sabato 20 aprile 2013

i film - Sledge



1970 Sledge (A Man Called Sledge)

di Vic Morrow con James Garner, Dennis Weaver, Claude Akins, John Marley, Laura Antonelli, Wayde Preston, Ken Clark, Riccardo Garrone, Luciano Rossi

Sledge è un famoso bandito che vuole fare il colpo grosso per poi ritirarsi con la sua donna. Consigliato da un vecchio galeotto, mette su una banda per rapinare un favoloso carico d'oro custodito in un carcere. Si fa arrestare e rinchiudere per scatenare una rivolta dei detenuti e approfittare del caos per rubare l'oro. Il colpo riesce, ma al momento della spartizione con il resto della banda non tutto filerà liscio. Finirà malissimo per tutti.

Gioiellino misconosciuto, che almeno in Italia incassò come un qualsiasi sotto-Django di terza categoria, quando invece è uno dei titoli più preziosi tra quelli girati in Almeria dagli americani. Oggi lo si definirebbe un gran film pulp, diretto benissimo, con una confezione ricca e impeccabile e con tutte le facce giuste al posto giusto. Il fulcro della vicenda è il solito luogo virtualmente inaccessibile che i protagonisti devono espugnare, ma stavolta inserito in un intreccio da film da rapina, filone da cui è ripreso anche il tono spiccio della narrazione. A fare la differenza rispetto ai film fin qui trattati contribuisce non poco anche l'efficace colonna sonora dell'italiano Gianni Ferrio, più accattivante e moderna dei soliti epici motivi hollywoodiani. C'è un certo realismo nella descrizione degli ambienti e una singolare sobrietà per un western europeo nella caratterizzazione dei personaggi, ma non mancano anche esasperazioni iperrealiste, tipo l'esagerata super-scorta che protegge il carico d'oro o l'idea decisamente improbabile che un tale tesoro possa essere custodito in un carcere pieno di criminali. Il tutto è amalgamato con sapienza e sono parecchie le sequenze che alla fine lasciano il segno: un suggestivo inizio innevato con una rapina ad una diligenza, Sledge con addosso solo dei mutandoni rossi che uccide due tizi in un saloon, il caotico e violento macello che si scatena nel carcere durante la rivolta, una delirante partita a poker nel deserto. Ma il pezzo forte è la memorabile resa dei conti in un paesino messicano dove si sta celebrando il Día de los Muertos messicano, con la sua colorata e sinistra iconografia a fare da contrappunto alla spietata lotta tra i  personaggi. Ci sono anche piccoli tocchi blasfemi, come Sledge che per continuare a sparare si stecca un braccio ferito con un crocifisso e un massacro tra le rovine di una chiesa.



C'è un'amoralità di fondo che a livello mainstream probabilmente solo il cinema di quell'epoca ha potuto permettersi. Pur in un'ottica di spettacolo di puro intrattenimento, è infatti un western criminale nerissimo, che descrive un'umanità dedita alla prevaricazione reciproca a tutti i livelli, con gli uomini di legge che si dimostrano non meno sadici e ottusi dei fuorilegge. A cominciare dal protagonista non c'è personaggio che susciti vera simpatia o che non venga descritto come una carogna pronto a fregare, uccidere e umiliare chiunque per il proprio tornaconto. Colpisce in particolare la rappresentazione di una fauna criminale balorda e autolesionista, degna dei fratelli Coen di "Fargo". Memorabile la sequenza in cui, freschi reduci dell'efferata rapina, i componenti della banda non resistono alla tentazione di giocarsi a carte la ricchezza appena ottenuta, perdendo tutto in favore dei più furbi. La mezz'ora finale diventa una specie di variante sanguinaria e criminale de "Il tesoro della Sierra Madre", un tutti contro tutti in cui a fare la fine peggiore è l'unico personaggio relativamente innocente del film, la donna di Sledge. La conclusione è discretamente nichilista, con il protagonista che si sottrae alla logica dell'avidità, ma solo per abbracciare quella della vendetta, scelta che non prevede nessun tipo di riscatto morale.



Vic Morrow appartiene alla non breve lista di registi (spesso attori) che hanno dimostrato del talento pur avendo diretto una sola pellicola in tutta la loro carriera. Morrow era un noto caratterista, con all'attivo quasi un centinaio di ruoli tra il piccolo e il grande schermo, occasionalmente anche regista di qualche episodio di alcune serie televisive. Oltre a "Sledge", appunto la sua unica regia per il cinema, di cui ha scritto anche la sceneggiatura, ha diretto e scritto anche un piccolo dramma carcerario per la televisione, "Deathwatch". Purtroppo oggi il nome di Morrow è legato soprattutto alle terribili circostanze della sua morte. A causa di un incidente morì insieme a due bambini mentre recitava sul set dell'episodio del film "Ai confini della realtà" diretto da John Landis, fatto a pezzi dalle pale di un elicottero.

Attore televisivo di prima grandezza, soprattutto grazie a telefilm storici come "Maverick" e "Agenzia Rockford", dotato di una voce profonda e caratteristica (in Italia ovviamente lo si è sempre visto e sentito solo doppiato), James Garner al cinema non ha mai funzionato altrettanto bene o forse non ha avuto altrettanta fortuna, ma qui sfoggia un gran carisma, per altro in un ruolo per lui insolitamente sgradevole. Azzeccato e eterogeneo anche il resto del cast. Sul versante americano spiccano Dennis Weaver, che sarà il malcapitato automobilista del "Duel" di Spielberg, Claude Atkins, futuro sceriffo carognone ma simpaticone del telefilm "Lobo", e il rugoso John Marley, che fa uno dei "vecchietti del West" più abietti e maligni mai visti. Le facce italiane del cast sono quasi tutte curiosamente concentrate nella parte carceraria. Riccardo Garrone è il direttore, mentre tra i carcerati si nota l'onnipresente Luciano Rossi che fa, manco a dirlo, il pazzo lunatico. Bionda e quindi quasi irriconoscibile, una giovane e bellissima Laura Antonelli fa la donna di Sledge, personaggio un po' lamentoso a cui però l'attrice dona una malinconica intensità. 

Nessun commento:

Posta un commento