sabato 7 gennaio 2012

i registi 3 - Alberto Mariscal

ALBERTO MARISCAL
Messico e Sangue

di Mauro Mihich



La scomparsa dell’importante e prolifico regista messicano Alberto Mariscal, avvenuta il 24 aprile dell’anno scorso a Los Angeles all’età di ottantaquattro anni, è passata completamente sotto silenzio sia presso il pubblico generalista (e fin qui non ci sarebbe niente da stupirsi…) che, più stranamente, anche presso quello generalmente più attento degli appassionati di film western.
Un’occasione perduta per celebrarlo come meritava, perché l’importanza di Mariscal all’interno del genere non è per nulla marginale, visto che è unanimemente indicato come l’inventore del “chili western”, cioè quel sottofilone di film realizzati autonomamente e a low budget in Messico a partire dalla metà degli anni sessanta ad imitazione degli spaghetti western nostrani (ma, come vedremo, con delle loro peculiarità ben definite), alcuni dei quali saranno diretti anche da registi poi diventati famosi anche a livello internazionale come Arturo Ripstein, che esordì al cinema proprio con il chili western Tiempo de morir, sceneggiato nientemeno che da Gabriel García Márquez.

In Messico, bisogna dire, di western se n’erano sempre girati (sarà che le location adatte le avevano comode appena fuori porta), ma fino agli anni sessanta si limitavano a melodrammoni ambientati durante la rivoluzione messicana, film di Zorro o indigeribili polpettoni a base di cowboys canterini. E’ proprio con Mariscal ed epigoni che il western messicano diventa “adulto” e, dopo le prime pellicole “serie” fatte a imitazione degli americani (Aquí está Heraclio Bernal, El rayo de Sinaloa e Rebelión de la sierra di Roberto Gavaldón, tutti del 1957, El renegado blanco e Venganza apache di Fernando Méndez, entrambi del 1959, Los hermanos del Hierro di Ismael Rodríguez del 1961), imbocca una strada parallela a quella italiana che porterà alla realizzazione di film eccessivi e deliranti, primi tra i quali appunto quelli di Mariscal, che saranno poi seguiti dal surrealista El Topo (1970) di Alejandro Jodorowsky, l’iperviolento Chico Ramos (1970) di José Delfoss, il necrofilo Serpente a sonagli (1976) di José Antonio Bolaños, i più tardi El extraño hijo del sheriff (1982) di Fernando Durán e Cabalgando con la muerte (1986) di Alfredo Gurrola, e molti altri di cui lo spazio non ci consente di rendere conto.

Alle pellicole nostrane, di cui recuperano l’estetica e il ritmo, i western messicani aggiungono una serie di elementi originali: innanzitutto una componente melò molto forte e ancora più marcata che nei chorizo western spagnoli di Joaquìn Luis Romero Marchent, con tutta una catena di forti passioni (amicizia, amore, sesso, morte e vendetta) a legare tra loro i personaggi; poi un afflato tragico spesso non banale, con i protagonisti quasi sempre sconfitti e perdenti; quindi il ruolo centrale della donna, che molto spesso diviene il perno centrale intorno a cui ruota l’intera storia; infine la violenza esacerbata ed esasperata anche rispetto a quella già molto accentuata dei modelli italiani.

Mariscal, dopo un lungo apprendistato come attore e aiuto regista, esordisce proprio con un simil western, El enmascarado justiciero (1961), che dal titolo dovrebbe essere una specie di film di Zorro, per poi realizzare il suo primo western vero e proprio con Los dos cuatreros (1964), a cui faranno seguito un’altra quindicina di pellicole a diverso titolo appartenenti al genere, come Los hijos del condenado (1964) e, soprattutto, El Silencioso (1966), il suo primo grande successo western. Dato l’anno d’uscita il modello di riferimento è ancora chiaramente il western americano, anche se quello più “moderno” e stilizzato de Il cavaliere della valle solitaria, con Gaston Santos che interpreta praticamente il personaggio di Shane, mentre al grande attore messicano Emilio “El Indio” Fernandez – l’indimenticabile Generale Mapache de Il mucchio selvaggio – tocca ovviamente la parte del “cattivo”.



La fama di Mariscal, però, rimane innegabilmente legata alla tetralogia western ispirata a Sergio Leone:

1968 LE QUATTRO CROCI DI EL PASO (Todo por nada) di Alberto Mariscal, con Pedro Armendariz jr., Jorge Russeck, Henry Calhoun, Fernando Almada



"La primera película mexicana expresada totalmente en términos de espacio", secondo alcuni critici. Da altre parti si legge di un revenge-movie ultraviolento (soprattutto l’inizio a base di stupri e uccisioni di bambini) che narra una terribile storia di vendetta con protagonisti due fratelli le cui famiglie sono state sterminate da una banda di banditi e che finirà malissimo per tutti, come si evince anche dal fatalistico titolo originale, Todo por nada (Tutto per niente). Ha avuto anche una fugace distribuzione italiana, nel 1972, quasi sicuramente rimaneggiato per farlo assomigliare ad uno spaghetti western nostrano.

1969 VIVEVA PER UCCIDERE, UCCIDEVA PER VIVERE (El Tunco Maclovio) con Julio Alemán, Bárbara Angely, Mario Almada, Juan Miranda, Nora Cantù, Eric Del Castillo, Juliancito Bravo



Film da vedere nella versione originale messicana (quella uscita in Italia tre anni dopo è stata “adattata” in sede di doppiaggio, “italianizzandola” per farla sembrare uno spaghetti western), che ben spiega il soprannome di “Sergio Leone messicano” che venne affibbiato al regista.
Dal western italiano, infatti, Mariscal riprende in toto elementi come la lentezza e l’esasperazione delle situazioni topiche (i titoli di testa partono dopo ben tredici minuti, dopo un lunghissimo incipit con un’interminabile sparatoria tutta giocata su sguardi e primi piani), oltre che il protagonista alla Eastwood, silenzioso, pericoloso, abbigliato con l’immancabile poncho e interessato solo ai dollari. Nello stesso tempo, però, introduce nel genere una sua cifra personale (e oserei dire autoriale), con un’esasperazione tragica che comincia circa a metà film e porta a un finale che per tristezza e fatalismo ha pochi eguali in tutta la storia del cinema western.
Quella del cineasta messicano è una regia di grande impatto visivo, giocata in maniera non banale su zoom e carrellate e movimentata da trovate bizzarre e surreali, come i frequenti primi piani splatter (con insistiti close-up sui devastanti effetti delle pallottole sparate dal protagonista), i flashback virati in rosso o Barbara Angely che va in giro a cavallo nuda.
La componente erotica, infatti, è decisamente marcata, con numerose scene di nudo e di sesso, rarissime a vedersi invece negli spaghetti western nostrani (cosa che sta anche ad indicare un probabile diverso grado di permissività delle censure dei due paesi).
Oltre alla già citata Barbara Angely, l’altra “mujer” protagonista è l’altrettanto mora e non meno notevole Nora Cantú, nel ruolo di un personaggio femminile che così adulto e disinvolto era difficile da vedersi nei western coevi, sia italiani che americani.
La cosa assolutamente più interessante e originale del film, comunque, è il percorso psicologico del protagonista, el tunco (cioè il monco) Maclovio, interpretato da Julio Alemán, che grazie a questo ruolo vinse diversi premi in tutto il Messico. Cinico, disilluso, schiacciato dal peso di un terribile segreto e vittima di tutta una serie di vendette, è un antieroe magnifico, tristissimo e perdente, protagonista di una pellicola permeata di violenza dal primo all’ultimo fotogramma.

1970 OCCHIO PER OCCHIO, DENTE PER DENTE... SEI FREGATO COBRA! (El sabor de la venganza) di Alberto Mariscal, con Isela Vega, Helena Rojo, Jorge Luke, Cameron Mitchell, Rogelio Guerra, Mario Almada



Anche questo arrivato in Italia con i nomi di tutti gli interpreti anglicizzati e con un roboante titolo che nulla ha a che vedere con quello originale, che è lo stesso de I tre spietati di Joaquìn Luis Romero Marchent, cioè El sabor de la venganza, la cui trama peraltro è quasi identica. Un giovane viene cresciuto dalla madre nel culto della vendetta, fino a perdere completamente la sua innocenza e umanità, il tutto narrato in maniera talmente cinica ed estrema da andare contro a qualsiasi possibilità di identificazione ed empatia da parte dello spettatore.
Più che all’ormai consunto modello dello spaghetti western leoniano stavolta Mariscal sembra guardare esplicitamente al western americano new-wave di Sam Peckinpah, con sparatorie particolarmente cruente e sanguinose, amoralità da parte di tutti i personaggi e un’onnipresente atmosfera carica di violenza.
Il film si apre con la violenta uccisione, ripresa a distanza ravvicinata, di un padre di famiglia. La vedova, interpretata da una straordinaria e sensuale Isela Vega (che tutti ricorderanno in Voglio la testa di Garcia), cresce il figlio, con cui intrattiene un rapporto morboso e incestuoso, nel culto della vendetta e lo fa addestrare da un anziano pistolero in disarmo (un memorabile Cameron Mitchell, attore tanto grande quanto sottovalutato). Appena diventato adulto il pargolo inizierà la sua catena di vendette, eseguite con una serie di uccisioni una più violenta e brutale dell’altra (raffigurate con abbondanza di dettagli splatter), facendosi però prendere la mano e diventando un’autentica macchina per uccidere che sterminerà praticamente tutti i personaggi del film, fidanzata e madre compresa.
Il film “conferma il ruolo centrale della donna nel western messicano, in maniera diametralmente opposta alla misoginia che caratterizza il genere in Italia. La violenza, ad ogni modo, è di pura marca nostrana, ma maggiorata: spari a bruciapelo in un occhio, sbudellamenti via rasoio, lo stupro – il migliore momento del film – di Helena Rojo e lo stupendo finale, girato con un occhio puntato di qua dell’oceano e l’altro a Peckinpah” (Davide Pulici su Nocturno).

1971 LOS MARCADOS (inedito in Italia) di Alberto Mariscal con Antonio Aguilar, Flor Silvestre, Eric del Castillo, Javier Ruán, Carmen Montejo



Mai arrivato in Italia e praticamente introvabile, viene considerato all’unanimità il capolavoro di Mariscal ed è inserito tra i 25 film più importanti della storia del cinema messicano.
Un western esagerato ed iperviolento a base di stupri e saccheggi con una sottotrama incestuosa e omosessuale, che è anche una perversa allegoria religiosa e che sembrerebbe diretto da un Nicholas Ray che abbia letto Cormac McCarthy. Il personaggio principale, El Marcado, cioè lo sfregiato (il titolo originale intende alludere alle cicatrici che tutti i personaggi portano nell’anima), è ancora disegnato sul modello di Clint Eastwood, ma virato in maniera straniante e psicopatica.

Esaurita la fase western la carriera cinematografica di Mariscal toccherà poi tutte le sfumature dell’exploitation, dall’horror all’action all’erotico, e proseguirà senza pause fino al 2000 (anno in cui dirigerà il suo ultimo film, La camioneta gris 2), passando da mega-produzioni internazionali come Kalimán, el hombre increíble (1970) a film girati direttamente per il mercato dell’home video come El loco bronco (1989), e conterà alla fine qualcosa come 69 titoli come regista.

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