1976 UNA DONNA CHIAMATA APACHE di Giorgio Mariuzzo, con Al Cliver, Yara Kewa, Corrado Olmi, Ely Galleani, Peter McSwing, Roque Oppedisano, Mario Maranzana, Rick Boyd, Marie France Boyer, Venantino Venantini, Henry Kalter
Questo tardo e poverissimo western gode di una fama assolutamente tremenda, in realtà non del tutto meritata.
Certo, l'estrema miseria della messa in scena si vede tutta e un Far West ricostruito alla buona nella pineta di Viareggio tra la ginestra e i pini mediterranei non può che far sorridere, però Giorgio Mariuzzo (autore anche del soggetto e della sceneggiatura e famoso come scrittore dei maggiori horror di Lucio Fulci) ci mette impegno e buona volontà e anche se la sua regia è quel che è (piena di fastidiosissimi carrelli circolari) il risultato non è per nulla vergognoso.
Il problema maggiore del film è il ritmo esageratamente monotono, dovuto sicuramente alla scarsità dei mezzi e al ristretto numero di attori a disposizione, con il regista che cerca di fare di necessità virtù facendo girare in tondo i protagonisti per la campagna toscana con una romantica ballata country in sottofondo.
Anche se è famigerato per la sua componente exploitation il film non è poi così spinto, né sotto il punto di vista del sesso né della violenza, anche se l’intenzione del regista di puntare sul sensazionalismo per attirare gli spettatori con tutta evidenza c’era tutta (purtroppo per lui non sembra ci sia riuscito).
Ovvia l’ispirazione al Soldato blu di Ralph Nelson, ma anche al misconosciuto Apache di William Graham (a cui dedicheremo prossimamente una recensione), con una contiguità di vedute più prossima ai western revisionisti americani degli anni settanta che non agli spaghetti western, con cui ha poco a che spartire, se non la disinvolta messa in scena di violenze e crudeltà d’ogni genere - soprattutto stupri e scotennamenti - mentre l’erotismo è molto più accentuato rispetto alla media italiana, con la protagonista femminile quasi sempre nuda.
Piuttosto efficace Al Cliver (doppiato da Ferruccio Amendola) che fa né più né meno lo stesso ruolo di Peter Strauss in Soldato blu e niente male – in tutti i sensi – la tedesca Yara Kewa (alias Clara Hopf) nella parte dell’indiana. In un piccolo ruolo c’è anche la bellissima Ely Galleani.
Sicuramente non uno dei titoli indispensabili del filone, ma senza dubbio interessante come una delle ultime testimonianze della nostra scomparsa cinematografia western.
Mauro Mihich
E' uno di quei film che bisogna proprio vedere per capire come sono realmente. Il rischio squallore è elevatissimo dalla prima all'ultima inquadratura, eppure il film incredibilmente regge e alla fine lascia addosso un autentico senso di tristezza. E' uno di quei casi in cui il no-budget e la conseguente impossibilità pratica di fare un film "normale" favoriscono una specie di paradossale originalità, chissà quanto voluta dagli autori.
RispondiEliminaSempre sullo stesso genere, dello stesso tipo, consiglio i due "Guerriero Rosso - La lunga vendetta Apache" (Cry blood, Apache) 1970 di Jack Starrett e "Apache Blood" 1973 di Vern Piehl.
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