non diverso da altre icone western (pensiamo solo a Clint Eastwood), dal cinema europeo, in primis quello italiano, che gli regalò il memorabile ruolo di Armonica in C’era una volta il West di Sergio Leone [1], e poi soprattutto quello francese, che diede all’attore le prime parti da protagonista assoluto (precedentemente ci risulta avesse interpretato come prim’attore solo il B-Movie La legge del mitra di Roger Corman).



Il regista con il quale Bronson nella sua esperienza francese ha instaurato il rapporto professionale più stretto è stato Terence Young. Young, un gentleman inglese dalla vita avventurosa nato in Cina e trasferitosi in Costa Azzurra, amante del jet-set e delle belle donne, è rimasto famoso soprattutto per aver diretto tre dei primi quattro film di 007, ma nel corso degli anni sessanta e settanta ha girato molte altre pellicole di genere soprattutto spionistico ed avventuroso (tra cui un gioiello thriller come Gli occhi della notte) e nonostante la sua reputazione sia costantemente diminuita dopo ogni film realizzato aveva fama di regista avvezzo alle grandi produzioni internazionali e alla direzione di divi e scene d’azione.
Sotto la sua regia Bronson ha interpretato alcuni dei ruoli più atipici e particolari della sua carriera, con i quali si mise alla prova con altre tipizzazioni e sfumature che non fossero la maschera impassibile e lo sguardo di ghiaccio per i quali è universalmente conosciuto.
Il miglior film del sodalizio Bronson-Young è il primo, L’uomo dalle due ombre, un polar solido e robusto, mentre il peggiore indubbiamente l’ultimo, Joe Valachi – I segreti di Cosa Nostra, un pasticciaccio gangsteristico prodotto da Dino De Laurentiis sulla scia del Padrino dove Bronson interpreta, peraltro efficacemente, addirittura il celebre pentito italoamericano.

Nel western Sole rosso, l’unico diretto da Young in tutta la sua carriera, Bronson è protagonista di uno dei pochissimi ruoli (quasi) brillanti del suo lungo curriculum e ha modo di esibire degli aspetti della sua recitazione in seguito non più sfruttati, dimostrando insospettabili doti di istrione e commediante, soprattutto nei duetti con Toshiro Mifune.
Dopo Tetsuya Nakadai in Oggi a me… domani a te Mifune è il secondo attore giapponese a calpestare le praterie cinematografiche dell’eurowestern, a conferma di una sua sempre maggiore “contaminazione”. Negli anni settanta grazie soprattutto al successo mondiale di Bruce Lee i film orientali, sia quelli giapponese di samurai che quelli cinesi di arti marziali, divennero molto popolari anche presso il pubblico occidentale e quindi, probabilmente nel tentativo di agganciare un pubblico sempre più numeroso, non mancarono gli ibridi con i generi nostrani (vedi anche Il mio nome è Shanghai Joe e Là dove non batte il sole).



In questo caso, come si dice, ce n'è per tutti i gusti: western all'italiana, di produzione francese, girato in Spagna, da regista inglese, con star francese, star americana, star giapponese e bellona svizzera. Un tempo era un classico delle programmazioni estive insieme a L'oro di Mackenna.

Young, nonostante uno stile poco personale e non molto interessante (non è detto comunque che in un western ciò sia per forza un difetto), con il suo solido artigianato aveva capito meglio di altri la lezione degli spaghetti western e, mantenendosi in equilibrio non sempre stabile tra truce violenza e sdrammatizzante ironia, dirige delle grandiose scene d'azione, dall'iniziale rapina al treno, ai fulminei massacri nella fattoria e nel bordello, culminando nella grande battaglia finale nel canneto (dove, come fa notare Marco Giusti nel suo Dizionario del Western all’italiana i fintissimi indiani hanno delle improbabilissime parrucche), omaggio forse a Kurosawa. Molto felicemente “spaghetti” il fatto che, a parte il nobile samurai, tutti i personaggi sono delle inguaribili carogne, felici di esserlo. I dialoghi non sono niente di particolarmente memorabile, ma sono comunque ottimi. L’amicizia tra Bronson e Mifune è raccontata con il giusto brio e la giusta simpatia.



Cast strepitoso. Di Delon è ormai quasi obbligatorio parlar male, ma intanto qui è impeccabile nella parte della gelida carogna dalla faccia d'angelo. Capelli lunghi e giacca con le frange Bronson pare disegnato tanto è perfetto. Mifune è alle prese con lo stereotipo del samurai, ma con grandi squarci d'autoironia. Ursula Andress… beh, la scena in cui si alza nuda dal letto comprendonsi a malapena con un lenzuolo crediamo abbia frequentato i sogni adolescenziali di molti spettatori. Meritano anche una ancora affascinante Capucine nel ruolo della tenutaria del bordello e la splendida e anonima ragazza con cui va a letto Mifune. Tra la banda di fuorilegge capitanata da Delon si può riconoscere un giovane Luc Merenda.

Gradevole ma un po’ troppo convenzionale la musica di Maurice Jarre. Probabilmente grandiosa la fotografia dai grandi spazi di Henri Alekan, uno dei migliori direttori della fotografia del cinema francese, ma l’orrenda copia in formato 4:3 che passa sia in televisione che in dvd lo lascia purtroppo solo intuire.

M. Mihich & T. Sega
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[1] « Bronson era proprio quello che volevo. Quando andai in America a cercarlo, ero ormai conosciutissimo e quindi avevo un codazzo di agenti che mi offrivano i nomi più grandi (Rock Hudson, Warren Beatty…). E quando chiedevo di Charlie Bronson quelli mi rispondevano esterrefatti “Chi?” (…) Per me Bronson era importantissimo perché era proprio quello che con la faccia che si ritrova è capace di fermare le locomotive. Il giustiziere che, anche se vai in Groenlandia, lì ti trova e lì ti segue. Era proprio un archetipo preciso (…) » Marcello Garofalo, Tutto il cinema di Sergio Leone, Baldini&Castoldi, 1999

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