venerdì 1 giugno 2012

i registi 14 - Tonino Valerii 1

Tonino Valerii 
da Lanky Fellow a Nessuno



Parte 1

Curioso che, in questi anni di riscoperte e di più o meno spericolate rivalutazioni di registi del nostro cinema di genere, il nome di Tonino Valerii risulti abbastanza trascurato e non lo si veda apparire con frequenza in cima alla liste dei grandi del nostro western. Eppure rimane sicuramente tra i massimi registi degli "spaghetti", avendone diretti cinque, tutti interessanti e tre dei quali possono essere senz’altro considerati dei classici assoluti del filone.

“Tonino Valerii fino a qualche anno fa era considerato alla stregua di un Corbucci, ma ultimamente è stato abbastanza ridimensionato dalla critica, forse perché i suoi western sono tra quelli che sembrano reggere meno bene al passare del tempo. Inoltre probabilmente certe sue “esternazioni”, contro Leone in primis, fatte negli ultimi anni prima della sua scomparsa hanno probabilmente contribuito a renderlo piuttosto inviso all’ambiente. L’odio di Valerii verso Leone (motivato dalle ben note vicende de Il mio nome è Nessuno) è tanto più singolare se si considera che, tra i numerosi autori del western italiano, Valerii è probabilmente il più “leoniano” (infatti non a caso il Maestro lo scelse per Il mio nome è Nessuno), quello che per costruzione delle sequenze, cura dei dettagli e respiro epico sembra averne recepito più a fondo la lezione." (Mauro Mihich) 


1966 PER IL GUSTO DI UCCIDERE
di Tonino Valerii, con Craig Hill, George Martin, Fernando Sancho, Rada Rassimov, Pietro Lulli, Franco Ressel, George Wang

Per quanto sia di gran lunga il meno conosciuto, il meno ambizioso e il meno citato dei suoi western, questo suo strepitoso esordio è forse davvero il suo film migliore, come in maniera apparentemente provocatoria sostiene Marco Giusti nel suo "Dizionario del western all'italiana". Proprio perché il più slegato dal tipico stile leoniano che lo contraddistinguerà nei film successivi, è infatti il suo film più originale e unico. È un film prosciugato e secchissimo, che sembra diretto dal più cinico e beffardo Don Siegel, una delle tante varianti di "Per qualche dollaro in più", con una banda di bandoleros interessata ad una cassa d’oro e il protagonista interessato alle taglie sulle loro teste. Una vera sagra di spietati ammazzamenti e gelida avidità, che mette in scena uno dei personaggi più memorabili degli spaghetti western: il Lanky Fellow di un indimenticabile Graig Hill, occhi di ghiaccio e sorriso imperturbabile.


Un "buono", quello interpretato da Hill, decisamente sui generis: totalmente amorale e indifferente verso qualsiasi cosa non siano i soldi, addirittura un analfabeta che sa leggere solo le cifre delle taglie, un killer che preferisce uccidere a distanza mediante un fucile con binocolo evitando gli scontri diretti ( "Non vado mai dove posso mandare un proiettile" dice ad un certo punto), un avvoltoio che uccide le sue vittime solo quando la taglia gli pare adeguata, capace di assistere al massacro di una scorta senza battere ciglio. La presenza di un protagonista tanto cinico crea per tutto il film la curiosa sensazione che i suoi pur spietatissimi antagonisti siano più delle vittime che non dei carnefici. Per altro l’unico vago accenno di un rapporto umano presente nel film è quello dei capo dei banditi con la sua donna (un’intensa Rada Rassimov) . Davvero curioso che un film simile sia stato diretto da un regista che in seguito si farà notare invece per dei western pieni di istanze morali e dubbi pacifisti.


Oltre a Carig Hill, il film può contare su cast di primordine con tutte le facce migliori e più caratteristiche del genere, a cominciare dal capo dei cattivi interpretato da un convincete George Martin, che come ne Il ritorno di Ringo dimostra che come personaggio negativo funzionava meglio che come protagonista. L’immancabile Fernando Sancho invece esce di scena nel memorabile prologo.
Confezione di lusso, con la splendida e ariosa fotografia del futuro regista Stelvio Massi, un doppiaggio di primordine e l'efficacissima colonna sonora di Nico Fidenco. 


1967 I GIORNI DELL’IRA
di Tonino Valerii, con Lee Van Cleef, Giuliano Gemma, Walter Rilla, Christa Linder, Yvonne Sanson, Andrea Bosic, Benito Stefanelli, Al Mulock 

Anche il suo secondo western è un classico assoluto degli spaghetti western. Rispetto al gelido distacco di "Per il gusto di uccidere" ne "I giorni dell’Ira" c’è parecchia introspezione, uno stile avvolgente alla Leone e un’ ironia meno ghignante. È invece ulteriormente accentuata l'aria "pop" e moderna dei nostri western, come nel fantastico, delirante e anacronistico saloon in stile liberty che si fa costruire Lee Van Cleef, con tanto di colonne a forma di pistola. Il film metteva insieme per l’unica volta le due star assolute (insieme a Clint Eastwood) del western italiano di quel periodo, un giovane e prestante Giuliano Gemma e un Lee Van Cleef totem vivente, i cui nomi all'epoca garantivano incassi spaventosi.


"[…]"I giorni dell’ira" è tra i suoi film migliori, con grandi momenti western, duelli ottimamente orchestrati (memorabile quello a cavallo con fucile ad avancarica), scene madri studiate alla perfezione e grandi dialoghi (le famose dieci lezioni del maestro all’allievo). Inoltre può vantare una robusta struttura quasi da western classico e anche una certa profondità psicologica, con la contrapposizione simbolica padre-figlio (qualcuno l’ha vista metaforicamente anche come contrapposizione western americano-western italiano, con l’allievo che non a caso uccide il maestro)." (Mauro Mihich) 

Per rendersi conto di come nel '67 il western italiano fosse avanti anni luce rispetto a quello americano basta confrontare "I giorni dell'Ira" con il coevo "Sfida oltre il fiume rosso" di Richard Thorpe, che racconta una storia molto simile. Basti dire che, come da tradizione del western classico, nel film americano è il personaggio anziano e moraleggiante interpretato da Glenn Ford che uccide il più giovane.


"Certo non manca qualche ingenuità (la pistola di Doc Holliday, Gemma che da spazzino diventa immantinente un tiratore infallibile) ma il gran senso del ritmo e del racconto la fanno passare in secondo piano. Viene anche da chiedersi quanto meno riuscito sarebbe stato senza il grande Lee Van Cleef nella parte del vecchio pistolero, che veramente traina il film, anche se comunque anche Gemma è perfetto, in una parte peraltro per una volta assolutamente non scanzonata e ironica, ma anzi tremendamente seria, nel descrivere la maturazione caratteriale del suo personaggio. Ottimi anche tutti i caratteristi, sui cui spicca il leoniano Al Mulock, nel ruolo di Wild Jack. Bella anche la musica di Riz Ortolani, molto poco spaghetti e incredibilmente non presente nei duelli, che verrà ripresa da Quentin Tarantino in Kill Bill Vol. 1." (Mauro Mihich)


1968 IL PREZZO DEL POTERE
di Tonino Valerii, con Giuliano Gemma, Fernando Rey, Van Johnson, Warren Vanders, Antonio Casas, Benito Stefanelli, Frank Braña, José Calvo

Meno riuscito dei precedenti, ma comunque interessante. Impressionante come in quegli anni in un film di genere italiano si potesse affrontare un argomento che allora in America era ancora quasi impensabile (ancora nel 1974 un thriller come Perché un assassinio? di Alan J. Pakula, che ipotizzava l’esistenza di una società paragovernativa specializzata in omicidi di uomini politici, vinceva premi ai festival… di fantascienza). Raro caso di uno spaghetti con al centro lo sviluppo di una storia che non è solo un mero pretesto per delle scene ad effetto. Probabilmente il problema maggiore del film è la presenza di Gemma (comunque ottimo) come protagonista, presenza troppo ingombrante per un film dalla trama tanto intricata. Quando non è in scena ti chiedi dove sia finito, ma quando è in scena il film cambia fatalmente tono, spostandosi su scene ad effetto alla Ringo.


"Curiosissimo terzo “spaghetti” di Valerii, senza dubbio tra i più “politici” mai realizzati: in pratica si tratta dell’omicidio di John Fitzgerald Kennedy rivisitato in chiave western. Uscito sei anni dopo l’attentato a JFK, il film si permette anche, primo in assoluto, di mettere in discussione la versione allora ufficiale dell’assassino solitario (Harvey Oswald) e di sposare la teoria della cospirazione, cosa che il cinema americano farà soltanto diversi anni più tardi. Un presidente americano di nome John Garfield, come quello del film, comunque, è esistito realmente, anche se fu assassinato a Washington e non a Dallas."


"Nonostante le evidenti ambizioni del regista e della produzione, però, a parte qualche momento indovinato, il film non funziona troppo: la sceneggiatura è farraginosa e dispersiva, la regia di Valerii vigorosa, ma piuttosto statica, Van Johnson non convince come Presidente e Gemma è sottoutilizzato. Molto efficace, invece, Fernando Rey, per cui la parte del borghese corrotto e opportunista sembra fatta apposta (come capirà bene Buñuel). Gran ruolo anche per Benito Stefanelli, uno dei caratteristici storici, e ora dimenticati, del nostro western. Buona la musica di Bacalov. Sobria ed efficace la fotografia del futuro regista poliziottesco Stelvio Massi. Il protagonista è il primo personaggio di Gemma a chiamarsi Willer (il secondo sarà quello di Tex e il Signore degli Abissi)." (Mauro Mihich)


Continua...

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