
1970 SHANGO LA PISTOLA INFALLIBILE
di Edoardo Mulargia con Anthony Steffen, Eduardo Fajardo, Maurice Poli, Barbara Nelli, Giusva Fioravanti, Gabriella Giorgelli
Shango fa rima con Django naturalmente, ma se vogliamo è anche il nome di uno spirito della tradizione vudù. Però il Shango di questo film (il solito marmoreo Steffen, nel bene e nel male - qui doppiato in maniera curiosa) non ha nulla di demoniaco, anzi è un normale ranger fin troppo ligio al dovere, che si trova a dover guidare la resistenza dei peones in un paesino angariato da una banda di sudisti e bandoleros. I sudisti sono guidati dal bastardissimo Eduardo Fajardo (il cattivo di "Django", guarda caso), che tiene nascosto ai suoi uomini che la guerra è finita da un pezzo. Non si capisce bene perché per tre quarti di film Shango si dia alla macchia organizzando i peones, visto che alla fine tocca sempre solo a lui far fuori i cattivi a carrettate.

Western naif, potabile e ben fatto, non era così scontato se si considera che è diretto dal poco affidabile Edoardo Mulargia. Probabilmente, potendo contare per una volta su un budget non da morti di fame come i suoi soliti, il regista ha potuto permettersi un po' più di cura nel fare il suo lavoro e persino un minimo di ambizioni, pur senza uguagliare il suo miglior risultato. O forse, come spesso accadeva nel cinema di genere, alcuni elementi di pregio nobilitavano tutto l'insieme. In questo caso i pregi sono una fotografia di grande effetto, livida e invernale, che immerge la storia in un' atmosfera triste e uggiosa (doveva fare un freddo cane durante le riprese, a giudicare dai grandi sbuffi di alito), una colonna sonora bella e suggestiva, più da thriller che da western, un montaggio efficace, interpreti con la facce giuste al posto giusto.
Ma soprattutto il film può contare su una forte idea di fondo: la vicenda rimanda in maniera evidente alla Repubblica di Salò, alla resistenza partigiana, alle rappresaglie naziste e fasciste, ammantando il tutto di un alone più sinistro e concreto.

I punti deboli sono una trama scheletrica, personaggi che ogni tanto fanno cose assurde e soprattutto dei dialoghi decisamente alla buona, con roboanti massime sulla libertà e uno svarione epocale, ripetuto per ben due volte: i sudisti parlano di se stessi come dell'esercito dell'Unione! Da non credere alle proprie orecchie.
Bello l'inizio allucinato e vagamente psichedelico, che salta ogni preambolo e vede Shango già fatto prigioniero e rinchiuso in una gabbia sospesa. Le stesse soluzioni visive vengono poi riprese nell'altrettanto allucinata resa dei conti finale, dove flashback e allucinazioni si mescolano alla realtà.
Un film dove si ammazza parecchio e Shango, un po' precursore di Rambo, si prodiga in divertenti e fantasiosi ammazzamenti per sfoltire le file del nemico. In generale notevole la carica di crudeltà, con anche donne e bambini ammazzati come cani. Anche il bambino che all'inizio salva Shango ci rimette poi la pelle, ma visto che è interpretato dal futuro terrorista nero e pluriassassino Giusva Fioravanti (oggi tranquillamente a piede libero nonostante il non pentimento e i molti ergastoli) è difficile dispiacersene più di tanto.

Sgangherato e sfilacciato come saranno poi molti western all'italiana negli anni 70, ma con uno suo fascino e un'atmosfera che lascia il segno. Da riscoprire, se non proprio da rivalutare.
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