sabato 4 febbraio 2012

i registi 8 - Romolo Guerrieri

ROMOLO GUERRIERI 
L'uomo che fece piangere Django


Fratello minore di Marino Girolami, prolifico regista di commedie e film comici, Romolo Girolami in arte Romolo Guerrieri (classe 1931) è un ottimo esempio di serio ed efficace professionista, capace di muoversi con disinvoltura e abilità in tutti i generi del fu cinema d'azione italiano. È quel tipo di regista che oggi come ieri passa inosservato, troppo poco autoriale per i palati esigenti e troppo competente per stimolare le attenzioni degli appassionati di estetica trash. Perfetto invece per chi si interessa al buon cinema fatto come si deve.
Per il western nostrano gira tre pellicole di assoluto interesse, molto diverse tra loro, due delle quali, a parere di chi scrive, meritano di essere annoverate tra i classici di primo piano del genere. Notevole anche la sua carriera successiva tra thriller, noir, spionaggio, postatomici e soprattutto polizieschi di buon e ottimo livello. Qui trovate un ottimo articolo che prende in considerazione tutta la sua carriera.


1965 SETTE MAGNIFICHE PISTOLE di Romolo Guerrieri
con Sean Flynn, Fernando Sancho, Evelyn Stewart, Daniel Martín, Frank Oliveras, Poldo Bendandi, Spartaco Conversi, Rafael Albaicin, William Conroy

Per quanto molto amato dal regista, questo suo primo western passò inosservato allora ed è poi svanito anche nel ricordo degli appassionati. Non c'è da stupirsene, trattandosi di un western-commedia allegrotto e farsesco, in netta controtendenza rispetto alla moda del periodo.
A dispetto di quello che potrebbe far pensare il titolo, non è l'ennesima variante de I magnifici sette. La trama anticipa piuttosto l'idea di base del più tardo e meno brillante ...e poi lo chiamarono il Magnifico con Terence Hill. La storiella è fin troppo minima e lineare: sei stereotipi del West (l'ubriacone, il saggio indiano, il forzuto, il minatore, il gambler e il letale pistolero) trasformano un giovane damerino in un vero uomo della frontiera, in modo che possa fronteggiare il terribile bandolero Rodriguez, impersonato dall'immancabile Fernando Sancho. Il cast ha le facce giuste nei ruoli giusti, caratteristica del resto essenziale in un film basato quasi esclusivamente sulla galleria dei personaggi che mette in scena.
Si tratta di un western per ragazzi, vicino allo spirito di un fumetto come Lucky Luke, in fondo trascurabile, ma significativo di come, almeno inizialmente, all’epoca si tentassero altre vie nel genere oltre a quella appena tracciata da Leone con “Per un pugno di dollari”. Infatti Guerrieri sembra guardare più che altro all'ironia stilizzata di musical come "Sette spose per sette fratelli".
Tutto è fatto molto bene. Fin troppo bene. La regia è troppo “americana”, elegante e misurata, la scenografie troppo ricche, la fotografia troppo colorata, le musiche troppo allegre. Insomma tira un'aria troppo classica e pulita, da classico hollywoodiano girato in studio, che fa sembrare il film molto più vecchio di quello che è. Il contrasto con l'iconografia sporca e polverosa dei western all'italiana è probabilmente ricercato e consapevolmente ironico. Come nella spassosa caratterizzazione del bandolero di Sancho, che, al contrario della sua solita caratterizzazione cenciosa, in questo film vive in un' aristocratica e raffinatissima villa, riverito e servito da belle muchachas, che gli fanno persino il pediluvio quando torna dalle razzie. Sotto la superficie farsesca preme però l'incontenibile spirito sadico degli spaghetti western, che esplode in un finale allegramente grondante di morti e con tutta una serie di ammazzamenti politicamente scorretti.


Una pellicola tanto spensierata nasconde un risvolto tragico. Fu l’unico film come protagonista di Sean Flynn, figlio di tanto padre Erroll Flynn, che poco dopo abbandenerà la carriera di attore per diventere un apprezzato reporter di guerra. Farà una fine atroce nell'inferno vietnamita, dove venne catturato e torturato a morte dai Khmer Rossi. Il carisma del padre era un miraggio lontano, ma riesce a suscitare simpatia nella parte dell'azzimato damerino, che decide di impugnare le armi dopo che i cattivi gli uccidono... il barboncino.


1966 JOHNNY YUMA di Romolo Guerrieri
con Mark Damon, Lawrence Dobkin, Rosalba Neri, Luigi Vannucchi

Notevolissimo western-noir, praticamente misconosciuto e ancora oggi di scarsa reperibilità, nonostante all'epoca avesse avuto un enorme successo.
La trama è piuttosto complessa per la media dei western di casa nostra. Un ribollire di delitti, eredità, testamenti, scambi di persona, passioni e tradimenti assortiti. Insolitamente complessi e molto affascinanti sono anche i personaggi principali. Cinico e puttaniere, Johnny Yuma (un Mark Damon dall'aplomb bondiano) non è totalmente definibile come personaggio positivo neanche per la morale molto elastica degli spaghetti western. Caliente e conturbante, una straordinaria Rosalba Neri interpreta una delle rare cattivissime del genere, qui alle prese anche con un rapporto vagamente incestuoso con il fratello. Il ruolo più bello di tutti è però quello del caratterista americano Lawrence Dobkin. Il cognome del suo personaggio spiega già tutto agli appassionati: Carradine, come l'attore John Carradine, che in “Ombre rosse” di Ford aveva impersonato l'archetipo del gambler malinconico. E infatti qui impersona la figura del killer gentiluomo e funereo, perdutamente innamorato della donna più sbagliata. La sua morte è un gran pezzo di cinema, ma tutta l'ultima mezz'ora è da antologia del genere, in un film che comunque gira alla grande per tutta la sua durata. Unico personaggio un po' stonato e superfluo è quello di un messicano cencioso, che in alcune scene fa da spalla comica al protagonista.
Già impregnato del triste romanticismo che caratterizzerà il film successivo, "Johnny Yuma" è anche punteggiato da trovate di sogghignante ironia. Notevole il tormentone sul dollaro da dare al becchino che i personaggi si passano l'un con l'altro, con passaggio finale di ragguardevole cattiveria: Damon sorride soddisfatto sul cadavere della Neri e le getta addosso per l'ultima volta il dollaro.
Guerrieri dirige il tutto in modo deciso, inventivo ed elegante. Anche stavolta sembra guardare ad altri modelli rispetto a Leone. Più che a quella stilizzata e sadica dei film della trilogia del dollaro, la violenza del film ricorda quella crudele e inquietante dei film di Aldrich. Un bambino viene pestato a morte, Mark Damon scazzotta Rosalba Neri, lei lo fa torturare con una picca da matador e lui spalma il proprio sangue in faccia al fratello di lei, alla fine si vendicherà con una brutalità rara anche per la media dei western nostrani, spaccando a mani nude la testa del suo avversario.
Note di merito anche per la pregevole fotografia dall'aria austera e la bellissima colonna sonora (canzonaccia dei titoli di testa a parte). Insomma da riscoprire senza se e senza ma.



1966 10.000 DOLLARI PER UN MASSACRO di Romolo Guerrieri
con Gianni Garko, Claudio Camaso, Loredana Nusciak, Fernando Sancho, Adriana Ambesi

Il suo western più bello è un film affascinante ed elegante, l'unico in cui si rifà direttamente ai personaggi e ai canoni stilistici più classici del western all'italiana. Ma anche questa alla fine riesce ad essere un'opera originale e fuori dagli schemi del genere. Nonostante il film apparentemente sfiori quasi il plagio nel riprendere personaggi e situazioni tipiche dei film di Leone e Corbucci, il tutto viene filtrato e reso diverso dall'eccentrica attenzione data al lato sentimentale dei personaggi, scelta narrativa quasi unica all'interno del genere. Non solo il protagonista vive una tormenta storia d'amore dal tragico finale, ma anche i suoi avversari, padre e figlio, in parallelo hanno delle relazioni altrettanto intense: il figlio con una ragazza che tiene in ostaggio (e che ricambia), il padre con il grottesco personaggio di una folle cicciona messicana, la cui morte è una scena sorprendentemente toccante.
Più in generale Guerrieri riesce continuamente a passare dal rispetto delle convenzioni a soluzioni più insolite. Come nel bellissimo prologo dall'ambientazione marittima, singolare per un western, con il protagonista sulla spiaggia che contempla serafico il mare, chiacchierando come niente fosse con il cadavere di un uomo che ha appena ucciso. Incipit da antologia.

“Un ottimo western dal taglio romantico. Anche se in effetti una certa convenzionalità nella messa in scena si avverte (il film doveva essere il seguito di Django e infatti il personaggio di Gianni Garko è fatto un po’ a imitazione di quello di Franco Nero) le novità sono nella debolezza e nella fragilità del protagonista, cose comunque che a ben vedere erano già presenti in embrione anche nel prototipo corbucciano, che Guerrieri accentua e mette in rilievo, facendone uno dei temi portanti della pellicola e aggiungendo alcune pregevoli sottigliezze psicologiche sia nel rapporto tra i due protagonisti (prima quasi di amicizia, poi di spietato odio) che tra questi e le loro donne.
Il Django di Garko, infatti, è l’unico eroe degli spaghetti western che piange, per la morte della donna amata, in una scena peraltro molto bella.
Anche come semplice storia di vendetta comunque funziona benissimo, soprattutto grazie alla gran interpretazione di Claudio Camaso, il fratello di Gian Maria Volontè, che sarà sfortunato protagonista di un tragico caso giudiziario, nella sovreccitata e violenta parte del messicano Manuel, e a un bel crescendo tragico che porterà a una resa dei conti tanto inevitabile quanto molto amara. Molto suggestivo anche l’inizio in riva al mare, del tutto atipico in uno spaghetti western.
Bellissimo il commento musicale di Nora Orlandi, un po’ meno la canzone in italiano che parte sui titoli di coda.
Particolarmente indovinato l’elegante look di Garko (che pare sia stato suggerito dallo stesso attore), con tanto di foulard bianco di seta al collo. Buono anche Fernando Sancho, al solito sempre un po’ sopra le righe, che come in Sette dollari sul rosso interpreta il padre del cattivo. Notevole anche il duello finale nella ghost town spazzata dal vento, che sembra anticipare gli SW più crepuscolari come Cimitero senza croci." (Mauro Mihich)

Il film ha una pellicola gemella, Per 100.000 dollari ti ammazzo di Giovanni Fago, realizzato con lo stesso identico cast. Altro film notevole ed eccentrico, che sviluppa ulteriormente il romanticismo del film di Guerrieri, anche se non ne possiede la stessa compattezza ed efficacia spettacolare.

Nella filmografia di Guerrieri sarebbe dovuto figurare un altro western, La collina degli stivali, il terzo ed ultimo western drammatico interpretato dalla coppia formata da Bud Spencer e Terence Hill. Ma poco dopo l'inizio delle riprese fu sostituito dal collega Giuseppe Colizzi, l'inventore della celebre coppia di attori e regista dei loro due film precedenti. Le poche scene girate da Guerrieri dovrebbero essere le prime del film ambientate all'interno di un circo.

Tommaso Sega

2 commenti:

  1. "10.000 dollari per un massacro" è uno dei titoli imprescindibili del genere, ma Romolo Guerrieri è stato un raro esempio di professionalità ed eleganza anche al di fuori del western, ad esempio nel giallo, con film come "Il dolce corpo di Deborah" – che diede il via al fortunato filone del "sexy-thriller all’inglese" – e "Un detective", e nel poliziesco, con gli ottimi "Un uomo, una città" e "Liberi armati pericolosi", quest’ultimo sorretto da una formidabile sceneggiatura di Fernando di Leo.

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  2. Il suo capolavoro nel poliziesco per me è "La polizia è al servizio del cittadino?" con Enrico Maria Salerno. Notevolissimo anche "La controfigura", anomalo thriller con soluzioni registiche quasi da cinema sperimentale.

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