1969 CIMITERO SENZA CROCI (Une corde, un Colt...) di Robert Hossein. Con Robert Hossein, Michèle Mercier, Guido Lollobrigida, Daniele Vargas, Serge Marquand.
Il tempo è stato galantuomo con questo bellissimo film di Hossein: letteralmente invisibile per decenni, è stato riscoperto negli ultimi tempi grazie al proliferare di siti specializzati e pubblicazioni dedicate al western europeo, per poi diventare in breve uno dei titoli piú amati dagli appassionati, tanto da finire stabilmente incluso nella Top 20 dell'autorevole Spaghetti Western Database. E la fama postuma a dire il vero è tutt'altro che immeritata, visto che ci troviamo di fronte ad un film assolutamente unico, una specie di western d'autore che sembra estraneo a qualsiasi moda, lontano allo stesso modo sia dal riprendere i modelli classici che dall'incorporare gli stilemi dell'imperante spaghetti.
Profondamente "francese" nel puntare piú sulle suggestioni d'atmosfera che sulle coreografie violente, potrebbe essere considerato la versione western dei polar di Melville: anche qui ci sono l'eroe stanco e disilluso, la fuga impossibile e il nichilismo che porta ad accettare la morte come unica soluzione, messi in scena da Hossein con uno stile ricercatissimo che, lasciando ampia autonomia alle immagini e alle musiche, produce un andamento «lento e ipnotico, spesso anti-narrativo, alternato ad improvvisi scoppi di violenza» [M. M.]. In alcuni momenti pare quasi di trovarsi in uno dei rarefatti ed allucinati western che Monte Hellman diresse pochi anni prima.
«Un film sulla solitudine» secondo lo stesso Hossein: ne è la perfetta sintesi la splendida città-fantasma dove abita il protagonista, che farà da sfondo ai momenti piú significativi ed emozionanti della pellicola, culminante in un finale di sconsolante tristezza. Altrettanto notevoli sono la fotografia, che in alcune scene recupera tonalità cariche da gotico della Hammer in altre desatura i colori per aggiungere desolazione e malinconia ai paesaggi, e la bellissima colonna sonora composta dal padre di Hossein, André.
Da recenti dichiarazioni del regista si è appreso che Sergio Leone (cui il film è dedicato) diresse per intero la sequenza della cena dei cow-boys con sorpresa finale al ranch dei Rogers - invero una delle piú memorabili dell'intera pellicola - e che Dario Argento non collaborò in nessun modo alla stesura della sceneggiatura, contrariamente a quanto indica la versione italiana.
Profondamente "francese" nel puntare piú sulle suggestioni d'atmosfera che sulle coreografie violente, potrebbe essere considerato la versione western dei polar di Melville: anche qui ci sono l'eroe stanco e disilluso, la fuga impossibile e il nichilismo che porta ad accettare la morte come unica soluzione, messi in scena da Hossein con uno stile ricercatissimo che, lasciando ampia autonomia alle immagini e alle musiche, produce un andamento «lento e ipnotico, spesso anti-narrativo, alternato ad improvvisi scoppi di violenza» [M. M.]. In alcuni momenti pare quasi di trovarsi in uno dei rarefatti ed allucinati western che Monte Hellman diresse pochi anni prima.
«Un film sulla solitudine» secondo lo stesso Hossein: ne è la perfetta sintesi la splendida città-fantasma dove abita il protagonista, che farà da sfondo ai momenti piú significativi ed emozionanti della pellicola, culminante in un finale di sconsolante tristezza. Altrettanto notevoli sono la fotografia, che in alcune scene recupera tonalità cariche da gotico della Hammer in altre desatura i colori per aggiungere desolazione e malinconia ai paesaggi, e la bellissima colonna sonora composta dal padre di Hossein, André.
Da recenti dichiarazioni del regista si è appreso che Sergio Leone (cui il film è dedicato) diresse per intero la sequenza della cena dei cow-boys con sorpresa finale al ranch dei Rogers - invero una delle piú memorabili dell'intera pellicola - e che Dario Argento non collaborò in nessun modo alla stesura della sceneggiatura, contrariamente a quanto indica la versione italiana.
Paolo D'Andrea, con interventi di Mauro Mihich
E' uno dei primissimi western europei (che in questo caso la definizione "all'italiana" non è del tutto esatta) che vidi da ragazzino su una rete locale. Non posso dire che allora mi fosse granché piaciuto, troppo triste e strano per un ragazzino, ma quelle strane e avvolgenti atmosfere mi rimasero ben impresse.
RispondiEliminaComunque, un capolavoro. Che dovrebbe piacere anche ai detrattori del western all'italiana.
Per altro Hossein è regista anche di quello che dovrebbe essere il primissimo western in assoluto (non comico) girato in Europa, l'introvabile "Febbre di rivolta (Le goût de la violence)".
Sí, avevo anche provato a cercarlo tempo fa "Febbre di rivolta", ovviamente senza successo. Ambientato nel Messico della Rivoluzione, dunque non precisamente un western in senso classico. Curioso anche perché è il primo western interpretato dal grande Mario Adorf.
RispondiElimina