Il capolavoro di Franco Giraldi, regista sottostimato dagli stessi studiosi e appassionati del western all’italiana ma che è stato in realtà tra i padri fondatori del genere insieme a Leone, Corbucci e Tessari.
Direttore della seconda unità per Leone in Per un pugno di dollari (del quale pare abbia diretto le sequenze del massacro dei soldati al fiume e della strage nella villa dei Baxter) esordisce come regista con Sette pistole per i MacGregor, film campione d’incassi ma in genere non molto considerato, che mischiava, molto prima dei Trinità, la violenza del western serio con le scazzottate e le battute di quello comico. Già in quest’opera prima si può notare l’intento di Giraldi di non seguire pedissequamente la linea leoniana, ma di proporre qualcosa di più vicino al western americano (sia pure quello un po’ parrocchiale alla Sette spose per sette fratelli), oltre che la sua grande abilità nel costruire le sequenze d’azione (il film è "il trionfo dei cascatori Made in Italy", secondo la definizione di alcuni critici).
Con Un minuto per pregare un istante per morire, però, Giraldi fa sul serio senza nascondere le sue alte ambizioni e realizza una pellicola che può essere tranquillamente inserita tra le più importanti e riuscite del filone.
L’ispirazione dal western americano e la contrapposizione ai film di Leone si fa ancora più evidente e quasi programmatica. Nella costruzione del suo film, infatti, Giraldi sembra seguire i dettami di Anthony Mann, per il quale i protagonisti del western sono “non assassini professionisti, ma uomini semplici spinti alla violenza dalle circostanze, che devono compiere un percorso che comincia e finisce, una traiettoria nel corso della quale si scontrano con la vita”.
I bounty-killers, che Leone nella Trilogia del Dollaro elevò al rango di eroi, in questo western, come nel Grande Silenzio di Corbucci (in un primo momento, non a caso, designato come regista), hanno connotazioni esclusivamente negative e vengono raffigurati come spietati avvoltoi che uccidono senza pietà per pochi dollari. Caratteristiche che però Giraldi estende, a differenza di Corbucci, anche agli stessi fuorilegge braccati come selvaggina (e la grande sequenza iniziale con i due banditi a piedi inseguiti nella prateria dai killer a cavallo dà il preciso senso del film), che a loro volta si rifanno sui più deboli, tormentando i loro stessi compagni.
Lo stesso protagonista, fragile, contorto e vittima di attacchi di epilessia che gli bloccano periodicamente il braccio destro (quello che usa per sparare) è molto simile a quelli interpretati da James Stewart nei western di Mann, come pure la sotterranea vena di tristezza e disperazione che percorre tutto il film, quasi neorealistico nella rappresentazione, sottolineata dall'efficace musica lirica e struggente di Carlo Rustichelli, della povertà delle famiglie dei fuorilegge, costrette a rifugiarsi in un villaggio fantasma e alla prese con problemi di fame e sopravvivenza (come quasi mai esplicato in un western).
Da sottolineare, infine, anche l’aspetto squisitamente “politico” del film, con il discorso sull’amnistia promulgata dal governatore progressista per dare una seconda chance ai banditi e toglierli così dalle grinfie dei cacciatori di taglie, e il rifiuto della stessa da parte degli uomini di legge e dei rispettabili e morigerati cittadini.
La cosa più rivoluzionaria ed eclatante della pellicola, però, è probabilmente il finale (non a caso tagliato nell’edizione americana del film), con il protagonista costretto suo malgrado a consegnare le armi per ricevere la lettera di amnistia e che immediatamente dopo viene ucciso da due bounty-killers, che accortisi che ormai non vale più niente sputano sul suo cadavere e se ne vanno mentre sullo schermo compare la parola “Fine”.
Se il protagonista, Alex Cord, non è molto espressivo, il film è senz'altro da ricordare per essere l’unico spaghetti interpretato da Robert Ryan, che fa una memorabile entrata in scena a cavallo da grande attore del western classico e poi giganteggia in ogni sua scena. Ma ci sono anche il grande attore della Hollywood classica Arthur Kennedy e caratteristi nostrani come Mario Brega, sorprendentemente sotto le righe nella parte del cattivo, e Nicoletta Machiavelli, come sempre di sfolgorante bellezza.
Mauro Mihich
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