sabato 14 gennaio 2012

i film 2 - Costretto ad uccidere

1968 COSTRETTO AD UCCIDERE (Will Penny) di Tom Gries, con Charlton Heston, Joan Hackett, Donald Pleasence, Lee Majors, Bruce Dern, Ben Johnson, Slim Pickens, Anthony Zerbe, Clifton James















Bellissimo western senza eroi realistico, lirico ed intimista, nonostante la seconda parte più convenzionale e verbosa non sia all’altezza della prima, incentrata invece sulla dura vita del cowboy, che spogliata di ogni connotazione romantica viene descritta per quello che probabilmente realmente era: un lavoro duro, sporco e pagato poco.
E’ probabilmente il miglior film di Tom Gries, ottimo regista di altri solidi western come El Verdugo (100 Rifles, 1969) e Io non credo a nessuno (Breakheart Pass, 1975), scomparso prematuramente nel 1977 a soli cinquantaquattro anni, ed è tratto dal telefilm The Line Camp, da lui scritto e diretto per la serie televisiva western “adulta” The Westerner, creata da Sam Peckinpah e interpretata da Brian Keith.
Inizialmente il film segue piuttosto fedelmente la traccia dell’episodio televisivo, tralasciando però alcuni aspetti anche piuttosto pregnanti come la diffusione del whisky e la piaga dell’alcolismo nel mondo dei cowboys, per poi allontanandosene aggiungendovi una storia d’amore e un gruppo di cattivi monodimensionali quasi da film horror.
Lo stesso Peckinpah, che era il primo sostenitore della pellicola e la annoverava tra i suoi western preferiti, riteneva non raggiungesse la complessità dell’episodio Tv.
Il film, ad ogni modo, è diretto benissimo, con uno stile già crepuscolare e antiepico nonostante sia ancora della seconda metà degli anni sessanta, una grande fotografia invernale, dei bellissimi esterni nella Inyo County in California, una magnifica ricostruzione d’epoca, un Charlton Heston – che lo considerava addirittura il migliore tra i film da lui interpretati – semplicemente fenomenale e un cast di grandi attori western come Ben Johnson, Bruce Dern, Slim Pickens e Luke Askew.
Giusto il finale con la resa dei conti tra Heston e Donald Pleasence, presenza anomala in un western, che fa il predicatore invasato, personaggio un po’ fuori linea rispetto alla seriosità della narrazione, è forse un po’ tirato per i capelli, con una specie di “arrivano i nostri” generale poco credibile come tempismo. Poi però Gries si riscatta alla grande facendo mollare a Heston la donna di cui si è innamorato e il bambino di cui si è affezionato per seguire la sua indole vagabonda, in un momento anche piuttosto commovente.
La versione italiana è tagliata rispetto a quella americana (sono stati epurati quasi tutti i dialoghi tra Heston e la bravissima Joan Hackett, reintegrati in lingua originale nell’edizione dvd) e ho il sospetto che il doppiaggio abbia sovvertito il senso del finale del film (come accaduto in Lo straniero senza nome), dando l’impressione che quello di Heston sia solo un arrivederci e non invece un addio.


Mauro Mihich

3 commenti:

  1. Confermo che il film, in lingua originale, si chiude inequivocabilmente con un addio: Heston si congeda dalla Hackett con un "Buena suerte", dopo averle spiegato la sua inadeguatezza, dovuta anche all'età avanzata, come eventuale marito e capofamiglia ("I'm a cow-hand. Been a cow-hand all my life. [...] I lived one way my whole life").

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  2. Nella versione italiana, invece, tutto il lungo e bellissimo discorso di addio di Heston (lo si può vedere integralmente qui http://www.youtube.com/watch?v=Dn6q1DKk_As ) è stato completamente tagliato, tranne la frase finale “It’s too late for me” sostituita con un inopinato “ci rivediamo a primavera”. E anche il momento in cui, salito a cavallo, dice ai suoi compagni prima di andarsene di consegnare i suoi soldi alla donna e al bambino è stato tagliato e rimpiazzato dalla frase “poi io torno qui”. In pratica i nostri distributori hanno completamente e arbitrariamente cambiato il senso non solo del finale, ma anche dell’intero film.

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  3. Che poi, al di là di questi casi clamorosi, si potrebbero citare innumerevoli pellicole in cui il doppiaggio magari non inficia il significato del film, ma va a mutare arbitrariamente dialoghi, battute, riferimenti, nomi... Per esempio ricordo intere scene dei "Compari" di Altman completamente sballate, o il mitico "Why not?" del "Mucchio selvaggio" tradotto con un moscissimo "Sì, andiamo". Capisco le necessità di aderire al labiale e di far combaciare i tempi, ma a volte certe scelte sono davvero inspiegabili... Grazie a dio al giorno d'oggi si può vedere tutto in lingua originale.

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