1965 ALL'OMBRA DI UNA COLT
di Gianni Grimaldi con Stephen Forsyth, Conrado Sanmartin, Anne Sherman, Frank Ressel, Aldo Sambrell, Jose Calvo
Gustoso "spaghetti" dei primi tempi del filone tutto da riscoprire. Tra i primi del dopo Per un pugno di dollari, girato per altro negli stessi luoghi e con le stesse scenografie del film di Leone, quindi dai toni a tratti un po' ingenui e dallo stile ancora molto classico e "americano", ma anche di una freschezza acerba che oggi non può non affascinare. Un buon esempio di come nei primissimi anni - diciamo nel biennio '65 e '66 - il western all'italiana tentasse volentieri altre strade rispetto ai modelli canonizzati da Leone e Corbucci. Anche se i prodotti più maturi e adulti arrivarono certamente seguendo la linea tracciata da quei maestri, resta il dubbio di quali altre strade avrebbe potuto prendere il genere se non si fosse appiattito quasi esclusivamente su quegli schemi.
La storia non sarebbe neppure un granché. Classica trama un po' manichea di un giovane pistolero professionista che vuole appendere al chiodo la pistola che però non sfugge al suo destino di violenza. Soprattutto perché fa l'errore di volersi accasare con la bella figliola del suo amico e socio anziano, che ovviamente non la prende affatto bene e da la caccia alla coppia. Prima del duello finale dovranno far fronte comune contro una banda che tiranneggia un paese.
Da antologia del genere il bellissimo prologo con i due protagonisti che da soli ripuliscono un pueblo messicano da una banda di desperados e la spettacolare resa dei conti finale.
La trama obsoleta è riscattata da un'atmosfera strana, non ancora "spaghetti", ma neanche troppo americana. C'è un'affascinante aria triste che percorre tutta la pellicola, se non crepuscolare già vagamente nostalgica. L'elegante, finto-hollywoodiana e un po' statica regia di Grimaldi (che nel genere non produrrà altro di significativo) indovina il giusto ritmo, lento e flemmatico. Il film passa in rassegna i luoghi comuni dei classici con una sorta di sorridente affetto; la furia e il ghigno dissacrante degli spaghetti western sono ancora lontani, l'esagerazione della violenza la vediamo solo nell'elevato numero di morti ammazzati nelle scene d'azione, ma è una violenza ancora stilizzata, senza sadismo, da western classico. Allo stesso tempo è già molto "spaghetti" l'esasperazione dei cliché, con gli ambienti e i personaggi che appaiono come simboli di un cinema di genere che se non stava finendo stava di sicuro irrimediabilmente cambiando.
Un film illuminato dalla solida artigianalità di cui poteva dar mostra il cinema italiano di quegli anni. A cominciare dai bellissimi titoli di testa dipinti da un anonimo illustratore (sono le immagini che corredano questo post) e commentati da uno splendido e malinconico "pezzo fischiato" di Nico Fidenco, tra i più belli nel genere. Peccato che invece di lasciare solo la musica ci abbiano aggiunto una poesia western in italiano recitata dall'inconfondibile "voce di Bud Spencer" Glauco Onorato: un'idea sicuramente originale, ma sinceramente un po' balorda. Altro punto di forza del film è la bella fotografia, che negli esterni esalta i polverosi paesaggi spagnoli come raramente si è visto fare anche nei nostri western maggiori. Gli attori sono marmorei e inespressivi (a cominciare dall'impalatissimo protagonista, Stephen Forsyth, pur dotato di un indubbio phisique du rôle) e tutti impegnati in dialoghi pieni di sentenze pronunciate con voci stentoree, ma l'effetto finale di non si sa quanto volontaria stilizzazione è notevole.
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