venerdì 20 gennaio 2012

i film 3 - La taglia è tua... l'uomo l'ammazzo io

1969 LA TAGLIA È TUA… L’UOMO L’AMMAZZO IO di Edoardo Mulargia. Con Robert Woods, Mark Fiorini, Rosalba Neri, Aldo Berti, Mario Brega.



Uno dei western piú estremi, raggelati e sconsolanti del panorama italiano, paragonabile soltanto a gioielli come Il grande silenzio di Corbucci e Un minuto per pregare, un istante per morire di Giraldi. Il film della vita per il modesto Edoardo Mulargia, per il resto autore di spaghetti tra l’infimo (Cjamango, 1967; Rimase uno solo e fu la morte per tutti, 1971) e l’appena potabile (Shango la pistola infallibile, 1970): complice il clima hippy di allegra dissoluzione che aleggiava sul set – sia Woods che Fiorini non facevano economia in quanto a stupefacenti – e nonostante un budget men che irrisorio e una sceneggiatura evidentemente improvvisata giorno per giorno, il regista sardo consegna ai posteri il suo capolavoro, tutt’oggi oggetto di culto in varie parti del mondo. Un film violento, ambiguo, dal ritmo lento e ammaliante, abitato da personaggi sgradevoli e destinati alla sconfitta in palese antitesi con l’epica del western americano e la ieraticità dei characters leoniani. Chi cerca finezze di scrittura e regia resterà inevitabilmente deluso, ma è impossibile rimanere indifferenti di fronte ad un West che porta alle estreme conseguenze la visione post-apocalittica di Corbucci, fangoso e plumbeo come non mai. Da antologia, per laidezza e crudeltà, la banda di assassini capitanata dallo strepitoso Mark Fiorini, zingaro psicopatico e omosessuale che, in una sequenza difficile da dimenticare, bacia sulla bocca Aldo Berti dopo aver ammazzato di botte una prostituta. Non da meno Brega, ossessionato da un folle amore per il fratello e in sospetto di pedofilia. Il protagonista poi, pistolero alcolizzato e perseguitato dalla propria fama, è da annoverare tra le piú radicali figure di antieroi del western italiano: basti citare la scena in cui viene randellato da un oste perché non ha i soldi per pagarsi il whisky, o quella della resa dei conti, durante la quale si adagia in tutta calma ad attendere il suo destino su una sedia a dondolo. Il glaciale, indimenticabile epilogo non lascia spazio nemmeno alla catarsi o alla commozione, tanto è improvviso e perentorio. Molto del fascino del film è dovuto anche alla fotografia - di Antonio L. Ballesteros in collaborazione con lo stesso Mulargia -, tutta giocata su colori opachi e invernali, e alle scenografie in disfacimento degli studi Pisorno di Tirrenia. È uno di quegli spaghetti in cui la povertà della produzione diventa, paradossalmente, una virtú, contribuendo in maniera decisiva a trasmettere allo spettatore il senso di desolazione e cupio dissolvi di cui è imbevuta la pellicola. Unica nota stonata la colonna sonora di Alessandro Alessandroni, che ruba senza vergogna dal repertorio morriconiano.

p.s.: La copia del film che ho visionato si apre con l'avviso «Il film che state per vedere è stato ricostruito in una rarissima versione integrale, pertanto in alcuni momenti l'audio non sarà in lingua italiana» ed è formata da un collage di VHS francesi, spagnole, italiane ed inglesi. La qualità delle immagini è ovviamente altalenante, ma in attesa di un’edizione decente è il massimo che si possa trovare.


Paolo D'Andrea

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